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Giuseppe Antoci all’Antimafia: «Mi scuso per non essere morto»

Di Redazione |

Palermo. «Tanti di voi hanno chiesto al presidente Fava di scusarsi ma non l’ha fatto. Allora chiedo scusa io a tutti per l’ignobile spettacolo che si è dato ai cittadini, perché è stata messa in discussione la tenuta e la credibilità delle istituzioni e scusa soprattutto per non essere morto in quella notte insieme agli uomini della mia scorta, perché sono sicuro che se fosse accaduto ogni 18 maggio qualcuno che ha tentato di denigrare sarebbe stato davanti quella lapide a usare parole roboanti e a esaltarci».

Così l’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci nella sua audizione in Commissione Antimafia a Palazzo San Macuto. «So di non essere stato il primo ad aver ricevuto fango, è successo a tanti che hanno lottato contro la mafia e tanti di loro non ci sono più, ma spero di essere stato l’ultimo – aggiunge – Questa relazione è depositata in questa Commissione e nella cassaforte di casa mia, se un giorno dovesse accadermi qualcosa potrete tirarla fuori e raccontare una delle pagine più buie della lotta alla mafia di questo Paese. Sono rimasto molto deluso da alcune dichiarazioni fatte alla stampa, soprattutto dal presidente della Commissione (Claudio Fava ndr) che, ancora prima che avessero inizio le audizioni, definisce le modalità dell’attentato “stravaganti”. Sembra che, anche prima delle audizioni, fosse convinto delle sue tesi, cosa che ritengo grave dal punto di vista morale e istituzionale. Noi la paura di quella notte ce la porteremo sempre dentro, ricordo le grida e i pianti, altro che stravaganza. E’ umiliante sentire queste parole. A volte chiedere scusa è un atto di grande valore. Scusa a me, alla magistratura, alle forze dell’ordine, all’assistente capo Granata che non c’è più, alla mia scorta, ai giornalisti, alla mia famiglia. Perché questa relazione, oltre a provocare un’immensa sofferenza, ha sovraesposto anche la nostra sicurezza». Il mio è stato – ha proseguito Antoci – «un attentato studiato scientificamente. Ma per qualcuno non basta, bisognava morire. Depistaggi e mascariamenti sono cominciati come nella migliore tradizione siciliana. La Dda di Messina – ha affermato dinanzi ai parlamentari – ha affidato alla polizia scientifica le indagini usando una tecnica innovativa per studiare l’attentato sui Nebrodi, perizia che ha confermato che tutto ciò è compatibile con quanto dichiarato da chi è stato coinvolto nell’attentato». Antoci dicendosi più volte deluso ha riflettuto: «Cosa penserà un amministratore che decide di denunciare, che è meglio non farlo per non rischiare la solita delegittimazione e mascariamento? La verità arriva sempre anche se provoca dolore».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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