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Licata, parla la moglie dell’autore della strage: «Mio marito Angelo era invidioso del fratello Diego»

Mariella Cammilleri dopo quanto accaduto ha abbandonato la sua abitazione di via Pasubio: «Ora ho paura, soprattutto per i miei figli»

Di Franco Castaldo |

Mariella Cammilleri moglie quarantenne di Angelo Tardino l’autore della strage di contrada “Safarello” a Licata (quattro morti ammazzati: fratello, cognata e due nipoti minorenni) è una donna vinta dal dolore e dalla paura. Dal giorno della tragedia ha abbandonato la sua abitazione di via Pasubio, sita in una palazzina che condivideva con i familiari del marito, ed ha preferito trovare un luogo più sicuro per accoglierla insieme ai suoi figli. Ed è a loro, oltre che a se stessa, che pensa quando afferma «Non so più ciò che potrebbe accadere. Ho paura».

Paura che si manifesta guardandola: occhi cerchiati, viso spaurito, indossa un giubbotto pesante che non rende giustizia alla sua reale età. È stata la prima persona a sapere che il marito aveva appena ucciso il fratello Diego, la cognata Angela Alexandra Ballacchino e i nipoti Alessia e Vincenzo rispettivamente di 15 e 11 anni. È lei che ha ricevuto la telefonata del marito appena diventato assassino che le diceva: «Li ho ammazzati tutti». Ed è lei che ha avvisato i carabinieri della tragedia. Sommessa e dimessa, Mariella Cammilleri rievoca quanto avvenuto prima della strage. 

Giura con forza di non aver percepito quanto poi accaduto e ricorda: «Mio marito non ha dato segni tali da poter sospettare qualcosa. Era tranquillo, come sempre. Se avessi notato qualcosa che potesse alimentare preoccupazione, sarei andata immediatamente dai carabinieri e farli intervenire innanzi tutto facendogli sequestrare le armi che deteneva legittimamente. Le teneva in casa ma le usava esclusivamente per fini sportivi».

Non nega i dissapori tra i due fratelli e i “giornalieri litigi” e rivela un fatto importante: «Aveva invidia verso Diego. Da sempre. Avevano avuto degli screzi che mio marito non ha mai dimenticato».

Poi, il tema cruciale che avrebbe provocato la strage. Un terreno, due ettari complessivamente coltivati a primizie, ortaggi, pomodori, che sei anni fa, per volontà del padre venne loro donato in parti uguali. Ma con una dimenticanza, precisa la donna. Una “dimenticanza” che per Angelo Tardino è stata una beffa, un affronto. 

Afferma Mariella Cammilleri: «Mio cognato ebbe la porzione di terreno che dà sulla strada. A mio marito quella meno accessibile. Mio suocero, per dimenticanza, non fornì di accesso la particella di mio marito. E sono iniziate le prime discussioni. A nulla è valsa la proposta di mio cognato che si disse disponibile di dare tre metri di strada a mio marito. Questi tre metri di strada servivano a poco perché mio cognato Diego parcheggiava i mezzi, anche pesanti, in modo tale da non consentire a mio marito di entrare ed uscire dal suo capannone. Inevitabilmente, le discussioni sull’accesso negato sono diventate più accese».

E nascevano anche le ripicche. Questa volta è Angelo, l’assassino, che rendeva pan per focaccia al fratello. È capitato per l’uso di una stradella che attraversa i due terreni adibiti a serre della quale la vittima voleva il diritto di passaggio. Ricorda Mariella Cammilleri: «Mio marito diceva al fratello: quella stradella è solo mia». Il terreno, dunque, sembra essere la causa che ha scatenato l’odio feroce di Angelo Tardino ed ha provocato la strage.

Vincenzo Tardino, 83 anni, un passato remoto da mezzadro, poi proprietario terriero, sembra una statua, quasi pietrificato come efficacemente mostrato da Salvo Palazzolo in una video-intervista pubblicata da La Repubblica. Uomo di poche parole e tanta fatica non si dà pace per quanto avvenuto e ancora oggi, a strage compiuta, non riesce a darsi una spiegazione. «Sei anni fa ho donato i due ettari di terreno ai miei due figli. Alla divisione hanno provveduto loro. Non sapevo dei loro litigi. Qui a casa mia non è arrivata notizia. Con Angelo parlavo poco, era per i fatti suoi. Io abito qui e lui al piano di sopra, ci trattavamo poco. Non ho fatto interventi pacificatori perché non sapevo nulla. Ma Angelo non era un violento».

Rabbioso, ripete cinque volte «non lo so» quando gli viene chiesto del perché di una simile carneficina. E alla domanda «Come ha saputo della tragedia?», risponde così: «Si sa, le voci arrivano».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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