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Il documento inedito

Montante, la «presenza eloquente» di Lumia e quella pista di Capaci che porta all’ex studio legale del governatore

Nella relazione (bocciata) dell'Antimafia, i contatti del sistema con la massoneria e le «assonanze» con la P2

Di Mario Barresi-Laura Distefano |

Come se fosse un bimbo nato già morto. L’inchiesta sul sistema Montante, a cui ha lavorato la commissione nazionale Antimafia presieduta da Nicola Morra, è rimasta nel ventre di Palazzo San Macuto. Una bozza di 203 pagine che non ha visto la luce. O meglio: presentato in una delle ultime sedute della legislatura, nella tormentata notte fra il 12 e il 13 settembre scorsi, il testo non ha avuto come epilogo l’approvazione. L’unico documento della presidenza di Nicola Morra finito agli atti parlamentari senza il via libera dell’Antimafia. E senza quel timbro tutto – il documento, i capitoli, le audizioni – ha il sapore amaro di un’incompiuta. Con la diserzione di molti commissari (quasi tutti quelli del centrodestra) e il voto contrario, messo a verbale, dei deputati Giulia Sarti (M5S), Gennaro Migliore (Italia Viva), Andrea Caso (Insieme per il Futuro), Piera Aiello (Misto) e Luca Paolini (Lega) e dei senatori Franco Mirabelli (Pd) e Mario Giarrusso (Misto). L’unica dichiarazione di voto favorevole è della senatrice Margherita Corrado (Cal-Pc-IdV), mentre si astiene il senatore grillino Giovanni Endrizzi. 

Ma cosa c’è scritto nella relazione non approvata a Roma? La Sicilia è venuta in possesso dell’ultima bozza presentata in parlamento, quella bocciata e comunque finita agli atti come allegato della relazione finale del presidente Morra. Fra le righe spicca un’intercettazione, proveniente dai faldoni della Dda di Caltanissetta,   citata nelle conclusioni, che potrebbe diventare la voce narrante dell’intera inchiesta. Una sorta di interrogativo su quello che è accaduto dopo l’arresto di Antonello Montante. Per molti il sistema è sopravvissuto, ma sarebbe cambiato il regista. Ecco come commentavano nel 2015: «Il sistema è perfetto!… omissis… E sarà lui il capo espiatorio… sarà lui… perché poi cercheremo un altro Montante… il pote… il sistema… il potere è così! E’ perfetto… secondo me ah? Dopo Montante ci può essere chiunque, capito?». Nelle pagine della relazione il nome dell’«altro Montante» però non c’è. E a dire il vero non c’è neanche l’ambizione di provare ad avanzare un’ipotesi su chi possa essere.  Il viaggio dell’Antimafia nazionale dentro il sistema Montante cerca di ricostruire i pezzetti del mosaico che certifica l'«esistenza di un centro di potere, una mafia bianca anzi trasparente (per citare le parole della gup Luparello nella sentenza di primo grado) inossidabile e solida». Una mafia, si legge nella premessa, «costruita attraverso l'intimidazione e da questa alimentata in uno scambio relazionale fatto di mistificazioni e di apparenti ingenuità, di ricatti e tacite promesse, capace di investire i livelli più altri di tutti i settori delle istituzioni e degli enti pubblici e d'influire sulle scelte politiche e amministrative, sull'economia, sulle indagini giudiziarie e dell'informazione».

Ci sarebbe stato il mondo privilegiato degli amici e un cosmo parallelo dei nemici. Montante è stato in grado di creare «una rete di relazioni alterata nelle sue dinamiche da legami occulti e da insani meccanismi di favore – scrive l’Antimafia – per chi di quel sistema faceva parte e di grave pregiudizio per chi ad esso si era contrapposto o non ne aveva rispettato i dettami». Per affrontare il nemico e sconfiggerlo gli Antonello-boys erano pronti a tutto, anche a superare i limiti della legalità. La stessa legalità che serviva a infiocchettare (e far digerire) qualsiasi stortura. La sentenza della commissione è durissima: «Un sistema basato sulla penetrazione capillare ed effettivamente consociativa nei gangli del potere con enorme impegno di risorse, pubbliche e private, completamente sottratte a qualsivoglia controllo e alle ordinarie regole del mercato, grazie a condotte corruttive, collusive, non necessariamente illecite ma incidenti sulla libertà dell'iniziativa privata, sulla libera concorrenza e sulla trasparenza della spesa pubblica. Un potere che ha finito per sovrastare le istituzioni stesse e che mirava a indirizzarne l'azione molto lontano dai fini loro propri, nel più assordante silenzio stampa e della magistratura con grave pregiudizio per l'intero sistema democratico». Poi c’è il capitolo su Montante e le sue relazioni pericolose. L’Antimafia ha decodificato in mafia, forze dell’ordine e politica i pilastri della sua rete di conoscenze. Ma ci sarebbe stato anche un legame con la massoneria ufficiale. In una delle note, molte rimaste incomplete, si fa un paragone inquietante: «Sono state riscontrate numerose assonanze tra la struttura facente capo a Montante e la loggia Propaganda 2 (P2)».

Il sistema Montante, secondo la relazione, è un caleidoscopio per poter leggere la trasformazione dei fenomeni criminali. Anzi. È «un’inchiesta necessaria – si legge nella relazione bocciata – per comprendere la trasformazione del fenomeno mafioso» che oggi ha fatto della «sommersione» il suo codice genetico. Ma in realtà, ci sarebbe stato «un ritorno alle origini», a quello che «la mafia è sempre stata».  Una forza che non lascia «scorrere il sangue» ma «priva della vita» ingenerando omertà a livelli più alti. Ma quali sono questi livelli più alti? La relazione passa in rassegna la capacità di Montante d'intessere relazioni con alcune delle più alte cariche istituzionali: da magistrati a esponenti delle forze dell’ordine che si sarebbero genuflessi alle richieste del paladino in cambio di favori. Richieste che hanno alimentato la cassaforte del dossieraggio di Montante. Nella sua stanza segreta, scoperta dalla polizia durante il suo arresto nel 2018, l’ex numero 1 di Confindustria Sicilia ha passato ai raggi x la vita dei suoi nemici (attuali e potenziali) in modo da poterli metterli all’angolo con il vile metodo del ricatto. Ma per essere potente devi avere i piedi anche nella regia politica. E Montante sarebbe riuscito a piazzare alcuni dei suoi a Palazzo d’Orléans. Uno dei capitoli più interessanti della relazione è il quinto che esamina il lato economico e politico del potere dell’ex leader confindustriale. Per l’Antimafia Montante «ha assunto nella sostanza il controllo fino a egemonizzarlo del governo economico, politico e lato sensu militare della Regione Siciliana, eliminando ogni anche minima possibilità di dissenso». Palermo sarebbe diventata una succursale di Caltanissetta, un altro «segmento di quel sistema».

 L’epoca è quella del governo di Rosario Crocetta. Nelle pagine presentate da Morra si cita il presunto finanziamento che Montante «unitamente all’imprenditore Giuseppe Catanzaro» avrebbe elargito in favore dell’ex sindaco di Gela «per la campagna elettorale 2012 in cambio del suo asservimento di Presidente della Regione». In questa sezione dell’inchiesta ci si imbatte diverse volte nel nome del senatore Giuseppe Lumia, presenza «eloquente» in diverse scelte strategiche della vita politica e amministrativa dell’ex governatore. Diversi sono gli esempi citati. Ma uno che diventa simbolico è quello dell’incontro con il magistrato Nicolò Marino, che sarà il primo – proprio sulle colonne de La Sicilia in tempi non sospetti – a denunciare i sintomi di quel sistema malato.  Crocetta si porta dietro Montante e Lumia per chiedere a Marino di accettare l’incarico di assessore regionale ai rifiuti. Il magistrato accetta ma poi fa qualcosa di non gradito. La sua «estromissione» sarebbe stata «determinata dalla sua contrapposizione agli interessi di Montante e Catanzaro». Crocetta avrebbe messo nei posti strategici della Regione nomi graditi all’imprenditore di Serradifalco.   «Altre conversazioni e dichiarazioni acquisite dimostrano il legame che univa Montante e anche Lumia a Maria Grazia Brandara (descritta come persona “all’interno del sistema Crocetta e vicina a Lumia”)», è uno dei passaggi della relazione legato all’ex commissario Irsap.  

L’Antimafia di Roma cita il lavoro della commissione regionale presieduta da Claudio Fava: «La rilevante interferenza di Montante e del senatore Giuseppe Lumia che ne condivideva l’operato in tale ambito nel governo della Regione è stata invero già ampiamente dimostrata dalla commissione regionale antimafia». La relazione dedica un capitolo anche al caso del centro commerciale nell’area ex Vianini del comune («intoccabile») di Capaci. Una questione che sembra slegata dagli affari del cerchio magico, ma alcuni nomi riportano a Montante. Come quello di Michele Massimo Romano: è lo stesso imprenditore che «ha raccontato di avere ricevuto pressioni da Montante e Lumia per denunciare di aver subito richieste estorsive». Romano, si legge ancora, «aveva una consolidata amicizia con l’onorevole Lumia e una consolidata amicizia con Calogero Pisciotta, padre di Angela quest’ultima amministratore della Pr srl che nel 2014 si dedica all’affare di Capaci.  Lo studio legale che assisteva con particolare cura la Pr nel procedimento amministrativo per la realizzazione del centro commerciale è quello  Pinelli-Schifani. E per Schifani si intende la famiglia di Renato, il neo-governatore che però lasciò l’incarico «per farvi operare i congiunti». Ma non dimentichiamo che Schifani – indicato come “Mastro” o “Professor Scaglione” nelle agende del colonnello Giuseppe D’Agata – è uno degli imputati del processo sul sistema Montante. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA