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Tre donne al comando, input da unico pentito Laudani

Tre donne al comando, input da unico pentito Laudani

Scoperto libro mastro del pizzo

Di Redazione |

L’inchiesta Vicerè ha preso spunto dalla collaborazione con la giustizia di Giuseppe Laudani, il nipote del capostipite ed ai vertici dell’organizzazione criminale dal 1999 al 2010, il primo – ed allo stato unico – membro della famiglia di sangue ai vertici del clan che ha svelato i retroscena di quasi vent’anni di vicende mafiose che hanno tristemente caratterizzato la storia criminale di Catania e del suo hinterland.

Le indagini hanno evidenziato la particolare articolazione del clan , suddiviso in gruppi radicati ciascuno su una propria zona territoriale di influenza e dotati di una autonomia decisionale ed operativa limitata dall’esigenza di rispondere, per aspetti predeterminati e di importanza rilevante, ai vertici del clan, cioè alla famiglia Laudani di sangue: una sorta di struttura “holding” insomma, perfettamente regolata, nella quale il gruppo dominante, quello della famiglia di sangue dei “Mussi”, prendeva le decisioni essenziali quali guerre, alleanza, suddivisioni di tangenti con altri clan, lasciando invece l’attività più concretamente operativa, quale quella relativa alle estorsioni ed al traffico di droga, all’autonomia dei gruppi territoriali.

I gruppi erano radicati, oltre che nella città di Catania, soprattutto a Canalicchio, anche in tutto l’hinterland etneo, cioè a San Giovanni la Punta, Acireale, Giarre, Zafferana Etnea, Piedimonte Etneo, Caltagirone, Randazzo, Paternò, San Gregorio, Aci Catena, Mascali e Viagrande, laddove l’egemonia criminale veniva imposta soprattutto attraverso il pizzo ed il traffico di droga; aratterizzazione molto allarmante emersa e riscontrata nel corso delle indagini riguarda la capacità del clan Laudani di infiltrazione in apparati istituzionali; sono emerse infatti e sono state contestate ad elementi dell’avvocatura e delle Forze dell’ordine condotte di appoggio all’associazione, qualificate come concorso esterno e reati come rivelazione di segreto d’ufficio e di accesso abusivo a sistema informatico, aggravati dall’aver favorito un gruppo mafioso.

L’inchiesta ha anche dimostrato, con riferimento ad un territorio particolarmente esteso, che il “clan” per affermare la propria esistenza e per assicurarsi una sostanziosa fonte di sostegno economico, ha pianificato nel corso degli anni e sino ad oggi un vasto e capillare sistema di estorsioni e per ottenere il pizzo non esitava a commettere gravi atti intimidatori, dagli attentati alle attività produttive sino alle aggressioni agli imprenditori.

Nel corso dell’inchiesta è stato anche sequestrato un vero e proprio libro mastro delle tangenti che ha permesso di mappare le imprese vessate che, come in alcuni casi dimostrato, versavano importi che si aggiravano tra i 3.000 ed i 15.000 euro annui a cadenze periodiche. Le somme incassate, secondo le direttive dei capi del clan, alcuni dei quali vere menti economiche dell’organizzazione, venivano reinvestite in varie attività imprenditoriali, attraverso dei prestanome, così da eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, particolarmente in società operanti nei settori turistico-alberghiero e di rivendita autovetture.

Particolare rilievo è stato dato dai carabinieri al ruolo delle tre donne del clan Laudani arrestate. Esse hanno svolto attività di rilievo fondamentale per il sodalizio, fornendo direttive in ordine alla strategia complessiva da seguire, organizzando il reinvestimento dei proventi illeciti e contribuendo addirittura al tentativo di fondazione di un ulteriore gruppo satellite, operante in territorio di Caltagirone.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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