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La stoccata vincente che manca

Il rispetto di una quotidianità rispettosa della legalità e del bene comune può rappresentare uno dei modi di combattere la mafia che purtroppo non è finita con la morte di Messina Denaro

Di Antonello Piraneo |

Alzi la mano chi pensa che con Matteo Messina Denaro sia morta non dico la mafia – ché come sanno tutti non è soltanto una organizzazione criminale, piuttosto un sistema di potere – ma anche “semplicemente” Cosa Nostra. Nessuno si sogna di alzarla, questa mano, ed è un bene. Perché significa che si è pienamente coscienti della pervasività della mafia nel tessuto sociale ed economico di interi pezzi di Paese, una rete di interessi così fitta da non potere essere confinata a una singola regione.Così come la povertà non si abolisce con un sussidio (cit.) la mafia non si cancella con la morte di un boss e neanche con la fine di una generazione legata ai corleonesi e al loro sanguinario strapotere culminato con la stagione delle stragi.

Cambiano equilibri e strategie, certo. Ci saranno, ci sono già nuovi capi e altri referenti, ma non può dirsi chiusa la partita, anche perché sono tantissime le ferite ancora aperte, ovvero le verità mancanti, le più scomode, quelle che Messina Denaro (come già Riina e Provenzano) si porta nella tomba e che darebbero risposta a interrogativi banali ma al contempo inquietanti: perché i boss restano latitanti per decenni, quando comandano davvero, e vengono arrestati al capolinea del loro regno? Davvero solo perché nel frattempo il cerchio intorno a loro si è stretto? Perché nessun capomafia ha mai collaborato con la giustizia? Davvero solo per atteggiamento di sfida finale allo Stato e per continuare a fare affari per sé e per quelli rimasti fuori?

Premettendo che lo Stato di diritto ha vinto ancora una volta, per il sol fatto di aver assicurato assistenza in ospedale e una degna sepoltura a una belva, a queste domande debbono rispondere – se viene data loro la forza necessaria – la magistratura, gli inquirenti, che sminano l’ala militare e la sponda affaristica di ogni mafia.Una società sana deve però porsi altre domande e darsi altre risposte, combattendo la mafiosità strisciante, silenziosa, nascosta tra le pieghe del disimpegno, del così fan tutti, del menefreghismo. Dando – per esempio ma certo non a caso – priorità alla scuola, universo che non attiene soltanto ai docenti e alla didattica, ma che riguarda tutti. Perché un territorio in cui l’obbligo scolastico è evaso da quasi il 20% delle famiglie è destinato a consegnarsi al delinquente di turno, al Messina Denaro prossimo venturo, al cinico galoppino pronto ad approfittare di ogni fragilità.

Il disagio sociale delle periferie e delle zone degradate è questione che riguarda tutti: se irrisolta, ci condanna ad avere un’economia troppo povera o sospettosamente troppo ricca per essere solida, ci infligge la pena di essere raccontati o come abitanti più o meno distratti di un enorme villaggio vacanze – sole, arancini e spritz – o come complici più o meno inconsapevoli di una terra dominata dal malaffare. E quindi: la Sicilia mai vista come una terra produttiva e propositiva su cui potere scommettere.Malati di ottimismo, vogliamo pensare che la Sicilia più vera sia quella de “La stoccata vincente” – il film che racconta la bella storia di Paolo Pizzo, lo schermidore catanese che ha vinto medaglie d’oro dopo avere battuto un tumore grazie all’aiuto di sana e normale famiglia – e non quella stereotipata di “Maria Corleone”, l’ennesima fiction che propone accenti maldestri, sparatine e “fimmini” (testuale) al comando di un clan, tratteggiate pure come eroine del male.La nostra stoccata vincente sia una quotidianità rispettosa della legalità, del bene comune, degli altri, anche i più diversi.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA