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IL COMMENTO

Ustica: la ricostruzione di Amato e quel muro di gomma tra Italia Francia

Le responsabilità transalpine emergono da molti indizi. Ma Parigi non ha mai collaborato in maniera convincente. E altrettanto inquietante è stata la ritrosia dei nostri militari

Di Salvo Andò* |

Ha fatto bene Giuliano Amato a ricostruire i fatti che si sono che svolti nei nostri cieli la sera del 27 giugno del 1980, puntando il dito sulle responsabilità dell’aviazione francese.

Si è scritto molto sull’errore compiuto da chi voleva colpire Gheddafi, che avrebbe dovuto essere in volo su un Mig della sua aviazione proprio nell’area in cui venne colpito l’aereo dell’Itavia. Un tragico errore costato la vita agli 81 passeggeri dell’aereo. Il mistero sull’abbattimento del Dc9, una volta venuta meno l’ipotesi della bomba a bordo, imponeva una ricostruzione del posizionamento di rotte aeree e di navigazione tale da consentire di individuare i movimenti dei mezzi che si muovevano nell’area: uno scenario di guerra, con la presenza di mezzi di diversi Paesi della Nato a simulare un’esercitazione.

Molti indizi

Le responsabilità della Francia emergono da molti indizi, tenuto conto degli aerei e dei mezzi navali dislocati e dell’interesse del governo francese di regolare una volta per tutte i conti con Gheddafi. Ma nonostante l’attendibilità degli indizi, la Francia non solo ha escluso qualunque responsabilità della sua aviazione, ma ha anche rifiutato di collaborare in modo convinto all’attività svolta degli investigatori: non voleva essere sospettata di avere compiuto un atto di pirateria aerea degno di uno Stato canaglia.

Le nostre colpe

E altrettanto inquietante è stata la ritrosia dei nostri militari a collaborare con i magistrati, anche quando nessuna responsabilità poteva essere addebitata all’Aeronautica italiana. Venuta meno la pista della bomba sull’aereo, non aveva nulla da temere con riferimento alla pista del missile lanciato contro l’obiettivo sbagliato. L’aviazione italiana avrebbe, insomma, dovuto garantire piena collaborazione per facilitare l’accertamento della verità, anche se “spiacevole” sul piano degli equilibri internazionali. Ciò non sempre è avvenuto.

Fece quindi bene il governo Amato, quasi 15 anni dopo la strage, a decidere la costituzione di parte civile. Ricorderò le difficoltà incontrate come ministro della Difesa per convincere i militari sulla giustezza di questo passo, che non implicava sfiducia nei confronti del nostro apparato militare, ma anzi la certezza che non ci fossero responsabilità di nascondere. A questo passo ha fatto seguito la creazione proprio all’interno del gabinetto del ministro della Difesa di un ufficio che potesse fornire ai magistrati in tempi rapidissimi tutte le notizie di cui avevano bisogno.

La sponda francese

È purtroppo mancata, invece, un’adeguata sponda a livello internazionale, soprattutto da parte francese. Tutto sommato gli americani hanno in qualche maniera collaborato.

Ricordo che Rosario Priore, grande magistrato, mi chiese di facilitare una missione negli Stati Uniti presso gli uffici del Pentagono, insieme al pm Giovanni Salvi per leggere i codici relativi a materiali che si erano trovati in fondo al mare nell’area interessata dalla strage. Ne parlai con il ministro della Difesa, Dick Cheney, divenuto poi vicepresidente degli Usa, in occasione di un vertice Nato e stando a quanto riferirono i nostri magistrati l’accoglienza fu cordiale e la collaborazione piena.

Un dialogo impossibile

Nel corso di questi 40 anni tutti i tentativi di stabilire un dialogo con il governo francese sono stati inutili per quel che ho avuto modo di verificare direttamente. Ho avuto più volte occasione di parlare di Ustica con il mio collega e compagno di partito Pierre Joxe, con cui la collaborazione era piena su tutto, tranne che sul dossier Ustica. Gli chiesi più volte di essere informato sui movimenti della portaerei francese Clemenceau che operava nell’area dove si è verificò la strage. Mi trovavo di fronte a un muro di gomma.

Ma lo stesso atteggiamento registrai in occasione di una bilaterale Italia-Francia a cui partecipavo ai tempi del governo Amato da ministro della Difesa. L’agenda degli incontri era preventivamente definita, ovviamente. Non era quella la sede per discutere del caso Ustica, eppure ne feci cenno in occasione di uno degli incontri a cui partecipava anche Mitterand. Presi la parola auspicando una convinta collaborazione all’accertamento della verità da parte francese. Il presidente francese mi ascoltò senza darmi alcuna risposta. Reiterai la richiesta alla fine dell’incontro e si mostrò addirittura infastidito, al punto che Amato mi fece segno di lasciar perdere.

*Ex ministro della DifesaCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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