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Confessioni di una massaggiatrice «Si guadagna con gli extra»

Confessioni di una massaggiatrice «Si guadagna con gli extra»

Il racconto di una donna che ha lavorato in una delle tante botteghe camuffate da centri benessere in cui realtà si esercità la prostituzione: «Anche medici, avvocati e calciatori tra miei clienti»

Di Concetto Mannisi |

CATANIA – Manuela ha trentadue anni, è mora e incontrandola due volte nel giro di ventiquattro ore ci si potrebbe ritrovare nell’impossibilità di definire il colore dei suoi occhi: più vicino al verde oppure all’azzurro? Nessuna risposta sarebbe quella esatta. Nata nel Siracusano, ma quasi al confine con la nostra provincia, se avesse avuto qualche centimetro di altezza in più probabilmente avrebbe potuto ambire ad una carriera nel mondo dello spettacolo. Madre natura, però, ha voluto che si fermasse ben al di sotto del metro e settanta, cosicché Manuela, ultimati gli studi, ha pensato ad altro: «Sono finita – racconta – in una struttura di assistenza per anziani. Si lavorava sodo per uno stipendio più che modesto e a fine turno ero sistematicamente a pezzi. Sì, lo so, era un lavoro onesto, ma davvero mal pagato. Inoltre nella mia famiglia non si è mai navigato nell’oro cosicché, quando un’amica mi ha parlato di un certo centro benessere e della possibilità di guadagnare bene, ho deciso di andare a vedere personalmente di cosa si trattava. Anche se, in verità, già avevo un’idea ben precisa di quello che mi attendeva».   Ovvero? E quanto tempo fa? «Cinque anni fa. Cosa mi attendevo? Un giro di prostituzione più o meno soft. Come quello che si cela dietro tanti centri benessere o tanti centri massaggi che funzionano in questa città. Lo si è visto dall’ultima operazione della polizia, del resto. E mi sento di poter dire che chissà quante altre strutture con quelle “caratteristiche” lavorano più o meno apertamente tanto a Catania quanto in provincia».   Come fu l’impatto? «Molto discreto. Nel senso che nessuno mi disse a prima botta che avrei dovuto fare sesso con i clienti. La titolare, una donna, parlò di generici massaggi e quando obiettai che non era esattamente il mio campo, beh, mi invitò a non preoccuparmi perché sarebbero stati organizzati dei corsi».   Fu davvero così? «Ovviamente no. L’unico “corso” che si tenne fu quello legato all’abbigliamento: i clienti andavano accolti rigorosamente in topless. Accettai, ben sapendo che non sarebbe bastato. E ciò anche se nessuno si fosse ancora preso la briga di dirmi che lì non funzionava soltanto a quel modo».   Quando la rivelazione? «Dopo una decina di giorni. I clienti non erano contenti, perché ovviamente non frequentavano quel centro soltanto per il “semplice” massaggio. Di questo non ne avevano fatto mistero con la titolare».   La quale…? «La quale mi affrontò senza troppi giri di parole, ma senza ancora andare al nocciolo del problema: “La gente si lamenta. O cambi marcia o sono costretta a mandarti via”. E poi aggiunse che se i massaggi fossero stati più approfonditi avrei guadagnato di più».   Fu quello che avvenne, immaginiamo. «Fu quello che avvenne. I massaggi divennero più approfonditi e io cominciai a guadagnare realmente. Con gli extra. Ovvero con ciò che il cliente lasciava per una prestazione straordinaria, in cui non era comunque previsto il rapporto completo».   «All’inizio – prosegue Manuela – fu sconvolgente, soprattutto a livello psicologico. Poi divenne routine. Non fosse stato così, del resto, non avrei potuto farlo: non tutti i clienti erano esteticamente gradevoli e se con qualcuno poteva capitare di scambiare quattro chiacchiere, di intrattenere un rapporto mentalmente più intimo, magari perché era scattata la simpatia, con altri era soltanto lavoro. Ripetevo il copione a seconda della persona che avevo di fronte, facevo la dolce con chi si attendeva la dolcezza e l’aggressiva con chi si aspettava altro; quindi incassavo la mancia e passavo al cliente successivo».   Quanti clienti al giorno? «Non c’era una media standard. Anzi, si andava a periodi. Di sicuro, dopo i primi tempi, divenni molto richiesta. Diciamo che incontravo ogni giorno da sei a dieci persone. Un po’ più delle altre due colleghe che lavoravano con me».   In uno dei centri sequestrati venerdì scorso è stata trovata al lavoro anche una minorenne. «No, non esiste: noi eravamo tutte ben al di sopra dei vent’anni».   Il cliente “tipo”, per così dire, com’era? «Non c’era. In ogni caso il livello era medio-alto. Dall’impiegato di banca al professionista, anche se più di una volta mi sono trovata di fronte persino dei manovali».   Vip? «Mi dissero di calciatori del Catania, ma io non seguo lo sport. Forse neanche se me li trovassi davanti riuscirei a riconoscerli. Di sicuro venivano avvocati e medici».   Promesse d’amore? «Nessuna. Magari inviti a vederci fuori dal centro, ma non ho mai accettato. Li tenevo in sospeso, però… ».   Problemi? «Mai. Anche quando qualcuno esagerava con le richieste, ovvero quando chiedeva l’extra dell’extra, lasciavo la stanza e andavo via».   «Qualche volta, piuttosto – si confida – ho avuto momenti di grande imbarazzo: giovani mariti che non riuscivano ad avere “risultati” e che mi confessavano di avere compreso di essere omosessuali. Mi è capitato più volte… ».

Quando ha deciso di smettere? «Circa tre anni fa, quando ho cominciato a frequentare un ragazzo conosciuto casualmente in città. Gli ho sempre detto che facevo l’impiegata e che poi sono stata licenziata per una riduzione del personale conseguente alla crisi. Non saprà mai la verità».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA