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L'esposizione che la Sicilia non ha mai visto

“Corpi di reato”, il nuovo volto silenzioso delle mafie

Corpi di reato è il progetto per immagini e parole di Alessandro Imbriaco, Tommaso Bonaventura e Fabio Severo che dopo essere stato ospitato al Maxxi di Roma, a Venezia e al Raum für Fotografie in Germania cerca una sede espositiva in Sicilia per una nuova riflessione sulle mafie contemporanee

Di Amelia Cartia |

Una macchina, una casa, una strada. Niente di più, e niente di meno, di un paesaggio quotidiano: niente di bello, e niente di brutto, è solo vita. Quale vita sia, e quali morti comporti, quella poi è un’altra storia.La storia è quella di un lungo reportage fotografico, un viaggio nell’Italia delle mafie nascoste, raccontato da Alessandro Imbriaco, Tommaso Bonaventura e Fabio Severo in Corpi di reato: cinque anni di strada e di immagini, cinque anni di racconti e di testi, raccolti e testimoniati lungo tutto il Paese, inseguendo quella che Hannah Arendt avrebbe chiamato, con spiazzante lucidità, la banalità del male. Ospitato ed esposto al Maxxi di Roma e in Germania, questo racconto per immagini di un male mafioso che in Sicilia ha terreno fertile, finalmente arriva in Sicilia: con un incontro, tenutosi presso lo studio Minimum di Palermo lo scorso 17 marzo, preceduto da un'”ospitata” che ha avuto il sapore del passaggio di testimone. Al Festival Nuove Pratiche, infatti, gli autori del progetto hanno incontrato la direttrice del Maxxi di Roma Giovanna Melandri e la fotografa Letizia Battaglia, che sulla mafia e sul racconto per immagini della sua faccia più efferata ha raccontato molto, e molto ancora ha da dire.

Pizzo Sella Palermo

La Collina di Pizzo Sella (Palermo, 2012)

«Se ci siamo avvicinati a questo tipo di ricerca – dice Alessandro Imbriaco, uno degli autori del progetto – è anche per il lavoro che la Battaglia e gli altri reporter degli Anni 80 e 90 hanno fatto. In quegli anni, in cui noi stavamo crescendo, le mafie diventavano visibili, evidenti, e negarle diventava impossibile. La necessità che abbiamo sentito, poi, è stata quella di capire se e come si potesse raccontare un fenomeno che via via negli anni era tornato a nascondersi, a rendersi meno visibile. Inseguirne le tracce è stato come cercare di fotografare l’invisibile».Invisibile, ma presente, la mafia negli anni Duemila acquista più che ammazzare, fa affari più che stragi, e lascia tracce di cemento, non di sangue. «Abbiamo fotografato – continua infatti il fotografo – oggetti e paesaggi che rimandano a boss, per certificare come sono cambiati in questi anni i territori di residenza. Raccontiamo i boss e i mafiosi dalle loro case, dalle macchine che guidano, da quello che scelgono. Per esempio: siamo andati in Campania a fotografare il Castello Mediceo, acquistato dal boss Raffaele Cutolo. Un simbolo di potere: lo scelse per stare più in alto del resto del paese, per dimostrare superiorità, per essere più in alto del resto del paese, per dimostrare la superiorità acquisita. Le immagini danno un’idea di quello che il boss vedeva dalle sue finestre, restituiscono quelle sensazioni. E un discorso simile si può fare per le proprietà della ‘ndrangheta che si estendenvano in corso Racconigi, nel centro di Torino. Prima le mafie lasciavano ferite evidenti sul territorio, tracce. Al Sud, in certi casi, ci sono ancora. Al Nord invece le tracce scompaiono con più facilità. Sopra gli sversamenti abusivi di rifiuti, spesso nocivi, crescono colate di cemento e nuove costruzioni: è questa la traccia visibile, oggi. Nasce una nuova economia fondata sul cemento».

Croma giudice Falcone

La Teca Falcone con la Fiat Croma della Strage di Capaci (Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria di Roma, 2012)

Da Sud a Nord, tutte le mafie parlano ormai un linguaggio nuovo, per seguire il quale cambia anche il linguaggio della fotografia. «Il modo di agire al Sud, e soprattutto negli anni passati, era molto più visibile. E così anche il modo di raccontare i fatti era molto più d’impatto: è molto più facile, più immediato, prendere subito le distanze da un’immagine cruenta che fotografa un fatto di sangue. Leggere il male oltre l’immagine richiede un lavoro diverso, per questo nel nostro progetto sono fondamentali i testi. Abbiamo cercato di rintracciare le mafie grigie, invisibili, difficili da raccontare visivamente, e abbiamo spiegato anche con le parole. Un tipo di lavoro tanto diverso da quello di Letizia Battaglia, ma che dal suo prende le mosse, pur con un linguaggio e un’iconografia diversi. Queste immagini somigliano molto a quello che vediamo ogni giorno: è un segno anche questo, segno che la mafia è diventata più pervasiva, e quindi forse ancora più pericolosa. E lo abbiamo visto anche in prima persona: abbiamo iniziato a portare in giro il lavoro usando spesso la metafora della “mafia sotto casa”, per esemplificare in due parole, forse retoriche, proprio il senso della banalità e della normalità del fenomeno. Poi, durante le indagini di Mafia Capitale, a Roma, siamo andati a fotografare i tanti locali, bar e ristoranti che erano stati sequestrati. E’ stato impressionante accorgersi che uno di questi era realmente sotto casa: davanti al luogo dove andavamo a stampare le foto, un bar dove andavamo spesso, che frequentavamo».

Corpi di reato incontro con letizia Battaglia

L’incontro con Letizia Battaglia a Palermo

Un male banale, appunto. Comune. E mai scomparso, pur nella sua invisibilità. «Sono convinto della necessità e della potenza di un lavoro del genere, soprattutto qui in Sicilia» commenta infatti Roberto Boccaccino, che insieme a Valentino Bellini ha fondato Minimum, lo studio che ha ospitato gli incontri palermitani. «Il progetto è stato presentato per la prima volta nel 2011 presso il MAXXI – Museo nazionale delle Arti del XXI secolo, ed è stato poi esposto in diversi musei e gallerie italiane e internazionali, tra cui la mostra internazionale di Architettura di Venezia e l’ICCD (Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione – MiBACT), la galleria Bel Vedere di Milano e la galleria Zephyr – Raum für Fotografie a Mannheim, in Germania. In Italia, e in Sicilia, la mostra non ha ancora trovato uno spazio: quello che ci auguriamo è che questo sia solo un primo passo, una prima scintilla che porti il pubblico e le istituzioni a comprendere l’importanza della riflessione sulle mafie nell’Italia contemporanea, sì da poter portare la mostra nei musei dell’Isola, trovando spazi e risorse. Un primo risultato lo abbiamo ottenuto: nel corso dell’incontro a Palermo, Letizia Battaglia ha mostrato entusiamo per il progetto, e ha detto che quando il suo Centro Internazionale di Fotografia sarà pronto sarà disponibile per un dialogo con gli autori di Corpi di Reato».

amelia.cartia@gmail.com

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