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Misterbianco, neomelodici e strani furti al  Comune: ecco le carte sulla “mala gestio”

Di Mario Barresi |

Catania – Ci sono anche il patrocinio al concerto di un cantante neomelodico arrestato per mafia e l’intitolazione di una via cittadina al cognato di un boss, oltre al “trattamento speciale” a una società di calcio poi sequestrata a un clan. Sono i casi più suggestivi – e non certo i più gravi – che raccontano come le «ramificazioni di tre gruppi criminali» (la famiglia Santapaola-Ercolano e i clan Cappello e Nicotra), nel tempo, «siano penetrati e abbiano inquinato l’Ente» attraverso «rapporti, relazioni e frequentazioni con gli organi decisionali, politici e amministrativi». È durissimo il contenuto della relazione del prefetto di Catania, Claudio Sammartino, che ha innescato lo scioglimento del Comune di Misterbianco per mafia. L’atto, allegato (assieme alla richiesta del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese) al decreto del presidente della Repubblica, è stato pubblicato ieri sulla Gazzetta Ufficiale.

Nella richiesta al Quirinale, il ministro afferma la «sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti e indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata e su forme di condizionamento degli stessi». Una posizione condivisa nel Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, «integrato con la partecipazione del procuratore distrettuale antimafia», ma che è frutto soprattutto delle conclusioni della commissione d’accesso prefettizia e della relazione di Sammartino. In quest’ultimo documento, stracolmo di “omissis”, si ricostruisce il «contesto di complessiva mala gestio» comunale, che ha contribuito sia al «verificarsi di episodi corruttivi e/o collusivi», sia ad «agevolare acclarate interferenze e inquinamento pervasivo della criminalità organizzata nella vita e nelle attività» dell’ente. E ciò, afferma il prefetto, senza «resistenze» né «barriere di difesa», in un «continuum» amministrativo caratterizzato anche da una «debolezza» che avrebbe favorito la mafia.

Nelle carte numerose citazioni di inchieste giudiziarie. A partire dalla più recente, “Revolution Bet 2”, con l’arresto dell’ex vicesindaco Carmelo Santapaola, del quale il Viminale evidenzia le «convergenze di interessi con i reggenti della famiglia malavitosa» dei Placenti. Il pentito Giuseppe Scollo parla di un summit politico-mafioso prima della campagna elettorale del 2012. Poi il blitz “Gisella”, da cui emergono «relazioni di vicinanza», ma anche «rapporti di parentela, di affinità e di frequentazione» fra «membri degli organi elettivi e dell’apparato burocratico» del Comune ed «elementi di spicco» del clan Nicotra. Nelle carte anche l’intercettazione della chiamata di una collaboratrice di Marco Corsaro (un altro vice di Nino Di Guardo, poi suo sfidante nel 2017) a un affiliato dei “Tuppi” «assoggettato al regime di sorveglianza speciale» . Corsaro, non indagato, s’è sempre detto estraneo..

E poi il concerto, l’8 settembre 2018, del cantante neomelodico, poi arrestato per mafia, Andrea Zeta (al secolo Filippo Zuccaro, figlio del sanguinario boss Maurizio) «presso» il chiosco-bar, ritenuto «realizzazione abusiva» di un consigliere comunale, Riccardo La Spina, il cui figlio, Fabio, fu destinatario di ordinanza di custodia cautelare proprio nell’operazione “Zeta”. Ma c’è anche l’intitolazione, «con gravi profili di illegittimità», nel marzo 2017, di una via cittadina ad Antonino Pinieri, un operaio comunale (storico autista e amico di Di Guardo) deceduto nel 2016, cognato del boss Orazio Pino, sicario e capomafia, poi pentitosi prima di essere assassinato a Chiavari. E anche il sequestro dell’Asd Città di Misterbianco (ex Asd Lineri), società di calcio ritenuta riconducibile ai Placenti (fra i calciatori tesserati anche un figlio e un nipote del boss Carmelo), oggetto di «complici agevolazioni e collaborazioni degli apparati politici e amministrativi del Comune», compreso lo “sconto” sul canone dello stadio (600 euro anziché i dovuti 3.000 annui) per farla trasformare «da piccola squadra di quartiere» a principale, se non unico, club della città.

Nella relazione c’è un ampio capitolo sulla burocrazia comunale. Anticipato dal giudizio degli ispettori della Prefettura sull’accoglienza ricevuta in municipio nel corso dei mesi di accesso antimafia: un «forte ostruzionismo, malcelato dietro una apparente collaborazione e disponibilità, messo in atto da gran parte dell’apparato amministrativo comunale». Con un dipendente “indiziato speciale” per omissioni e dichiarazioni «evasive e sfuggenti». Ma la commissione ha concluso il suo lavoro. Scovando molti elementi interessanti. A partire da «affinità» o «parentela» di almeno tre dipendenti comunali con esponenti mafiosi, in particolare i Placenti. Anomalie riscontrate nel settore dei rifiuti (già al centro dell’operazione “Gorgoni”), con un ex dipendente ritenuto «longa manus del clan Cappello» e un’«illegittima prosecuzione contrattuale» che avrebbe fruttato 435mila euro a una ditta. Inquietante (e quasi inedito) l’episodio di un dipendente «legato alla famiglia Placenti» a tal punto che uno dei mafiosi «si spinge fino a chiedere il furto di carte d’identità in bianco», nell’ufficio Anagrafe della frazione di Lineri, «che sarebbero tornate utili qualora esponenti del clan fossero stati costretti a “cadere latitanti”» . Sotto stress anche il settore manutenzioni, con «sistematiche e ricorrenti irregolarità connesse alla gestione di procedure di affidamento». Come minimo «illegalità», se non «fenomeni più gravi» come i lavori dati a due ditte (una di Misterbianco e una di Motta S. Anastasia) di un imprenditore trovato in un controllo, «a bordo dell’autovettura aziendale» con soggetti mafiosi.

Ce n’è abbastanza, secondo il prefetto Sammartino, per arrivare allo scioglimento per mafia, «un intervento di rigore a tutela della collettività dei cittadini che valga a ricostruire il corretto e fisiologico funzionamento del tessuto amministrativo e decisionale» del Comune. Liberandolo da due «contiguità» – una «compiacente» e l’altra «soggiacente» – con «interessi opachi o criminali». Poco dopo la pubblicazione degli atti, arriva il ruggito dell’ex sindaco Nino Di Guardo, che, dopo averle lette, parla di «48 pagine di chiacchiere e non una prova, non un solo episodio ove si dimostri l’infiltrazione o il condizionamento della mafia nella formazione della volontà dell’amministrazione comunale». Tutto ciò, per Di Guardo, «merita una sola risposta: vergogna, vergogna, vergogna!». Poi l’appello: «Cari concittadini, la verità prima o dopo verrà a galla e dimostreremo che Misterbianco ha subìto un complotto criminoso, un vero e proprio crimine di Stato». E infine l’annuncio: «Abbiamo presentato ricorso al Tar del Lazio per chiedere giustizia, smonteremo tutte le inesattezze e le supposizioni infondate e non ci fermeremo fino a quando verrà restituito al nostro comune l’onore che merita».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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