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«Risposta immunitaria anche negli anziani», speranze dal vaccino di Oxford

Di Redazione |

LONDRA – Cresce l’ottimismo sulla sperimentazione del vaccino anti-Covid sviluppato dall’Università di Oxford, dopo che i test clinici della cosiddetta fase 3 hanno evidenziato una robusta risposta immunitaria anche per le persone anziane, le più vulnerabili alla pandemia da coronavirus che è tornata a montare in queste settimane con particolare aggressività in Europa. Una forte produzione di anticorpi del tutto simile a quella che il prototipo britannico aveva mostrato già indotto tra il migliaio di adulti, di età compresa tra 18 e 55 anni durante le fasi precedenti dei trial, dallo scorso luglio.

Secondo il Financial Times, che anticipa la notizia citando due fonti anonime «a conoscenza dei risultati», il candidato vaccino è infatti in grado di stimolare, in presenza di livelli che sembrano confermarsi bassi di reazioni collaterali potenzialmente avverse, anche la produzione di anticorpi protettivi e di cellule T, il cui compito è identificare e uccidere gli agenti patogeni invasori o le cellule contagiate. Un risultato definito particolarmente «incoraggiante», dal momento che – come sottolinea il FT – molti altri tipi di vaccinazione, ad esempio contro l’influenza, risultano poco efficaci proprio tra gli anziani a causa dell’invecchiamento del loro sistema immunitario.

Pur indicandoli alla stregua di sviluppi «che inducono alla speranza», lo stesso quotidiano della City rileva peraltro come i test di immunogenicità positivi non possano ancora garantire che il preparato in questione – al cui studio partecipa fin dall’inizio anche l’azienda italiana Irbm di Pomezia, in cooperazione con il celebre istituto Jenner oxfordiano – si dimostrerà alla fine totalmente sicuro o efficace per le fasce d’età più a rischio. «Si tratta di una tappa fondamentale, e ci rassicura sul fatto che l’uso del vaccino è sicuro e induce forti risposte immunitarie nei gruppi di adulti», ha dichiarato in ogni modo un portavoce dell’ateneo inglese.

Il prototipo del prestigioso ateneo britannico è uno di quelli in fase più avanzata di sviluppo, nonostante una breve interruzione della sperimentazione lo scorso settembre, quando su un volontario era stata rilevata una grave infiammazione spinale, che le autorità di controllo hanno poi escluso essere stata una conseguenza diretta. Dalle informazioni disponibili ad oggi nel mondo risultano attualmente in fase clinica 52 candidati vaccini, di cui 10 (testati fra Cina, Russia, Stati Uniti, Paesi Ue, Israele e altrove) giunti alla fase 3.

Tra questi, per l’appunto, c’è quello di Oxford, che verrà prodotto su larga scala in caso di successo dal colosso farmaceutico AstraZeneca, e la cui sperimentazione è in corso su un totale di 50mila volontari nel Regno Unito, negli Usa, in Brasile e in Sudafrica: con diritti di prelazione già garantiti, al momento in cui si arrivasse all’auspicata commercializzazione di massa, in primis al governo britannico di Boris Johnson (che ha contribuito finanziariamente al progetto da subito) e a quello americano per Regno Unito e Usa, e quindi a vari Paesi europei Italia compresa.

La cooperazione fra Regno Unito e Italia sul fronte dei vaccini è stata del resto al centro proprio oggi di una conversazione telefonica fra il ministro della Sanità, Roberto Speranza, e il suo omologo britannico, Matt Hancock. Mentre si apprende che delle prime 20-30 milioni di dosi che AstraZeneca già si prepara a sfornare, l’Italia dovrebbe aggiudicarsene «2-3 milioni», stando a Piero Di Lorenzo, presidente dell’Irbm di Pomezia. «Il ministro Roberto Speranza – ha detto Di Lorenzo a Fanpage.It – ha fatto un miracolo a riuscire ad inserirsi nel gruppo di testa dei paesi europei che hanno prenotato il vaccino, e quindi l’Italia è in una condizione di vantaggio» nel continente.

Il primo ottobre l’Agenzia Europea del Farmaco ha intanto annunciato d’aver iniziato ad analizzare i dati del prototipo oxfordiano, secondo una procedura velocizzata nei tempi per accelerare l’iter di approvazione e garantire l’arrivo delle prime dosi il prima possibile, possibilmente entro la fine del 2020, senza però trascurare i necessari parametri di sicurezza. Se tutto andrà bene, si dovrà attendere il 2021 per una campagna di vaccinazioni globali diffusa. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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