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Nicolò Marino: «Ecco le Istituzioni che hanno coperto il sistema Montante»

Di Mario Barresi |

CATANIA. Nomi, cognomi. E, soprattutto, cariche. Tutte importantissime. Ministri, procuratori, togati, politici, imprenditori. È la Marino’s List. Sottotitolo: «Le istituzioni che hanno coperto il sistema Montante». Il magistrato catanese – oggi in servizio alla Corte d’Appello di Roma, dopo il burrascoso commiato da assessore regionale ai Rifiuti – rompe un lungo silenzio. Che durava dall’ultima intervista al nostro giornale, in cui Nicolò Marino per primo denunciò «le ingerenze del potere di Confindustria Sicilia nel governo regionale».

Da quel novembre 2014 a oggi sono cambiate molte cose…

«Quando segnalai lo strapotere di Confindustria nella gestione dell’amministrazione regionale in diversi settori con particolare riferimento a quello dei rifiuti, perché la vicenda Catanzaro docet, non era uscita la notizia che Montante fosse indagato».

E lei è tornato a fare il magistrato. Dopo la rottura con Crocetta.

«Proprio il grande conflitto che si originò dalla mia posizione ferma rispetto a Crocetta fece sì che io dovetti andarmene. Io avevo due possibilità: adeguarmi al sistema di Confindustria, perdendo coerenza e dignità, e restare in piedi. Oppure andare via, con le conseguenze per me e per la mia famiglia: lasciare la Sicilia, accettare un incarico altrove. Ebbene, io scelsi la dignità e la coerenza».

Ha pagato un prezzo per quella scelta?

«Potevo andare a ricoprire determinati incarichi fuori ruolo che mi avrebbero consentito di restare vicino alla linea politica che avevo scelto. Ma, forse sarà una coincidenza, ho trovato ostacoli dappertutto».

Oggi, invece, l’elenco degli accusatori di quel sistema s’è allungato.

«Sì, in ultimo c’è stata l’interrogazione parlamentare dei grillini. E prima ancora il “pentimento” di Marco Venturi, preceduto dalla posizione di Massimo Romano. Quando, molto prima, fui io a denunciare, da uomo delle Istituzioni, mi sarei aspettato che le istituzioni stesse cominciassero a prendere le distanze da chi aveva gestito come centro di potere questo gruppo di Confindustria. Invece non fu così. E io ebbi lo scontro con Crocetta, uscendo dalla governo regionale».

Ma le istituzioni non sono soltanto Crocetta.

«L’elenco è lungo. C’è un passaggio della relazione del presidente della Corte d’Appello di Caltanissetta, Salvatore Cardinale, che Montante lesse a modo suo, in cui si diceva che erano preventivati attacchi a Confindustria. I magistrati del territorio ben conoscevano la posizione di Montante, come dimostra la successiva notizia sulle indagini per mafia, che nascono prima. E che comunque, questo ci tengo a dirlo, sono andate avanti».

Quelle indagini nascono quando era pm a Caltanissetta. E dunque anche lei sapeva.

«Le dichiarazioni di Carmelo Barbieri (uno dei pentiti che accusa Montante, ndr) le raccolsi io, da pm a Caltanissetta, assieme a Sergio Lari nel 2009 e 2010. Io non feci nemmeno domande a Barbieri. Le fece Lari. La posizione di Montante era già ampiamente conosciuta».

Ed è a questo che alludeva quando nell’intervista ci disse «io e Lari eravamo assieme a Caltanissetta ed entrambi sappiamo chi è Montante»?

«Sì. Tutta Caltanissetta sa chi è Montante. C’è una parte che lo teme e un’altra che lo rifugge. Le istituzioni di Caltanissetta, tutte, ben sapevano chi fosse. Io sul “Fatto” criticai Lari che additava Montante come simbolo della legalità. Nessuno ne prese le distanze, ma addirittura arrivarono ulteriori tributi a questo sistema di potere, persino conclamato a simbolo della legalità nei discorsi di inaugurazione dell’anno giudiziario».

Si riferisce all’ex pg di Caltanissetta, Roberto Scarpinato?

«Non vorrei parlarne. Dico solo che l’avrei fatto più accorto in questa vicenda. Come poteva non sapere delle accuse dei pentiti a Montante? Poi c’è un altro fatto gravissimo che grida vendetta… ».

Quale?

«Il comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza. Il primo si fece per le stragi. Il secondo, alla presenza del ministro Alfano e di altissime autorità, si fa a Caltanissetta. Per celebrare le lodi di una persona che alcuni magistrati dovevano sapere che era indagato o iscritto sul registro delle notizie di reato. Fino alla goccia che fece traboccare il vaso».

Ovvero? A cosa si riferisce?

«Alfano fa un’altra operazione che doveva portare all’assoluto predominio di questa Confindustria: nomina Montante nel Cda dell’Agenzia dei beni confiscati alla mafia. È l’operazione, gravissima, che avrebbe completato il disequilibrio di Confindustria nella struttura più ricca al mondo per il valore dei beni. Ricchezza e potere di orientare le sorti della politica… ».

È l’inizio della fine, per Montante.

«Il sistema Montante, per ironia della sorte, non lo incrinano le istituzioni. Si mette in discussione da solo. Per l’eccesso di tracotanza, per la “hybris” del potere… ».

Il giocattolo si rompe. Perché proprio in quel momento?

«Il giocattolo Montante si rompe quando arriva all’Agenzia, perché proprio le istituzioni che avevano implementato il suo potere creano uno squilibrio nei confronti di quel tipo di Confidustria nella gestione dei beni. Determinando un potere straordinario nelle mani di Montante, manager comunque capace sotto questo profilo, e delle persone a lui vicine».

O magari Montante era arrivato così in alto. Una guerra fra antimafie: “old style” contro “parvenu”?

«Possiamo anche indicarla così. Mi sta chiedendo se c’entri don Ciotti con Libera? Io sono convinto che questo scontro nasca proprio da Libera, che poi incappa nello stesso errore. Perché diventa un’altra struttura, non più spontanea. Ma è un altro discorso… ».

Cosa le fa pensare che c’entri Libera?

«È una mia idea, io ne sono convinto. Ma non ho elementi per dimostrarlo. Posso solo dire che l’unico dato non allineato al consenso che viene fuori dopo la nomina di Montante nel Cda dell’Agenzia è la posizione di Libera, che comunque fino a quel momento non era certo in contrasto con quella Confindustria».

In che senso?

«Io feci una conferenza, assieme a don Ciotti, in una scuola di Lentini, alla quale era stato assegnato un bene proprio da Libera. In quell’occasione non posso dimenticare che don Luigi, persona di grandissima cultura, tesseva le lodi pubbliche di Montante e di Lo Bello. E io, nel mio intervento, anche allora lo criticai. Così come presi posizione contro questo modo fittizio di gestire l’antimafia di Confindustria in diverse occasioni, anche nel 2003 e nel 2004. Anche una volta in cui Lo Bello era relatore. La cosa che mi fa specie è che fior fiori di prefetti e di uomini delle Istituzioni hanno tessuto le lodi o si sono fatti fotografare al momento della firma dei protocolli di legalità, che erano la finzione più grande. Chiunque, anche l’uomo della strada poteva accorgersene. Eppure gli uomini delle istituzioni hanno fatto finta che fossero altro».

Continua a dire che tutti sapevano. Però anche lei sapeva. Perché non andò da un suo collega magistrato a denunciare?

«Io feci molto di più. Non solo le critiche e le denunce pubbliche nei convegni, non solo lo scontro con Crocetta perché mi battevo contro questo sistema, ma anche dettagliati riscontri nelle audizioni alle commissioni parlamentari d’inchiesta. E persino degli atti trasmessi ai colleghi, non soltanto della Procura di Palermo, sulla tracciabilità dei rapporti fra le società di Montante e soprattutto di Catanzaro con alcuni personaggi legati a Cosa Nostra. Tutto documento, carte alla mano. Ma di questo, magari, ne parliamo un’altra volta… ».

D’accordo. Riprendiamo il filo. A un certo punto, è il febbraio 2015, lo scoop di “Repubblica” su Montante indagato.

«Questo è un altro fatto esterno: il via libera a “Repubblica”, che quelle vicende le conosceva già da tempo. Perché le scrive allora e non prima? Ma le istituzioni che parteggiano per Montante sono sempre lì e subiscono questo attacco. A quel punto chi aveva il dovere di agire e aveva omesso fino a quel momento di farlo, finalmente interviene, spinto dalla pubblicità delle notizie sull’indagine a carico di Montante».

Ha avuto scontri durissimi con i vertici di Confindustria Sicilia.

«Non solo scontri e querele, di più. Io scopro oggi dal memoriale depositato da Montante che vi è allegato, con data maggio 2015, un esposto a firma Lo Bello, Catanzaro e Venturi, quest’ultimo evidentemente ancora non pentito, contro di me».

Cosa c’è in quest’esposto?

«Nell’utilizzo che ne fa Montante davanti al Tribunale del Riesame, emergerebbe che era in atto una sorta di complotto contro questa Confindustria antimafia. E di questo complotto farebbe parte il sottoscritto, perché così scrive un anonimo che ricevono Lo Bello, Catanzaro e Venturi».

E quali sono le accuse nei suoi confronti?

«Tramite l’avvocato Colonna orienterei le dichiarazione dei collaboratori di giustizia. Un’accusa che io oggi rileggo nel contesto di quelle dichiarazioni di Cardinale sugli attacchi a Confindustria. E l’altra accusa è che io gestirei delle intercettazioni illegali attraverso due ditte».

È indagato per questa vicenda?

«Mai sentito, né altro. Mi viene comunicato da persone di Caltanissetta, anch’esse accusate da Montante di essere dei complottisti. Io dico: ben venga. O si dimostra che Marino ha fatto davvero questa cosa, oppure chi ha utilizzato questo sistema sta ponendo in essere un’azione criminale contro uomini delle istituzioni. Venturi, fra i firmatari di quell’esposto contro di me, ha preso una posizione chiara contro Montante. Mi auguro che sia lui stesso a fare chiarezza sulla vicenda. Se non lo sentirà la Procura di Catania, chiederò di fare eventuali indagini difensive e di poter ascoltare la sua versione».

Perché Venturi ha rotto con Montante?

«Venturi è un po’ codardo. È sempre stato così. Cosa gli abbia chiesto Montante lo sa solo lui, ma secondo me si tratta di una cosa di palesemente e spudoratamente illecito. Perché, tutto sommato, Venturi è una persona perbene».

Lei ebbe uno scontro anche con Lo Bello.

«Lo Bello per me è un uomo che vive di luce riflessa. Paradossalmente stimo di più l’indagato per mafia Montante, rispetto a chi approfitta delle situazioni di convenienza».

Attenzione: non è mai nemmeno sfiorato da un’indagine.

«Io non dico che Bello non possa essere una persona perbene, dico che si è avvalso di questo sistema. Ed è uno che di male ne ha fatto abbastanza: anche lui firma l’esposto contro di me».

E Crocetta in questo quadro che ruolo ha?

«Crocetta è una persona amorale. Ed è perfettamente consapevole di quello che è avvenuto».

Vi siete mai più parlati dopo le sue dimissioni?

«L’ho sentito solo una volta, due anni dopo la mia uscita dalla sua giunta, perché non aveva redatto il parere per la mia ultima valutazione di professionalità attesa da Corte d’Appello di Roma e Csm. Lui, dopo aver esordito con un “che piacere sentirti! ”, mi disse: “Mi dispiace per quello che è accaduto”. E poi utilizzò queste parole: “Non sapevo le cose che tu sapevi”».

E lei gli crede?

«Crocetta è una persona di grande intelligenza. E di grande furbizia. Non so se è più furbo o più intelligente. Ma uno del territorio, così come lo è Lumia, non può far finta di ignorare quello che stava avvenendo, supportando il sistema Montante».

Lei dice: non potevano non sapere.

«Sarebbe un oltraggio all’intelligenza pensare che ignorassero o che fossero in buona fede nel non sapere del sistema Montante. Anzi le dico di più: lo stratega di questo sistema è proprio Lumia. L’anima nera di questo gruppo è lui».

A proposito di antimafia. Oltre alle indagini su Montante, un’altra icona caduta in disgrazia è il giudice Saguto.

«Io però porrei una distinzione. Mentre per la Saguto il nodo è nel modo di gestire i beni, e non nei provvedimenti emessi dal magistrato, il sistema Confindustria è la più grande finzione che un uomo delle Istituzioni di medio livello aveva il dovere di leggere. Così come l’abbiamo letta in tanti. Solo che in pochi abbiamo avuto il coraggio di parlare».

Perché questi silenzi? Connivenza, complicità? O cos’altro?

«Montante era riuscito a creare un rapporto istituzionale con vertici della Dia, con magistrati e con ministri. Ed è stato bravo a creare dei rapporti con i vertici che comandavano il Paese».

Di cosa stiamo parlando?

«Ho avuto notizia, fra altro documentata anche dall’allontanamento dell’ex capocentro della Dia di Caltanissetta dopo l’audizione in Antimafia, che uomini delle Istituzioni si erano spesso rivolti a Montante per ottenere alcuni vantaggi nella carriera. Evidentemente ritenendo che questo potere non fosse millantato. Di alcune nomine anch’io mi sono stupito, così come di inspiegabili blocchi di promozioni».

Ha appena parlato di «vertici che comandavano il Paese».

«Non dimentichiamo che il ministro Cancellieri lo definì “apostolo della legalità”. Quando sentii questa affermazione, chiamai il capo di gabinetto del ministro e gli dissi: “Ma come fai a non informare la Cancellieri di chi è Montante? ”. Ma del resto anche lo stesso procuratore Lari definì Montante “simbolo della legalità”. In un convegno giuridico, peraltro».

Lei dà per scontato che Montante sia colpevole. Ma l’indagine potrà finire con la constatazione che è un galantuomo. E in molti gli dovranno chiedere scusa.

«Io prescindo dall’esito dell’indagine, perché la magistratura non può svolgere la funzione di supplenza sotto il profilo morale, etico, amministrativo, politico. Sono proprio le Istituzioni che hanno consentito la crescita di Montante ad avere il dovere di non stare più in silenzio. Proprio per dimostrare di non essere asservite a quel sistema che si spera abbiamo supportato involontariamente».

Quindi l’invito che ha fatto Venturi nell’intervista al nostro giornale è legittimo?

«Legittimo e doveroso. Occorre una posizione dei governi regionale e nazionale. Una chiara presa di distanza rispetto a tutti gli uomini che hanno fatto parte del sistema Montante e anche di quelli che ne hanno preso le distanze. Oggi, ad esempio, non puoi più supportare Lo Bello».

Ufficialmente Lo Bello non ha mai preso le distanze da Montante. Ma alcuni giornali hanno parlato di gelo fra i due.

«Mi dicono che sia una finzione, un gioco delle parti. In ogni caso si sono sempre alternati, Lo Bello ha sempre respirato il sistema Montante. Il tema è questo: è Confindustria nazionale a dover fare pulizia al proprio interno. Squinzi non può far finta che non sta succedendo niente a Montante, aspettando l’esito della vicenda giudiziaria. Questa è la dimostrazione della collusione di questa Confindustria con il sistema Montante. Se il vertice nazionale non prende posizione, azzerando tutti gli uomini che di quel sistema hanno fatto parte, compresi quelli che fingono di aver preso le distanze o l’hanno fatto davvero, significa che assume una posizione di copertura».

È il momento della verità, dunque.

«Le istituzioni non possono più far finta di nulla. A partire dal signor ministro dell’Interno, Alfano, che si è permesso di fare un comitato nazionale a Caltanissetta e che ha il dovere un mea culpa soprattutto per aver cercato di supportare quel sistema con la nomina di Montante all’Agenzia dei beni confiscati».

twitter: @MarioBarresi

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