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Sorella Sanità, in dieci finiscono a giudizio ma spuntano nuovi scenari

Di Franco Castaldo |

La richiesta della Procura di Palermo, che ha dato il via all’inchiesta “Sorella sanità” (un vorticoso giro di mazzette per addomesticare appalti per forniture e servizi dall’importo di oltre 600 milioni) ha trovato concorde il giudice dell’udienza preliminare, Antonella Consiglio che ha disposto il giudizio immediato. Il processo comincerà il prossimo 1° febbraio.

Due sono le evidenze che subito vanno valutate: l’esclusione del reato di associazione per delinquere contestate in prima battuta, innanzitutto, a Fabio Damiani, ex manager dell’Asp di Trapani (oggi l’unico indagato rinchiuso in carcere) e la concessione degli arresti domiciliari all’imprenditore-faccendiere Salvatore Manganaro, l’uomo che, secondo l’accusa, studiava e riceveva le tangenti per poi cedere la quota parte al Damiani.

Ma non solo questo salta all’occhio. Si capisce subito che Manganaro non è più quell’indagato che nel dichiararsi pentito e con volontà di collaborare con la giustizia per più volte è stato bacchettato dai pm che hanno espresso parere sempre sfavorevole alle richieste di benefici giudiziari e, anzi, bollando Manganaro come dichiarante mendace e affatto collaborativo. Sferzanti i giudizi espressi sul suo conto dai pm che lo hanno definito un finto collaboratore con a cuore solo la difesa dei propri interessi e soldi. Tra maggio, quando scattò l’operazione, e settembre scorsi il percorso collaborativo di Manganaro e il suo travaglio interiore hanno subito modifiche palesi, rese evidenti dalle nuove dichiarazioni sottoscritte certamente in settembre, su sua richiesta, che hanno aperto scenari nuovissimi e corroborato le tesi dell’accusa.

Segnale ben colto dai pubblici ministeri che hanno adesso inserito Manganaro nella lavagna destinata ai “buoni”, valutando positivamente le intenzioni e le dichiarazioni rese e ritenendo, finalmente, il giovane manager di Canicattì un vero e proprio collaboratore di giustizia. Affievolite, grazie alle confessioni auto ed etero-accusatorie, le esigenze cautelari, breve è stato il passo che ha portato Manganaro a scontare la detenzione a casa. E a diventare principale teste d’accusa nel processo che inizierà a febbraio.

È anche opportuno evidenziare che il giudizio immediato è stato chiesto e ottenuto per i dieci indagati, adesso divenuti imputati, raggiunti da misura cautelare ossia, oltre Mangaanro e Damiani, gli altri manager e impreditori della sanità siciliana: Antonio Candela, ex manager dell’Asp di Palermo e già coordinatore per conto della Regione della taske force sull’emergenza Covid-19; Giuseppe Taibbi, ritenuto vicino a Candela e ai servizi segreti: Angelo Montisanti, della Siram e amministratore delegato di Sei Energia e Crescenzo De Stasio, anche lui della Siram; Francesco Zanzi, amministratore delegato della Tecnologie sanitarie; Roberto Satta, di Tecnologie sanitarie; Ivan Turola, membro occulto di Fer.Co e il nisseno Salvatore Navarra, presidente di Pfe.

Nell’inchiesta “Sorella sanità” sono complessivamente 23 gli indagati: diciotto le persone fisiche, cinque quelle giuridiche. Tra gli indagati, attualmente sotto inchiesta con procedimento a parte figurano l’imprenditore Vincenzo Li Calzi, 45 anni di Canicattì, vero prestanome di Manganaro, e il deputato regionale Carmelo Pullara, 48 anni di Licata, vicepresidente della commissione Salute nonché ex componente della commissione Antimafia dell’Ars, dalla quale s’è dimesso da oltre un mese. Per questi il Gip aveva rigettato le richieste di arresto, ma il ricorso dei pubblici ministeri ha modificato il corso della loro storia giudiziaria: prima Pullara e, appena ieri, Li Calzi sono destinatari di provvedimento di arresto (ai domiciliari) disposto dal Tribunale della libertà. Il ricorso dei loro legali in Cassazione avverso questa decisione ha bloccato i tempi di esecuzione del provvedimento che verrà eseguito solo dopo decisione definitiva.

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