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“Catania com’era”, in mostra la città che non ti aspetti

Di Pinella Leocata |

CATANIA – Una delle chicche delle “Giornate di Primavera” del Fai è la mostra “Catania com’era: dalle antichità alle difese della città” allestita nel convento di Santa Caterina da Siena, ora Archivio di Stato, a cura della direttrice dott. Annamaria Iozzia, dell’ing. Salvatore Calogero e del prof. Paolo Militello, visitabile fino al 31 maggio. Una mostra di documenti e di carte, come si conviene ad un archivio, ma non per soli specialisti dal momento che riserva sorprese e immagini inedite di grande interesse e tante notizie utili per una migliore conoscenza della Catania antica e medievale.

Il percorso della mostra parte delle antichità elencate in un volume del primo Seicento del geografo tedesco Cluverio che presenta gli autori greci e latini che nelle loro opere hanno parlato dell’antica Catania. Ci sono poi le carte autografe in cui il principe di Biscari chiede di essere autorizzato ad esporre nella collezione privata del proprio palazzo il Torso di Giove abbandonato nel palazzo senatorio. Il suo “museo”, infatti, conosciuto e apprezzato in Europa e meta dei viaggiatori del Grand Tour, dava prestigio alla città. In mostra anche la concessione con cui il Tribunale del Real Patrimonio lo autorizza, nel 1748 e nel 1768, ed effettuare gli scavi per fare riemergere i monumenti antichi, tra cui l’anfiteatro romano di cui alcuni studiosi, come D’Orville, avevano negato l’esistenza a Catania. Carte che mettono in evidenza come il devastante terremoto del 1693 ha avuto come effetto secondario quello di fare emergere i monumenti sepolti permettendo la riscoperta dell’antica identità di Catania. In questa prospettiva la mostra presenta mappe, ricostruzioni, acquerelli e stampe, a partire dalla famosa pianta di Catania di Ittar in cui indica tutti i monumenti antichi.

Ma una delle rivelazioni della mostra è la ricostruzione virtuale di un ambiente ritrovato nel 1827 sotto il reclusorio del Santo Bambino e poco dopo distrutto per “l’avidità” di alcuni. Si trattava di una casa di piacere in stile pompeiano, splendidamente affrescata, di cui la dott. Iozzia ha ritrovato alcuni disegni d’epoca risalenti al periodo in cui fu rinvenuta. Un edificio che Ittar, nella sua pianta, indicava come il monumento numero 49. Grazie ai documenti e ai disegni gli esperti dell’Accademia di Belle Arti hanno potuto ricostruire quello spazio su carta e in un Dvd che sarà proiettato durante la mostra.

Uno spazio particolare è dedicato alle terme romane, ed erano tante in città: le terme Achelliane, di Santa Sofia, di Sant’Antonio Abate, della Rotonda, dell’Indirizzo, di via Della Biblioteca, di cui restano alcuni ruderi, e dei Benedettini, terme il cui splendido pavimento fu ricomposto negli appartamenti privati di Palazzo Biscari. Resti delle colonne di altre terme sono stati ritrovati sotto il palazzo municipale, con iscrizioni simili a quelle Achelliane, segno che queste ultime si estendevano per tutta la piazza Duomo. E ancora stampe e carte autografe di Biscari rivelano l’esistenza di sepolcri affrescati sotto il convento di Santa Caterina da Siena, ora Archivio di Stato. E sarebbe importante trovare i fondi per uno scavo che consenta di capire se si sono conservate.

Spazio a sé poi va alle difese della città sulle quali resta il prezioso studio del prof. Giuseppe Pagnano. In mostra è possibile vedere dove sorgevano i bastioni di Catania, alcuni dei quali si sono conservati a Sant’Agata la Vetere, alla cortina di Gammazita, al Fortino Vecchio (in via Sacchero), e i bastioni San Giovanni, del Tindaro, degli Infetti, di San Michele e di San Giuliano.

Di grande interesse è anche la riproduzione del sarcofago di Costanza d’Aragona, conservato in cattedrale, sul cui laterale è scolpita l’antica platea magna con la loggia dei giurati e il duomo, il centro della Catania medievale prima della distruzione del terremoto. Un particolare che pochi catanesi conoscono. E ancora documenti su com’era Castello Ursino nel 1200 secondo la descrizione che ne fanno i frati francescani che avrebbero dovuto fare sorgere la loro chiesa nelle vicinanze e che raccontano della realizzazione di una grande porta in legno per permettere l’accesso al maniero federiciano di S. Agata e dei devoti in processione nei giorni che la celebrano.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA