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Anche in Sicilia si pensa al voto, riecco il progetto della Cosa Bianca

Di Mario Barresi |

Scena prima. Aula 2, piano terra del tribunale di Catania. Giovedì scorso, nel pomeriggio. Si celebra, a porte chiuse, l’udienza preliminare in cui si deve decidere se processare Luca Sammartino (assieme ad altri sei) per corruzione elettorale. Difetti di notifica e altri cavilli, tira aria di rinvio. E così sarà: se ne riparla il prossimo 25 novembre. Ma, in quella che sembra un’udienza-lampo di routine, irrompe un evento a sorpresa. 

L’imputato eccellente, che tramite il suo avvocato ha già depositato una mastodontica memoria difensiva, chiede di rendere dichiarazioni spontanee. Sammartino parla per poco più d’un quarto d’ora. Per discolparsi dall’accusa di aver dato posti di lavoro e aiutini vari in cambio di voti alle ultime Regionali e Politiche, «perché con alcune delle persone coinvolte ci conosciamo dai tempi dell’università» e dunque «non c’era bisogno di alcuno scambio, perché se ne avessero avuto bisogno avrei provato ad aiutarli comunque».

Ma “mister 32mila preferenze”, con la voce rotta dall’emozione, rivendica soprattutto la comune appartenenza a un «progetto politico coerente» costruito negli ultimi tre lustri da chi «oggi ha solo 35 anni» e adesso, a un passo dal processo, si sente come uno che è «finito dentro un film del paradosso».

Scena seconda. Casale Santa Ida, fra i filari di viti e le pale di ficodindia ai piedi della montagna Ganzaria. La prima domenica di settembre, il 6 scorso, giorno del patrono San Michele, Totò Cuffaro ospita «un pugno d’amici» nella sua tenuta. «C’è anche qualche auto della Regione col lampeggiante», si vocifera in paese. Ma i potenziali diretti interessati smentiscono. Pasta al sugo, salsiccia e costolette, tutto innaffiato da un Petit Verdon degli Erei. E per dolce un piatto forte del padrone di casa: «La vogliamo rifare la Dc?».

Tutt’altro che un rigurgito postprandiale di nostalgia. Un contenitore con dentro da Forza Italia all’Udc, da Matteo Renzi a Carlo Calenda. Un progetto che si fonda sul probabile ritorno al proporzionale e sogna una leadership «autorevolissima» come quella di Mario Draghi. Variabili nazionali decisive, per esaudire una voglia, ormai insopprimibile, tutta siciliana: riunire i moderati in una Cosa Bianca che nell’Isola può «arrivare anche al 25-30%», puntando a «guidare i comuni più importanti e anche la Regione».

Con la selezione di una nuova classe dirigente: Cuffaro pensa di formare 200 giovani in una sorta di accademia dello scudo crociato, invitando docenti del calibro di Ciriaco De Mita, Lillo Mannino, Marco Follini e Pierfedinando Casini.

L’orgogliosa autodifesa del giovane leone renziano, che vuole rimarginare le ferite giudiziarie. L’ambizioso progetto neo-democristiano dell’ex governatore che, scontando il carcere, i suoi conti con la giustizia li ha chiusi. In mezzo a queste due scene madri c’è quello che un vecchio occupante di scranni romani e palermitani definisce «il magma centrista, che non può stare più sottoterra». E che adesso gorgoglia in superficie. Fra molti ostacoli. Non è tanto una questione di anacronismo politico, piuttosto c’è la difficoltà di mettere assieme persone (e personaggi) che in qualche caso fra loro si detestano. «Ma non c’è fretta, il tempo è dalla nostra parte», confida uno degli ideologi più raffinati e nascosti.

Se non ci fosse l’ombra del rinvio a giudizio, il frontman ideale di questo progetto sarebbe proprio Sammartino. Che dalla sua, oltre alla giovane età e alla dote elettorale, ha pure la congiuntura politico-caratteriale di saper parlare con tutti. Compresi quelli che non si parlano fra loro. Totò Vasa-Vasa lo adora, considerandolo un suo «erede naturale», ma anche Raffaele Lombardo, molto più parco nei rapporti e nei giudizi, lo stima. Fino al punto di avergli già fatto subodorare, in caso di elezioni più o meno anticipate a Catania, l’appoggio a Valeria Sudano (stralciata dall’inchiesta sulla corruzione elettorale) nell’eventuale corsa da sindaca.

Ma gli Autonomisti sono già attovagliati con la Lega. La disponibilità data alla federazione in Sicilia ha bruciato sul tempo (e innervosito) il movimento di Nello Musumeci, che non ha ancora risposto all’invito. Il progetto, però, sembra ancora in lockdown. Ed è anche per questo che alcuni fedelissimi di Lombardo fanno trapelare subentrate perplessità sull’opzione salviniana. Ne hanno parlato con Saverio Romano, altro tassello imprescindibile di questo puzzle centrista, ma anche con l’assessore udc Mimmo Turano, sempre più insofferente alle angherie finanziarie del collega Gaetano Armao e con un posto sempre più minuscolo nel cuore del governatore.

Anche gli ex-Mpa sembrano interessati al progetto. Strategia del doppio forno (un classico del repertorio tattico del leader), oppure c’è qualcosa di più? C’è un altro indizio: fonti centriste riferiscono di una sorta di sondaggio, «ma ancora è anche meno di un pour parler», sulla spendibilità di Massimo Russo in un futuro scenario in divenire. L’ex assessore alla Sanità, rientrato in magistratura (da Napoli è tornato nella sua Palermo, al tribunale dei minori), potrebbe essere anche un nome per Palazzo d’Orléans? Il diretto interessato magari non ne sa nulla, né ha intenzione di rimettersi in gioco. Ma c’è chi lo evoca e lo invoca. E non è soltanto Lombardo, che aspetta fiducioso la sentenza del processo-bis d’appello per concorso esterno alla mafia, prevista fra fine anno e l’inizio del 2021.

Sammartino è l’anello di congiunzione con un altro protagonista assoluto di questa favola centrista: Gianfranco Miccichè. Fra i due c’è un feeling personale, talvolta ostentato nelle vicende dell’Ars, ma anche un asse politico. C’è addirittura chi sussurra di una proposta di entrare in Forza Italia, rivolta al golden boy renziano con la prospettiva che «tanto prima o poi finiremo tutti assieme e dunque meglio portarci avanti col lavoro».

Fantapolitica? Di certo c’è che Miccichè, nelle ultime settimane sempre più picconatore su Palazzo d’Orléans, è uno dei pochi ad avere la raffinatezza politica di sapere che il vero salto di qualità, per il cartello dei moderati, si ottiene soltanto se c’è una copertura a destra. E non è un caso che il presidente dell’Ars abbia il chiodo fisso di una cena per far parlare Sammartino (magari accompagnato da Edy Tamajo, renziano con radicati legami personali col leader forzista e familiari con Cuffaro) con un convitato non centrista, ma altrettanto interessato alla prospettive di «trovare un candidato alternativo a Musumeci per il 2022». Ed è su questo punto che si misureranno le reali ambizioni della Cosa Bianca siciliana. Si accontenterà di alzare il prezzo col governatore che ambisce legittimamente al secondo mandato? Oppure vuole davvero spostare l’asse del centrodestra a trazione salvinian-musumeciana, anche rischiando di rompere ed essere costretto a esplorare nuovi sentieri che potrebbero persino arrivare fino al Pd?

In attesa di capire se sono carne o pesce, i moderati siciliani devono risolvere la diaspora fra l’ex ministro Romano e l’assessore Roberto Lagalla: entrambi aspirano alla candidatura a sindaco di Palermo. In questo momento il favorito è l’ex rettore. E non soltanto perché pure Musumeci lo appoggerebbe, pur di togliersi un potenziale competitor per le Regionali, ma anche perché catalizzerebbe il mondo renziano e piacerebbe pure a Miccichè in odio a Romano. Che però non molla, forte dei 73mila voti alle Europee («da solo contro tutti», ricordano i suoi) e di un network di rapporti capitolini d’alto rango.

Eppure, in questo festival del ritrovato orgoglio centrista, c’è già una prima potenziale vittima sacrificale: Toto Cordaro. L’assessore regionale, espresso da Cantiere popolare, è accusato dai suoi di essere «diventato più musumeciano di Musumeci». Con annesso ultimatum: «Se vuoi continuare a fare il cameriere del presidente, fallo pure. Ma entrando nel suo movimento e non con i nostri voti…». Come dire: anche i moderati, nel loro piccolo, s’incazzano.

Twitter: @MarioBarresi

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