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Anche in Sicilia parte il cantiere giallorosso, tra prime volte e gelo dei renziani

Di Mario Barresi |

CATANIA – Chi l’avrebbe mai detto. Anthony Barbagallo e Giancarlo Cancelleri, l’uno accanto all’altro, a comiziare per una candidata sindaca condivisa. Succederà anche questo. Domani sera, per un aperitivo elettorale al lungomare di Termini Imerese a sostegno di Maria Terranova, grillina che nel santino sfoggia il simbolo del Pd, ma anche di una lista civica col logo dei Cento Passi di Claudio Fava. Che, l’altro ieri pomeriggio a Palermo, ha presentato la relazione dell’Antimafia regionale sul “sistema Montante”, accompagnandosi allo stesso Barbagallo e al deputato regionale cinquestelle Luigi Sunseri. Termitano doc, definito «piscialetto» dall’ex senatore Beppe Lumia quand’era un giovane e impertinente candidato sindaco grillino nell’ex città della Fiat, Sunseri è stato il traghettatore dell’accordo.

Ne è passata, di acqua sotto i ponti. E adesso che Termini è il primo stress test giallorosso delle prossime Amministrative (molto più complicata la sfida del civico Antonio Mamì a Barcellona, l’unico altro candidato su cui l’alleanza è compatta), tutti – Pd, M5S e sinistra – cominciano a pensare ai prossimi passi da compiere in Sicilia. Facendo tesoro della lezione delle Regionali di tre giorni fa: se solo talvolta l’unione fa la forza, la disunione è sempre una debolezza.

Certo, essere riusciti a stare assieme soltanto in due comuni su 61 non è un punto di partenza entusiasmante. «Ma siamo partiti in ritardo – ammette Sunseri – anche perché il via libera su Rousseau a noi è arrivato soltanto il 14 agosto». Il fattore tempo è decisivo. E prima delle Regionali siciliane, che saranno una specie di “mundialito” per il governo di Giuseppe Conte a pochi mesi dalle Politiche del 2023, di tempo ce n’è più che a sufficienza. Per evitare «l’errore compiuto nelle Marche», ricorda Barbagallo citando i rimpianti di Nicola Zingaretti. «Avremmo potuto vincere anche lì, così come vogliamo vincere in Sicilia nel 2022, costruendo per tempo una chiara alternativa alla destra e a Musumeci».

Ma come? Con quale percorso? Fava (che potrebbe anche essere il candidato governatore di sintesi) il modello ce l’ha chiaro in testa. Ed è sideralmente distante dalle sue precedenti corse solitarie: «Non dev’essere un’operazione algebrica, ma un incontro naturale. Non dobbiamo sommare le nostre storie, ma metterle una accanto all’altra. E, dentro questa capacità di essere insieme, l’identità diventa parola plurale».

Certo, l’opposizione al governo Musumeci è un minimo comune denominatore. Ma non basta per far stare tutti sotto lo stesso tetto in campagna elettorale. Ed è per questo che il presidente dell’Antimafia regionale aggiunge la pars construens: «Vogliamo costruire una coalizione che abbia come cuore un’idea di sviluppo della Sicilia, soprattutto una pratica di governo che non debba obbedire a nessun grande elettore, che si ritenga libera di potere avviare le grandi riforme che l’Isola aspetta senza chiedere permesso a nessuno».

Insomma, i buoni propositi ci sono tutti. Sul dosaggio degli ingredienti c’è ancora qualche perplessità. Perché è vero che Sunseri – da sempre in piena sintonia con lo storico leader siciliano Cancelleri, ma in ottimi rapporti con tutti gli altri big pentastellati – ammette che «le ragioni dell’alleanza stanno anche nei risultati delle Regionali di questi giorni», quasi sottintendendo che il peso specifico del M5S non è più tale da potersi permettere l’uno contro tutti con cui «tre anni fa sfiorammo la vittoria sulle liste corazzate». Ma è vero pure che fino al 2017 «il Pd era al governo con Crocetta, un disastro rispetto al quale solo Musumeci, con un’impresa titanica, sta riuscendo a fare peggio».

E dunque per i dem c’è un pedaggio da pagare in un’alleanza in cui «a tirare la carretta dev’essere il movimento», che ha avviato «un percorso sia con i sindaci civici sia con Pd e sinistra». Sunseri rivendica il peso grillino in Sicilia, pur sapendo che le percentuali bulgare delle Politiche 2018 sono un bel ricordo.

Ma Barbagallo non fa mistero del preciso input lanciato dal segretario Nicola Zingaretti dopo i risultati di lunedì. «Possiamo rivendicare la nostra forza, anche sbattendo i pugni sul tavolo se necessario». E, in questo contesto, lo schema di gioco sembra un po’ diverso da quello idealizzato dai grillini: «Bisogna rafforzare l’asse col M5S – ammette il segretario regionale del Pd – ma in un contesto più ampio: un campo largo che arrivi anche a Italia Viva e alle forze moderate». L’ex assessore espone come modello virtuoso la presenza dell’Udc nell’alleanza in due comuni: «A Enna direttamente col simbolo e a Bronte con una civica chiaramente identificabile».

E se Barbagallo insegue i post-dc, per Sunseri è già una potenziale pregiudiziale il rapporto con i renziani siciliani. Per il deputato del M5S «all’Ars sono un tutt’uno con Forza Italia, Sammartino e Miccichè camminano attaccati come gemelli siamesi». Sarà un passaggio delicato. Anche perché i diretti interessati – e questa è un’altra notizia – sembrano disinteressati, se non addirittura defilati.

Sentito da La Sicilia, Nicola D’Agostino non fa alcun cenno a quel «campo largo siciliano» di cui detiene il copyright. «Il nostro dato nazionale è oltre il 5%, superiore ai sondaggi. C’è tempo per crescere, intanto è già tanto non essere morti -si limita a dire il capogruppo di Iv all’Ars – considerate le scortesie, gli attacchi e il fuoco amico degli ultimi dodici mesi». Nessuna parola, nemmeno su espressa sollecitazione, circa Pd e M5S. Ma non è che sta davvero pensando al grande centro? «È una suggestione. Che non dipende certo solo da noi, ma dalla generosità e intelligenza di tanti interlocutori autorevoli…».

Twitter: @MarioBarresi

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