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Vincenzo Giambra, un “cervello di ritorno” dal Canada all’ateneo di Catania

Di Redazione |

I cervelli fuggono, i cuori ritornano. Vista con il cuore, dalla baia di Vancouver, l’Italia è un posto dove si può scommettere sul futuro, trovare le risposte, recuperare le proprie radici. Un Paese dove si vuole tornare «per mettere a frutto nel proprio territorio le esperienze raccolte altrove». Vincenzo Giambra, 38 anni, nato a San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, è una di quelle eccellenze italiane colpevolmente esiliate all’altro capo del mondo: da quasi 10 anni fa ricerca al Terry Fox Laboratory della British Columbia Cancer Agency di Vancouver, in Canada. Studia lo sviluppo delle leucemia di tipo T-All, «per individuare in modo più preciso le cellule che sono più aggressive nell’avanzare del tumore».

Grazie al bando “Brain2South”, con il quale sono stati stanziati fondi per 3,36 milioni di euro per undici progetti, è uno dei tre siciliani – con Nunzio Iraci e Valentina Lauria – che torneranno nell’Isola. Il progetto di Giambra ha trovato “casa” al dipartimento di Scienze biomediche e biomolecolari dell’Università di Catania. «Mi sento confuso e felice», si racconta al telefono con una risata. «Sono molto contento di aver avuto questa opportunità di ritornare e pieno di entusiasmo», aggiunge.

La scienza è nel suo dna: il papà ha insegnato matematica nei licei, la mamma lavora all’ufficio chimico dell’Arpa. Ha un fratello e tre sorelle (tra cui un chimico e un medico). Lui ha frequentato l’università a Palermo, poi il master in Applicazioni biotecnologiche a Roma, il dottorato a New York, quindi nel 2007 l’approdo a Vancouver dove si trasferisce con la moglie, romana, studiosa di botanica che fa ricerche su come si propagano i girasoli. «Vancouver è tra le città migliori per la qualità della vita: vado al lavoro in bicicletta, ci sono bellissime montagne e grandi parchi, i canadesi sono sono molto socievoli e ospitali», racconta. La comunità italiana non è molto ampia, «ma nel corso di questi 10 anni è cresciuta. Arrivano ingegneri, meccanici specializzati, persone qualificate. Nel mio dipartimento ci sono 4 ricercatori, tutti con il dottorato». Si organizzano feste, incontri, l’asilo per i bimbi. Una volta l’anno si cerca di tornare a casa. «Cosa mi manca di più? Decisamente il cibo», dice sorridendo. Poi si fa serio: «Mi manca il nostro modo di vivere, il senso di appartenenza, la memoria. Ho un figlio di 4 anni e mi pesa l’idea di non trasmettergli la nostra cultura. Abbiamo tante cose buone che spesso non riusciamo a vedere». La sua visione del futuro è in un Paese dove si può crescere, guardare avanti. «Andare via dall’Italia e dire che che è tutto brutto, che bisogna buttare tutto non credo sia d’aiuto. Penso invece che dobbiamo cercare di attivarci per sviluppare il nostro territorio». Andare all’estero è diventato un percorso obbligato? «Non è che si debba per forza trasferirsi in un altro Paese, ma può essere utile per avere più opportunità, entrare in contatto con altri centri di ricerca, acquisire competenze diverse. Fuori dall’Italia ci sono più borse di studio, più fondi, stipendi più sicuri. Si investe nella ricerca. In Italia ci sono ottimi laboratori e professori molto preparati, ma le possibilità di avere delle offerte a volte sono limitate. In ogni caso entrare in contatto con altre culture aiuta a capire meglio il mondo. Il problema secondo me è ritornare! – ride – In tanti vanno all’estero per fare un’esperienza di studio o professionale che vorrebbero spendere nel proprio territorio ma poi non riescono a rientrare perché non ci sono le opportunità».

E’ anche il suo caso: qualche anno fa Giambra aveva fatto tenuto un corso all’università di Palermo, ma per un periodo limitato. Stavolta il progetto durerà tre anni. «E’ nato con spirito di network – spiega – con l’idea di trasferire e confrontare conoscenze e metodi, creare contatti, aprire collaborazioni tra un centro siciliano e uno straniero. Il futuro? E’ anche questo un progetto limitato nel tempo, ma mi piacerebbe poter continuare. Sono felice dell’opportunità di collaborare con il gruppo catanese del professore Drago».

La cosa che ha imparato di più in questi anni in Nord America «è l’indipendenza dal punto di vista scientifico»: «In Canada ti spingono molto a pensare al tuo progetto, a trovare i fondi per realizzarlo, ad andare per la tua strada. Se hai un’idea cercano di sostenerla, la incentivano». I rapporti con l’industria farmaceutica non sono molti. «L’istituto di cui faccio parte è una fondazione privata, come potrebbe essere il Telethon, per intendersi», specifica. «Ci sono contatti, ma la ricerca in laboratorio è sganciata dalle aziende». Giambra fa ricerche di biologia cellulare «per determinare le differenze tra un paziente e un altro e individuare in modo più preciso le cellule staminali tumorali». Confessa di aver sempre avuto la passione per l’ematologia. A Catania le sue ricerche si focalizzeranno sulle leucemie di tipo T-All e «sull’ottimizzazione di un nuovo sistema di diagnosi «che permetterà di caratterizzare la diversità all’interno delle cellule leucemiche, in particolare un tipo di cellule staminali che si pensa abbiano la capacità di propagare in modo più aggressivo il tumore».

Qualche volta – ammette – ha pensato di aver fatto la scelta sbagliata. Spesso non ha avuto troppo tempo per rifletterci sopra perché doveva tenere duro. «Ci si muove in un mondo competitivo, con colleghi che magari sono più avanti, hanno un altro background. Ma la ricerca si fa solo per passione. E al Terry Fox Laboratory puoi dimostrare anche quanto vali».

Dalla baia di Vancouver, osservata con il microscopio, l’Italia rivela luci e ombre, ma anche tante speranze. «La Sicilia? La trovo – si ferma a cerca il termine adatto – un po’ immobile, forse un po’ rassegnata. Mi fa arrabbiare che non cambi mai niente e soprattutto che si creda di non poter fare niente. E’ importante non arrendersi, cercare di migliorare la propria terra. Anche solo per una virgola».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA