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Licia Romano, l’archeologa catanese che scava a sud dell’Iraq

Di Giuseppe Petralia |

Dottoressa Romano come le è nata la passione per l’archeologia?

«E’ nata al primo anno delle scuole medie. Ricordo ancora le meravigliose lezioni del Prof. Luigi La Rosa della scuola media Nino Martoglio che mi ha trasmesso la sua passione per l’arte e l’amore per l’archeologia del Vicino Oriente. Ho avuto la fortuna di formarmi a Roma, all’Università “La Sapienza”, con il Prof. Paolo Matthiae, scopritore di Ebla. L’esperienza acquisita, grazie agli scavi in Siria e ad Ebla, mi ha consentito di lavorare al fianco del Prof. Franco D’Agostino, dando inizio e portando avanti, ormai per oltre 5 anni, le attività di scavo nel sito di Abu Tbeirah, che si trova alla periferia della città di Nasiriyah, luogo tristemente noto per l’attentato ai nostri Carabinieri . La Missione è finanziata dalla Cooperazione Italiana del Ministero degli Affari Esteri, col supporto dell’Ambasciata d’Italia a Baghdad».

Qual è il vostro compito in Iraq?

«Da oltre cinque anni portiamo avanti gli scavi ad Abu Tbeirah, poco lontano da Nasiriyah. Si tratta di un’antica città che ha conosciuto la sua epoca d’oro circa 2500 anni prima di Cristo. Il mio team è formato da specialisti italiani e iracheni di varia formazione ai quali si aggiunge una squadra di operai del luogo. Oltre alle operazioni di scavo nel sito, stiamo effettuando della manutenzione ai monumenti della città di Ur, la patria di Abramo. Questo sito è stato inserito nella Lista dei siti Patrimonio dell’Umanità».

Che tipo di vita svolge a Nassiriyah di fronte al pericolo dell’Isis?

«Per ragione di sicurezza ci muoviamo con la scorta, ma debbo dire che il nostro rapporto con la gente locale è ottimo perché c’è un rispetto e anche un affetto reciproco: posso proprio dire di sentirmi ormai a casa in Iraq, con una vera e propria “famiglia irachena”. Inoltre l’apporto del nostro lavoro, al fine della protezione e valorizzazione del patrimonio culturale iracheno, è molto apprezzato dai colleghi e dalla popolazione locale. La giornata tipica inizia con la sveglia alle 4 di mattina, in modo da essere alle 5 in cantiere e finire il lavoro prima delle ore più calde. Al lavoro sul campo poi segue quello di documentazione in casa, tramite l’uso delle tecniche più moderne. Per quanto poi riguarda il pericolo legato ad Isis, questo è un elemento che influenza ben poco la nostra permanenza in Iraq. I territori sotto il controllo di Isis sono molto distanti e oltre alla presenza della scorta, diventata ormai la nostra famiglia, non abbiamo nessuna avvisaglia di un pericolo imminente. La vita nell’Iraq è entusiasmante, resa tale dall’accoglienza dei i nostri amici e fratelli iracheni, con cui ormai è un abitudine andare a bere un thé nella Piazza dedicata al poeta Habubi.»

Cosa c’è del femminile nel lavoro di archeologa?

«Posso rispondere con un’altra domanda: cosa c’è di maschile nell’archeologia? Niente, perché non vedo nessun lato strettamente legato ad un genere o all’altro nel lavoro. Di certo lavorare senza guanti per poter toccare il terreno, giudicare cosa conservare e cosa scartare ti da il brivido della scoperta e molta adrenalina. Questo lavoro ti dà anche dei riconoscimenti, come quello ricevuto durante un mio rientro a Catania, dove io ed il collega Franco D’Agostino, durante una conferenza sul nostro lavoro in Iraq, organizzata dal Rotary Catania Duomo 150, abbiamo ricevuto dal presidente, dott. Nino Prestipino, la carica di soci onorari, quali ambasciatori di cultura e di pace». 

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