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La mappa ragionata del Pd in Sicilia. Barbagallo, resa dei conti rinviata

Il nodo De Luca e la linea no-Ponte di Schlein

Di Mario Barresi |

Può un partito descritto come una polveriera approvare all’unanimità la relazione del segretario alla direzione regionale? Sì, se si tratta del Pd siciliano. Che ha la doppia tradizione dei guerrieri delle tribù in guerra e delle pecorelle mansuete in greggi allineate con chi comanda a Roma. Nell’Isola il partito è stato turborenziano quando c’era Matteo Renzi (con qualche eccezione, come la rivolta dell’allora giovane militante Peppe Provenzano), molto zingarettiano sotto Nicola Zingaretti, pacificamente lettiano con Enrico Letta. E adesso, nonostante in pochi fra i colonnelli vecchi e nuovi non abbiano sostenuto Elly Schlein al congresso più divisivo della storia recente, il Pd regionale vive la sua ovvia fase schleiniana. Incarnata, appunto, dal segretario Anthony Barbagallo, che invece la sua puntata alle primarie l’ha vinta.

E, pur essendo in tanti ad aspettare la resa dei conti congressuale, il deputato nazionale di Pedara può dormire sonni tranquilli di quelli del Nazareno. Non c’è stato e non ci sarà, almeno a breve, alcun addio di esponenti significativi dell’area moderata. Né crisi d’identità né autocoscienza in un gruppo dirigente abituato saper prendere la forma dell’acqua. E dunque non è in gioco la fedeltà alla linea Schlein (che ieri in direzione nazionale ha ringraziato il Pd di Messina per la manifestzione No-Ponte, mettendo in difficoltà i tanti già esposti sul fronte dei favorevoli all’opera), semmai il conto alla rovescia per la fine della segreteria Barbagallo. Graziato, oltre che dalla favorevole congiuntura nazionale, anche da una tregua armata con gli altri capicorrente.

Gli unici a chiedere esplicitamente il congresso sono l’orfiniano Antonio Rubino (liquidato dal correntone con un velenoso «non ha nemmeno il suo voto, perché vive a Torino») e Teresa Piccione, “fantessa” di prima linea del più acquattato Peppino Lupo, non meno esacerbato contro il su ex “gemello diverso” franceschiniano. Ma per ora non se ne fa nulla. Del resto lo stesso Antonello Cracolici, in direzione regionale, è stato chiaro: «Non è il momento del congresso. Ma il partito deve fare il partito». Il problema è come farlo. Con l’idea espressa ieri dalla segretaria nazionale, ovvero con Pd sempre più «aperto» e allo stesso tempo «militante», oppure con la tendenza emersa sabato in Sicilia, «con il 97 per cento degli interventi dedicati a posizionamenti, ricollocamenti e tattiche».

Certo, la strategia delle alleanze è importante. Fallita in due comuni su tre la “triplice” assieme a M5S e Cateno De Luca, bisogna capire il da farsi. C’è chi – come ad esempio il capogruppo all’Ars, Michele Catanzaro, il meno allineato con gli Elly-boys, vorrebbe continuare il dialogo con “Scateno” in prospettiva Regionali 2027, magari ripetendo il test alle Provinciali prossime future. Sulla prospettiva “Scateno” c’è il netto no di Rubino (coordinatore di Left): «Siamo profondamente contrari e pronti a una battaglia politica per salvare il Pd da deriva consociativa e pericolosissima». Il segretario Barbagallo sembra propenso al dialogo (all’inizio abbozzato già alle scorse Regionali), ma prudente. Anche perché ha ancora sulla sua pelle le cicatrici del tradimento grillino. A proposito: sull’asse con il M5S in Sicilia nessun dubbio, a parte il distinguo di Mirello Crisafulli che chiede di «valutare situazione per situazione, perché ci sono posti dove questi hanno il due per cento».

Senza dimenticare le vertenze ancora aperte, anche se addormentate per quieto vivere, a Trapani (dove sulla mancata concessione del simbolo del Pd al sindaco poi rieletto Giacomo Tranchida s’è consumato l’ennesimo scontro fra il deputato regionale Dario Safina e il primo dei non eletti, sconfitto anche nel ricorso, Domenico Venuti) e a Siracusa, dove invece l’altro deputato dell’Ars, Tiziano Spada, al ballottaggio ha giocato la sua partita a favore del bis del calendiano Francesco Italia contro le indicazioni ufficiali del gruppo dirigente locale, in parte tentato dal sostegno al candidato del centrodestra Ferdinando Messina.

L’altro tema, semmai, è il potenziale disallineamento fra il partito e il gruppo all’Ars. Quest’ultimo sembra vivere di vita propria: indipendente da Barbagallo, senza essergli ostile. Critiche sussurrate e solo talvolta esternate. Con diverse anime – dal vecchio saggio Giovanni Burtone, critico ma senza esasperazioni, al promettente (ma sin qui troppo boy scout) Fabio Venezia, dal meno schleiniano di tutti, l’ex forzista ed ex renziano Nello Dipasquale, sempre campione di preferenze, alla cuperliana Valentina Chinnici – tutte in attento ascolto rispetto alle esigenze dei rispettivi territori, ma che ancora forse incapaci di “fare gruppo”. E soprattutto di incidere su alcuni temi del dibattito regionale. Sì, perché magari la qualità dell’opposizione al governo regionale di centrodestra non la fa il numero di interrogazioni e interpellanze (molte delle quali legate a temi dei singoli collegi di provenienza), ma l’importanza degli argomenti e l’efficacia – comunicativa, ma soprattutto politica – delle battaglie che si decide di portare avanti. Sergio Lima, l’ultimo arrivato nelle stanze dei bottoni regionali dem eppure il dirigente siciliano più ascoltato al Nazareno, prova a dirlo col dovuto rispetto in video-call: «Serve uno sforzo in più». Sulla sanità pubblica (come chiesto ieri dalla segretaria), sulla corruzione nelle stanze della Regione (come auspicato dal presidente dell’Antimafia regionale Cracolici), sui rifiuti. Ma tutto è possibile, anche un benefico colpo di reni all’Ars, in un partito che – con le stesse facce – in Sicilia è stato pro-Ponte con Renzi e si prepara a essere contrario in ossequio a Schlein.Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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