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Intervista esclusiva a Musumeci: «Il mio è il governo più solido degli ultimi 20 anni»

Dalla ricandidatura agli accordi politici con Meloni fino ai rapporti con il centrodestra, colloquio a tutto campo con il presidente:  «Accordo con Giorgia?  No, oggi c’è solo un dialogo». «Io e Miccichè diversi: alla nostra età meglio accettarci, in malafede chi ci fa litigare. Il fratello? La tecnocrazia non dà risultati»

Di  Mario Barresi |

Presidente Nello Musumeci, andiamo subito al sodo: si dà per imminente la chiusura dell’accordo fra lei e Giorgia Meloni. Quanto e cosa manca all’ufficializzazione?

«Non so perché, ma mi aspettavo, come prima domanda, un commento sul raggiungimento per il quarto anno di fila degli obiettivi di spesa comunitaria. Avere trovato 7  milioni di fondi Ue certificati, al mio insediamento, pensavo mettesse a rischio tutto il programma. Immagina cosa avreste scritto se la Sicilia avesse dovuto restituire milioni a Bruxelles? Invece, siamo oltre i due miliardi, solo sul Fesr. E quest’anno abbiamo superato di decine di milioni l’obiettivo posto dalla Commissione su tutti i programmi. Dopo quattro anni di governo, senza mai un giorno di crisi, ritengo che tanto i leader della coalizione, quanto soprattutto i cittadini, vogliano prima di tutto conoscere i dettagli del nostro lavoro. È ciò che Giorgia Meloni mi ha chiesto nei nostri incontri recenti, con lei ci conosciamo da tanti anni. Era molto giovane e oggi è leader di una delle principali forze  nazionali. È riuscita in un’impresa alla quale non credevo e oggi si è data l’obiettivo di unire il fronte conservatore. Stiamo dialogando e basta».

La sua eventuale collocazione politica avrebbe un rilevo nazionale. E, da uomo di destra, sarebbe un ritorno a casa.

«Comprendo bene, non sono nato ieri, che la collocazione del governatore della più grande regione italiana nel panorama politico nazionale possa essere un argomento di un certo interesse, per gli addetti ai lavori. Io, tuttavia, ritengo che il presidente della Regione, nell’anno che porta al voto, quindi al giudizio dei cittadini, debba rendere conto del suo operato. Nel mio messaggio di auguri ai siciliani ho scandito una parola: amministrare. Alcuni mi rimproverano di aver tralasciato la “politica” e di essermi buttato a capofitto nell’amministrazione. Non hanno capito che è stata la più politica fra le scelte, forse la più alta che si potesse compiere in un  momento così  difficile – Leoluca Orlando parlava, col precedente governo, di “calamità istituzionale” – per la nostra Isola. Tra qualche giorno, entro la fine del mese, presenteremo il resoconto di quattro anni: fatti, non chiacchiere, che hanno inciso sulla vita di milioni di persone. Lei ricordava la mia appartenenza alla destra. Non sarà certo una “riscoperta”, è la mia vita. Ma la destra è apertura, non chiusura. È futuro, non passato. È arte del governo, non gestione del potere. E, soprattutto, è rispetto delle idee altrui».

Ricevuto: non vuole parlare del suo rapporto con FdI. Ma  c’era stato anche un flirt con Salvini. Che  le aveva offerto un patto federativo con la Lega. Perché non ha accettato? Cosa è andato storto?

«Ho incontrato più volte in questi quattro anni Salvini, con il quale ho sempre parlato prima di tutto dei problemi dei siciliani, chiedendo il suo aiuto nelle interlocuzioni con il governo centrale. Ho sempre trovato ascolto. Abbiamo parlato, di recente anche assieme al segretario regionale Minardo, di infrastrutture, agricoltura, difesa dei confini, sicurezza nazionale. Da ministro ha avuto attenzioni su due questioni per noi rilevanti: migranti e mafia. Sulla prima, la differenza oggi è sotto gli occhi di tutti. Anche quando abbiamo parlato di politica, c’è sempre stato grande rispetto da parte di entrambi, a partire dalle scelte delle classi dirigenti locali che devono essere comprese e salvaguardate. Sa, alcuni, forse per tentare di sminuire, dicono che io sia alla guida di un piccolo movimento locale – anche se tanti sondaggi ci danno molto vicini alle due cifre – ma nei territori chi deve poi confrontarsi con la nostra classe dirigente preferisce essere alleati, ma ciascuno con il proprio simbolo. Va compreso e io ho il dovere di manifestare attenzione per i leader della coalizione e ricercare unità sui territori. Lo stesso rispetto nutro per il presidente Berlusconi, da sempre. Ci siamo sentiti poco prima di Natale».

Non teme che ricandidarsi  con l’imprinting di Fratelli d’Italia possa far storcere il naso proprio alla Lega, che, in base a  un accordo fra i big  del centrodestra, rivendica la candidatura in Sicilia?

«Intanto con la Meloni c’è a oggi solo un dialogo e un’intesa sugli obiettivi comuni. Chi dipinge il centrodestra come una coalizione col bilancino, divisa o pronta a dividersi, non vede lo sforzo epocale che Berlusconi, Meloni e Salvini, assieme agli altri partner, compiono giornalmente. Se mi consente è uno sforzo grande ricercare l’unità, le ragioni che fanno stare assieme. Il centrodestra governa attraverso le Regioni il 70% degli italiani. E le Regioni sono state determinanti per garantire la coesione nazionale durante la pandemia. Sono certo che per tutti i leader, nessuno escluso, conta anzitutto il risultato finale. Si è governato bene in Sicilia? Se prevalesse una diversa valutazione sarei pronto al confronto, per spiegare le ragioni di quattro anni di impegno, da dove siamo partiti e dove siamo. Ma c’è ancora quasi un anno di lavoro: dedichiamoci a quello».

I sondaggi la danno vincente. Eppure nessuno degli alleati ha ancora detto sì alla sua ricandidatura. Così come nessuno ha detto no. Perché questo stallo?

«È normale dialettica interna. È sempre stato così, anche nel centrosinistra. Basti pensare a quanto accaduto in Campania o in Puglia. So che ancora per qualche mese si discuterà. Lo rispetto e conosco la logica degli “stop and go”. Per questo penso che il dovere del governo sia lavorare e non farsi distrarre, ma invito chi dialoga a farlo nel merito perché c’è un rischio che non vale per il presidente, ma coinvolge tutte le forze politiche: alimentare un dibattito per  evidenziare divisioni che non ci sono può creare disorientamento tra i cittadini. Il nostro è il governo più solido e stabile che abbia avuto la Sicilia negli ultimi vent’anni».

Quasi tutti  ammettono che nel centrodestra siciliano oggi non c’è alternativa a Musumeci. L’unico nome  forte emerso è quello di Gaetano Miccichè. Lei  ha definito il governo Draghi «un’anomalia», ma chi sogna un “Draghi di Sicilia” ha in testa un modello diverso da Roma: un  manager, ma espressione del centrodestra. Non teme che, al di là delle smentite, l’ operazione stia ancora covando?

«È un tema che non mi riguarda. Ricorda quando nel 2017 proprio lei raccoglieva interviste sulla proposta di grande coalizione per battere i grillini? Tutti, forse un po’ anche lei, pensavano che il centrodestra, diviso da ben più di una legislatura, non riuscisse a trovare coesione e che, comunque, la forza del M5S fosse dirompente. Non fu così. Io credo nel primato della politica. La tecnocrazia non ha mai portato risultati. Cosa diversa è affidarsi a esperti e ascoltarne i suggerimenti. Se ci sono proposte alternative alla politica si facciano avanti. Ma la sintesi compete ai partiti e, soprattutto, ai cittadini  attraverso il loro voto».

Fioccano i retroscena sulla “buonuscita” che la coalizione sarebbe disposta a riconoscerle per un  passo indietro: seggi al Senato, un posto da ministro… 

«Alle imprese, in questi giorni saranno dati segnali importanti con il bando appena concluso, gestito da Irfis. I costruttori edili si attendono, nel 2022, gli stessi numeri straordinari dell’anno appena concluso. Le famiglie ci chiedono di proseguire sulla spesa sociale e di occuparci dei meno garantiti. I giovani si preparano a partecipare ai concorsi, che tornano dopo trent’anni. Gli operatori commerciali, economici e turistici ci chiedono di garantire le loro attività e di proseguire con la programmazione di eventi nazionali e internazionali per richiamare milioni di persone in Sicilia. E lei mi parla di buonuscita? Mi chieda, semmai, se saremo ancora nel 2022 la prima regione per fondi spesi contro il dissesto idrogeologico. Le rispondo: si!. Non ho mai partecipato al mercato delle poltrone. Ho da concludere un gran lavoro, assieme agli assessori, per cambiare lamia Isola. Non cerco contropartite».

Che impressione ha rispetto al suo consenso fra i  siciliani? Pensa che se si votasse oggi la rieleggerebbero?

«Sono impressioni, che mi chiede. E le rispondo su queste. Avverto molto rispetto attorno a me. I siciliani hanno compreso con quale serietà stiamo lavorando, spesso nel silenzio, senza grancassa. All’inizio alcuni si aspettavano miracoli, perché non dirlo. Speravano, forse, che in pochi anni si potesse fare quello che non si era fatto per decenni. Ho detto all’inizio che non sarebbe stato facile e non sapevo di dovere affrontare una drammatica pandemia! Oggi ogni cittadino può girare la propria provincia, indicare un’opera e dire: questa la sta realizzando, finalmente, la Regione. Lo leggo negli sguardi dei nostri concittadini, nelle occasioni liete e in quelle tristi».

Magari  le trame di chi  la osteggia tradiscono ragioni più personali che politiche. Ecco tre nomi: Miccichè, Stancanelli e Sammartino. Ci dice, senza giri di parole, cosa non va con ognuno di loro?

«Personalizzare è sempre un errore. E non voglio compierlo proprio io. Ne parlavo alcuni giorni fa al teatro Bellini con il sindaco Pogliese, che si avvia a raccogliere anche lui i frutti importanti del lavoro seminato a Catania. Ma ha ragione, in qualche caso le divisioni tra noi più che per la politica sono state per ragioni caratteriali. So di non avere un buon carattere per essere rigoroso con me stesso, ma sono una persona molto leale. E di parola. Con Gianfranco ci conosciamo da prima che io fossi eletto presidente della Provincia, nel 1994. E poi ho collaborato con lui da coordinatore di An, mentre lui guidava Forza Italia. In seguito lui fece Grande Sud e io Alleanza Siciliana. Siamo diversi, inutile negarlo. Ma io credo che in fondo lui sappia che chi ci vuole fare litigare raramente è in buona fede. Quando ci sono due personalità “forti”, c’è sempre il rischio di chi cerca la propria utilità marginale nel fare scontrare i leader. Oggi abbiamo, entrambi, un’età che mi fa dire che è difficile cambiarci, ma è molto più semplice accettarci».

E con il suo ex amico Stancanelli?

«Con Stancanelli la conoscenza è molto più datata, provenendo dallo stesso partito. Non lo comprendo, non comprendo perché si possa fare prevalere il risentimento personale su tutto. Un risentimento unilaterale, perché io non ho mai deciso di privarmi di tanti collaboratori che proprio lui mi ha suggerito, per le competenze che poi hanno mostrato di avere. Abbiamo fatto in una fase recente scelte divergenti, dopo averne condivise alcune. Il nostro era un rapporto ritrovato. Io conosco i sentimenti e non comprendo i risentimenti. Quando mi chiese di espormi in prima persona, per la sua campagna elettorale, sfortunata anche perché si erano perse le Regionali, non me lo sono fatto ripetere due volte, in un momento doloroso della mia vita di uomo. Ma Raffaele è fatto così. Non ho alcun rancore».

Completiamo la trimurti: Sammartino.

«Col deputato Sammartino non abbiamo mai avuto rapporti politici né di comitiva. Oggi lui è nel centrodestra e quindi il mio dovere, da presidente della Regione, è dialogare con tutti, chiedendo rispetto reciproco. Ho maggiori rapporti con la senatrice Sudano, che conosco da quando era una ragazza e suo papà ottimo assessore della mia giunta provinciale. Fummo consiglieri comunali insieme. Ma può la politica fermarsi a riflettere su questioni tra persone o  dovrebbe interessarsi di tutti i cittadini?». 

E poi c’è il “fattore S”. Come Scateno. Che continua a ripetere: se c’è Musumeci, io mi candido. Lei lo ha sempre snobbato, ma non è il momento di fare i conti con De Luca? Del resto ha  messo in guardia il centrodestra dal remake del 2012: spaccatura e vittoria di Crocetta…

«A Messina il mio governo sta lavorando senza sosta, investendo decine di milioni di euro. Se fossi sindaco della città ne sarei felice. All’inizio ho dato disponibilità massima al sindaco De Luca, ma non mi pare che insultare continuamente il presidente della Regione possa essere un metodo. Dialogo con tutti, anche con chi è lontanissimo da me per visione o appartenenza. Ma i siciliani hanno ritrovato un governatore di cui apprezzare stile istituzionale e competenza. Nel 2012 non ci fu, io lo ricordo bene, una candidatura contro quella del centrodestra. Ci fu metà della coalizione che prese strade diverse anche per dinamiche nazionali, e una parte fu anche in coalizione con il Pd. Vedremo cosa accadrà quest’anno. Ma chi mi chiede dialogo, e io sono uomo del dialogo, dovrebbe anzitutto cercare una reciprocità non ipocrita».

Crocetta rischia il  processo nel secondo filone sul sistema Montante.  Cosa ne pensa? Lei ha giurato che Palazzo d’Orléans sarà sbarrato a mafiosi e affaristi:  anche con  la barca di miliardi del Pnrr?

«In quattro anni non solo non abbiamo dato scandali, ma siamo stati protagonisti di scelte che hanno messo alla porta più di un approfittatore. Il nostro è stato, è e sarà un governo libero da ogni condizionamento. Non siamo pupi e non abbiamo pupari. Questa garanzia i siciliani sanno che possono riceverla da un uomo che non è mai stato sfiorato da uno schizzo di fango. È proprio per questo che oggi si guarda alla Sicilia, anche nel mondo, con più rispetto di quanto pensiamo noi siciliani, o almeno gli osservatori, quelli del “club dei Palazzi”. Il resto  attiene alla cronaca giudiziaria e non intendo fare alcun commento».

Il 7 gennaio c’è l’udienza finale del processo Lombardo. Ritiene che l’ex governatore abbia  favorito la mafia? La sentenza condizionerà la politica siciliana?

«Non riesco a credere che  Lombardo sia stato protagonista di rapporti con la mafia, se è questo che mi chiede. Ma so che crede nella giustizia e, quindi, il mio augurio è che possa trovare nel processo le risposte alla sua domanda. Non penso che una sentenza possa incidere sui processi della politica e non faremmo un giusto servizio all’amministrazione della giustizia se oggi dicessimo qualcosa del genere. Sarebbe un condizionamento dei giudici, anche solo indiretto. E, contemporaneamente,  un condizionamento della politica. Lasciamo separati i due ambiti. E, per garantire la sua autorevolezza, la politica impari a fare le proprie scelte con lungimiranza».

Non vorremmo che Cuffaro si sentisse escluso. Può davvero rinascere la Dc in Sicilia? C’è un rapporto politico con lui?

«Ho incontrato il presidente Cuffaro con Rotondi a Trento. In quell’occasione  Buttiglione disse senza mezzi termini di non credere nella rinascita della Dc. Non ci credo anch’io. Ma comprendo chi difende la sua storia e vorrebbe farne attualità. Ma la Dc, il “partito Stato”, è un’esperienza irripetibile e storicizzata, con le sue luci e ombre. Il confronto con le forze politiche è sui contenuti, sul presente e sul futuro. Aprire il centrodestra a chi è storicamente parte di quest’area è una scelta che dev’essere presa collegialmente,  alla quale io non mi opporrei. Ma abbiamo anche un appuntamento importante: le comunali di Palermo, dove il centrodestra deve fare presto a trovare la sintesi. Sarà un voto di valenza nazionale, ma c’è soprattutto una città da amministrare ed è la nostra capitale».

Sta per convocare un vertice di coalizione, che qualcuno vorrebbe già boicottare. Ha parlato di quattro ddl da discutere con gli alleati. Di cosa si tratta? 

«Vedersi insieme è una richiesta del governatore e dei partiti, che sono il sale insostituibile della democrazia. Abbiamo da affrontare questioni molto serie: la legge sui forestali, quella sui consorzi di bonifica, la finanziaria di fine mandato. E poi, ovviamente, la nuova programmazione che deve tenere conto del Pnrr e dei 50 miliardi che in Sicilia saranno impegnati in tutti i fondi. Il governo ha bisogno di raccogliere le proposte delle forze politiche per delineare la strategia complessiva del lavoro da compiere».

Nel centrosinistra sembra tutto fermo. Aspettano le vostre mosse o sono più confusi che persuasi?

«Loro, storicamente, vincono solo se noi ci dividiamo. Altrimenti sono fuori partita. Ma sarebbe un errore sottovalutare l’avversario o, peggio, pensare che tutto sia scontato. Non è mai così. Ecco perché, per la terza volta, torno a quello che le dicevo prima: amministrare è la risposta unica che vale per i partiti, gli avversari, i leader e i cittadini. Se fossimo una grande impresa privata a chi la amministra si chiederebbe di rendere conto del fatturato che, nel nostro caso, è il prodotto del lavoro di una squadra di governo coesa, con assessori tutti competenti e tutti di grande valore umano e politico».

S’è sempre detto indifferente a chi sarà il suo sfidante. Ma si sforzi di stare al gioco: chi preferirebbe fra Chinnici, Fava, Provenzano, Cancelleri e Bartolo? 

«Non sono un buon giocatore, ma vorrei confrontarmi, non le nascondo, con qualcuno che possa dire: “Quando ho avuto ruoli istituzionali non ho guardato al colore degli amministratori, ma ho fatto il bene del mio popolo”. Diciamo che questo ne escluderebbe un paio…».

Chiuda gli occhi: Capodanno 2023. Come si immagina? E, soprattutto, dove?

«Per il presidente della Regione, per un presidente che ha la mia storia personale, le mie esperienze di vita, non è la domanda più adatta. Non è importante dove io mi immagino, ma cosa immagini per il futuro della Sicilia e per il benessere dei siciliani. E molto di questo dipende dal nostro lavoro dei prossimi mesi e dal senso di responsabilità di tutti. La logica del tanto peggio tanto meglio ci ha fatto male. Se saremo uniti, come popolo e come fossimo una nazione, avremo la forza di disegnare il nostro futuro senza che appaia un miracolo o un’illusione».

Twitter: @MarioBarresi

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