Fede
La “chiamata” dei fratelli Gallina: per suor Consuelo e don Luca una vocazione di famiglia
Originari di Francofonte, sono stati ordinati lei nel 2008, ed è diventata suora di clausura, lui nel 2010 ed è l'attuale guida della comunità parrocchiale della basilica di Sant’Antonio Abate nella sua città di nascita
Nel messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni di qualche anno fa papa Francesco scriveva: «Nessuna vocazione nasce da sé o vive per se stessa. La vocazione scaturisce dal cuore di Dio e germoglia nella terra buona del popolo fedele, nell’esperienza dell’amore fraterno». Ed è “nella terra buona del popolo fedele” di Francofonte che sono germogliate negli anni scorsi due speciali vocazioni, coltivate “nell’esperienza dell’amore fraterno” della famiglia Gallina.
Lei, Consuelo, 40 anni lo scorso 6 settembre, il 10 luglio 2002 entra nel monastero di Santa Chiara di Caltanissetta. Da due anni, ottenuta la maturità scientifica, studiava teologia a Messina, ma qualcosa mancava. Il 3 luglio 2005 emette la prima professione temporanea, il 9 luglio 2008 fa la sua professione solenne e definitiva. Oggi è monaca clarissa di clausura. Lui, Luca, 37 anni, geometra, fratello di Consuelo, entra in seminario nel settembre del 2003, subito dopo il diploma. Ordinato sacerdote il 25 gennaio 2010, per quasi tre anni è viceparroco nella chiesa di Santa Lucia di Augusta. Poi per cinque, dal 2012 al 2017, è parroco nella chiesa di Santa Tecla a Carlentini. Dal 30 settembre 2017 guida la comunità parrocchiale della basilica di Sant’Antonio Abate di Francofonte.
Don Luca la sua è una famiglia che ha scelto il Signore o è il Signore che ha scelto la sua famiglia? «Senza dubbio è il Signore che ha scelto la nostra famiglia. È lui che liberamente prende l’iniziativa e sceglie al di là dei nostri meriti. Noi non abbiamo fatto altro che riconoscere questa sua chiamata e rispondere pronunciando il nostro sì allo stato di vita che nel discernimento abbiamo avvertito nostro».
In un mondo sempre più secolarizzato – chiediamo a suor Consuelo – quella della consacrazione, e ancor più della clausura, è una scelta così radicale da risultare oggi quasi del tutto incomprensibile. Eppure c’è ancora chi improvvisamente lascia il mondo, la casa, la famiglia, gli amici, il lavoro, per rinchiudersi in un monastero. Le va di spiegarci quando ha deciso di farlo e perché lo ha fatto? «Sono entrata in monastero tra le sorelle povere di Santa Chiara a 20 anni, interrompendo gli studi alla facoltà di teologia. In realtà non è stata una scelta improvvisa ma meditata a lungo e la risposta al “perché” si può trovare solo in Dio che mi ha chiamato. Io ho semplicemente accettato la sua proposta».
Un figlio prete, una figlia monaca clarissa di clausura. Come la presero i suoi genitori quando comunicò loro il suo desiderio di farsi suora? «Il Signore mi ha fatto il dono di due genitori splendidi. Dopo le prime inevitabili perplessità e dopo aver superato i timori iniziali, mi hanno sempre sostenuta facendo insieme a me questo cammino. L’unica cosa infatti veramente importante per loro è la felicità e la realizzazione mia e di mio fratello».
Don Primo Mazzolari diceva: “Ci vuole calore, ci vuole anima nel predicare. Il popolo ha bisogno di sapere che il sacerdote vive la verità che predica”. Non è che le chiese sono sempre più vuote perché i preti che vivono la verità che predicano sono sempre più rari? «Sarebbe semplice – spiega don Luca – dire che la fede è dono di Dio e chi l’ha ricevuto non la può “perdere” a causa del prete. Ma è giusto mettersi in discussione e accettare la provocazione che viene dal nostro tempo e dalle chiese un po’ più vuote: il sacerdote deve essere credibile innanzitutto per lo stile di vita che adotta e di conseguenza lo sarà anche nella predicazione».
Don Dino Pirri, sacerdote attivio sui social e autore di un libro per Rizzoli, afferma: “Vita da prete: passano, chiedono qualsiasi cosa. Poi se ne vanno, quando vogliono. E tu, solo. A chiederti chi sia davvero il mendicante”. Lei avverte questa sensazione di solitudine? «In talune occasione sì, ho la sensazione di essere un “distributore di servizi”, un burocrate a disposizione di chi richiede documenti o cerca soluzioni. Ma in realtà il parroco presiede la vita di tutti i giorni di una comunità fatta di uomini e donne che amano condividere lo spazio e il tempo della parrocchia, dalla preghiera alla fraternità con le sue gioie e i suoi problemi».
Senta don Luca, don Andrea Gallo diceva che il posto di un prete è fra la gente, in chiesa, per strada, in fabbrica, a scuola, ovunque ci sia bisogno di lui, ovunque la gente soffra, lavori, si organizzi, lotti per i propri diritti e la propria dignità. Lo diceva perché probabilmente non è sempre così oppure perché non è mai stato così? «A volte manchiamo in questo: pretendiamo che sia la gente a cercare Dio piuttosto che portare Dio ovunque la gente viva. I luoghi del nostro annuncio sono certamente le chiese, ma nello stesso modo le famiglie (nelle loro case), i lavoratori (nei luoghi di lavoro), i giovani (nei loro luoghi di incontro). Dobbiamo rimetterci in cammino ed essere, in maniera convinta e decisa, “Chiesa in uscita”».
“Chiesa in uscita” e clausura: un ossimoro. Che aspetto ha il mondo – chiediamo a suor Consuelo – visto da dietro le grate di un convento e come si fa a credere che lo si possa cambiare solo con la preghiera? «Il mondo dalla clausura è costantemente visto in tutta la sua bellezza nonostante sia attraversato dall’esperienza del male e della sofferenza. Ogni giorno, come da un osservatorio privilegiato, vediamo con i nostri occhi che la preghiera cambia il mondo attraverso i piccoli e grandi miracoli che Dio opera».
Com’è scandita la giornata in un monastero di clausura? «La nostra vita è sostanzialmente scandita dalla preghiera, dal lavoro nelle sue varie forme – dai lavori quotidiani ordinari alla produzione delle ostie per la Santa Messa – e dallo studio, in un clima di fraternità e semplicità che trasforma il monastero in oasi di pace anche per quanti ogni giorno si accostano alle nostre grate».
Suor Consuelo, azzardo: in questi anni di vita religiosa mai nessun ripensamento? «E perché mai avrei dovuto averne? Il Signore è stato fedele alle sue promesse e, sin dal giorno del mio ingresso in monastero, nonostante le tipiche difficoltà di ogni cammino, mi ha donato la pienezza di vita che desideravo trovare, facendomi scoprire la gioia vera che non mi ha mai lasciato sino a oggi».
Don Luca, subito dopo la fede nel Signore viene quella per i colori rossoneri. Nel suo profilo Facebook ci sono più post da sfegatato tifoso del Milan che da prete. Ne vogliamo parlare? «Il calcio è la cosa più seria tra quelle meno serie. Di fatto caratterizza le nostre domeniche e, periodicamente, le nostre estati, come quella appena trascorsa che ci ha regalato la vittoria dell’Italia all’Europeo. La mia passione per il Milan è nota a tutti, non ho mai fatto nulla per nasconderla, consapevole che dopo ogni sconfitta indirizzare al parroco i classici “sfottò” da tifosi è ancora più bello. Lo è anche per me che li ricevo».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA