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Emissioni, nelle carte della Procura tutte le colpe della Regione

Di Massimiliano Torneo |

Siracusa. Regione inadempiente in tema di tutele legislative della qualità dell’aria. Almeno fino al 2016, limite temporale scandito dall’inchiesta che a Siracusa sta mettendo sotto scacco colossi industriali della raffinazione e partecipate della depurazione. La legge nazionale chiedeva all’ente locale di legiferare – qualora le specificità del territorio lo avessero richiesto – in maniera più stringente, «come sarebbe stato logico attendersi rispetto a un’area dichiarata ad alto rischio ambientale»: ma così non fu, salvo un decreto poi revocato in autotutela. C’è pure questo nelle carte dell’inchiesta che ha portato otto giorni fa il gip del tribunale aretuseo, Luisa Intini, a accogliere le richieste della Procura e disporre i sigilli agli impianti Versalis di Priolo, Sasol di Augusta, e ai depuratori Tas di Melilli e Ias di Priolo. E a emettere 19 avvisi di garanzia nei confronti di altrettanti responsabili delle aziende che gestiscono i quattro impianti. Con l’accusa di aver prodotto dal gennaio 2014 al giugno 2016 «emissioni in atmosfera di natura inquinante e molesta».

Centocinquanta pagine che riassumono cinque anni di inchiesta sfociata poi nelle accuse di «imprudenza, negligenza e imperizia» con cui gli indagati avrebbero omesso «di adattare gli impianti alle prestazioni attendibili in base alle migliori tecniche disponibili e di attuare le misure necessarie per contenere le emissioni». E alla contestazione di reati quali inquinamento ambientale colposo in concorso con l’aggravate della previsione dell’evento e sanzioni amministrativa (punibile anch’essa con il carcere) per aver avviato impianti in assenza di Autorizzazione integrata ambientale. Tutto ispirato a norme nazionali e comunitarie e a principi come quello «di precauzione». Per sopperire a carenze normative in ordine, soprattutto, a alcune sostanze. Carenze che trovano spazio nelle carte dell’indagine: azioni mai intraprese o intraprese blandamente da quegli enti di controllo che avrebbero dovuto impedire il sopraggiungere della condotta illecita, ma la cui inerzia avrebbe limitato l’azione di tutela.

Sotto i riflettori c’è anche la Regione. Si fa cenno al suo Codice di autoregolamentazione per il contenimento delle emissioni inquinanti, «caratterizzato perlopiù – secondo gli inquirenti – da mere raccomandazioni e prescrizioni condizionate». Un decreto, secondo i pm «lungi dal porsi quale normativa regionale più stringente di quella statale, come preventivato dalla stessa norma nazionale». Una risposta, insomma, «vaga e blanda». Ma dove l’inadempienza tocca punte di regionale stravaganza è nella fine fatta dall’unico decreto riconosciuto dagli stessi pm come «un tentativo di più stringente controllo». È quello emanato nel maggio 2012 dall’Ufficio speciale per le Aree a elevato rischio di crisi ambientale.

L’allora direttore Antonino Cuspilici vi aveva lavorato per regolamentare quelle sostanze scaturite dai più recenti cicli produttivi della raffinazione petrolifera, ma per le quali la legge nazionale non fissa limiti. Puzze molto denunciate anche con esposti alla Procura da cittadini e associazioni, ma «a norma di legge». Il decreto cercò di incardinarle nell’ambito giuridico della “molestia” olfattiva. Prevedeva costose prescrizioni per: la misurazione delle sostanze odorigene; la valutazione integrata delle stesse e del loro effetto cumulativo; la necessità per le imprese emittenti di procedere all’adeguamento alle migliori tecnologie, a fronte del rilevamento reiterato delle soglie di quelle sostanze. Fu subito impugnato dalle aziende dei tre petrolchimici siciliani, Priolo-Augusta, Milazzo e Gela. E infine «revocato in autotutela – come chiosano le carte dell’indagine – dalla medesima autorità emittente a seguito dei numerosi ricorsi presentati dalle imprese interessate». Nel dettaglio andò così: il Tar Sicilia si espresse sulla richiesta di sospensiva, respingendola. Fissò il dibattimento. Ma nel frattempo alla guida della Regione arrivò il governatore Rosario Crocetta che soppresse l’Ufficio speciale. Al direttore Cuspilici, divenuto a quel punto sempre più Davide contro Golia, non restò che ritirare il decreto.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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