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Cinema: il 2020 si apre nel segno di Tolo Tolo, provocatorio esordio alla regia di Checco Zalone

Di Redazione |

ROMA – Arriva oggi in sala il ciclone TOLO TOLO, esordio nella regia dell’ormai santificato Checco Zalone eretto a monumento della nuova comicità nazionale nel segno, felicemente contraddittorio, di Alberto Sordi da cui sembra aver ereditato la sorridente ferocia nel fustigare riti e costumi dell’italiano medio. Da giorni si ripete il mantra per cui qualsiasi altro titolo nelle sale non avrà più chance dopo l’avvio della «zalomania» stagionale e certamente la campagna pubblicitaria che ha preceduto il film gioverà agli incassi, destinati a riequilibrare in un colpo solo le incerte quote percentuali del cinema nazionale rispetto al box office annuale.

Checco Zalone, con TOLO TOLO, suo quinto è infatti il re Mida del box office e sfida se stesso in quanto a incassi. In sala con Medusa nel numero spropositato e irragiungibile per qualunque film italiano, di 1200 copie dovrà infatti confrontarsi con gli altri quattro suoi lungometraggi baciati tutti da numeri record.

Uscita monstre, quindi, per questo film che parla di Africa, emigrazione, Italia, politici improvvisati e fascismo (“Tutti lo abbiamo dentro come la candida», dice a un certo punto il protagonista Checco approdato in Africa dopo il fallimento dei suoi sogni in Italia). E il trailer sull’emigrazione che ha fatto tanto discutere? Neppure una immagine : «Il trailer non c’entra niente con il film – spiega Zalone – lo avevamo concepito come promozione, ma nessuno si aspettava che andasse a finire nelle prime pagine dei giornali».

Un film che piacerà a Salvini? «Non c’è proprio Salvini nel film, comunque non volevo fare un film contro di lui. E poi se è contro di lui sarà Salvini stesso a dirlo». Gli fa eco il produttore Pietro Valsecchi: «Non avrei investito venti milioni di euro per fare un film contro Salvini».

Questa la storia del film, davvero cattivo solo verso certa Italia cialtrona, ipocrita e vigliacca e, soprattutto, piena di politici improvvisati, su tutti Luigi Gramegna (Gianni D’Addario) dalla carriera lenta, inesorabile e senza merito, da disoccupato a primo ministro («l’ho immaginato con il carattere di Di Maio, vestito come Conte e con il linguaggio di Salvini»).

Girato tra Kenya, Marocco e Malta, dove sono stati ricreati i campi di detenzione libici, il film ha come protagonista Checco (Zalone), un sognatore che deluso dalla madre patria si trasferisce in Africa dove assiste allo scoppio di una guerra civile con l’arrivo di una sorta di Isis o di Boko Haram. Vorrebbe tornare indietro, solo che non può farlo perché in Italia è inseguito dai creditori. Si ritrova quindi nella stessa situazione dei migranti: nessuno lo vuole, specie quando la sua famiglia scopre che la sua scomparsa estingue definitivamente i suoi debiti.

L’Africa vissuta da Checco è ovviamente quella piena dei luoghi comuni dell’italiano medio all’Alberto Sordi («un attore a cui guardo sempre») dove per accogliere un bambino gli si dice «dammi la zampa» e dove le nere sono quelle destinate a diventare escort. «Chi è davvero il mio personaggio? Semplice – dice Zalone – è uno incapace di guardare oltre i suoi piccoli problemi. E se scoppia una bomba vicino a lui e muore della gente non gliene frega niente».

Quanto ha pesato il successo al box office dei precedenti film sulla realizzazione di quest’ultimo? «Ha contato molto, dieci su dieci, bisogna riempire le sale!» Nel cast, oltre un cameo di Niki Vendola, ci sono Souleymane Sylla, Manda Touré, Nasser Said Birya, Alexis Michalick, Arianna Scommegna, Antonella Attili, Nicola Nocella, Diletta Acquaviva, Maurizio Bousso e Sara Putignano.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA