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Giosuè Calaciura: «A Borgo Vecchio convivono paradiso e inferno»

Il 4 ottobre presentazione a Palermo e il 5 a Catania

Di Giuseppe Lorenti |

Palermo è un sogno o un incubo? Se fosse entrambi? Indistinguibili ed eterni, confusi in quella bellezza che travolge e divora, che affascina e angoscia, in una visione notturna e onirica, tra realtà e magia.

Borgo Vecchio è un quartiere di Palermo, centro e periferia di città,  mercato, confine con il salotto liberty. Borgo Vecchio è malavita e tradizione, lo attraversi, ti perdi e ti ritrovi affacciato sul mare. I suoi palazzi, le sue strade sono un palcoscenico ininterrotto di storie quotidiane, universali e contradittorie, sospese tra un passato che profuma di condanna, un presente ancora impregnato del sapore del pane che si incunea tra i vicoli e arriva nelle case, e un futuro che lascia fiutare, quasi intravedere, un cambiamento che è la sintesi popolare di chi vuole vivere, pienamente,  il proprio tempo opponendo, inconsciamente, forme di resistenza all’omologazione. Borgo Vecchio è l’ultimo romanzo di Giosuè Calaciura, pubblicato da  Sellerio editore, e che sarà presentato mercoledì, alle 18, al palazzo delle Aquile di Palermo per il Festival delle Letterature migranti, e il 5 ottobre alle 20 a Catania, da Scenario Pubblico, per la rassegna Leggo. Presente indicativo.

Copertina Borgo vecchio giosuè calaciura

Calaciura è nato a Palermo, ha vissuto e lavorato in città nella redazione de L’Ora, e in questo romanzo trasferisce lo sguardo curioso, profondo del giornalista che ha fame e voglia di storie e racconti. Ma c’è qualcosa di più nel romanzo, «c’è la forza della letteratura – mi sottolinea dall’altro capo del telefono in una mattinata romana Giosuè -, c’è quella potenza di trasformare la realtà, i luoghi dove Dio sembra non esistere in luoghi pieni, colmi di grazia e speranza. Far convivere il paradiso e l’inferno. Questa è la capacità e la forza del racconto, una capacità e una forza  che io ritengo siano elementi molto siciliani. Siamo capaci di creare una nostra narrazione che, in fondo, restituisce un senso al nostro stare al mondo».

Borgo Vecchio si trasforma in una favola magica e feroce, dove i protagonisti che si alternano sul teatro del quartiere sono tre bambini, Mimmo, Cristofaro e Celeste, uniti dalla tragicità dei rapporti familiari. Il padre di Mimmo è un macellaio imbroglione che truffa i suoi clienti truccando la bilancia e disprezza il figlio, il padre di Cristofaro è un ubriacone che, ogni sera, picchia il bambino così selvaggiamente  che i rantoli e  lamenti riecheggiano e rimbalzano tra le strade del borgo, mentre Carmela, la madre di Celeste, si prostituisce per sopravvivere. Li unisce, anche, quella ingenua e fanciullesca voglia di sognare e quel senso, al tempo stesso profondo e drammatico, di solidarietà. C’è Totò, il rapinatore, che colpisce e vola via veloce più del vento, che per i tre ragazzini rappresenta il riscatto e la salvezza. Totò che vuole sposare Carmela la prostituta e salvare i bambini da un destino che qualcuno ha scritto al posto loro.  Il quartiere è un microcosmo arcaico, cupo e gioioso, grottesco e cinico,  e i toni del romanzo ricordano i tratti di una parte della produzione culturale che ha attraversato la Sicilia negli ultimi venti anni: Emma Dante, Daniele Ciprì e Franco Maresco, Roberto Alajmo.

Poi c’è questa continua ricerca della mitizzazione del racconto. Magnifica la lunga scena in cui l’autore descrive di un diluvio divino che si abbatte tra le case e le piazze del Borgo spazzando via, senza pietà alcuna, uomini e animali, come fosse punizione, risarcimento e redenzione per il male che si consuma tra quei confini cittadini. Borgo Vecchio è un romanzo senza tempo, potrebbe essere ambientato agli inizi del Novecento come nel secondo dopoguerra o negli anni duemila, non c’è la lira, non c’è l’euro, è un romanzo che si nutre di Palermo e non c’è il dialetto. «Nella pagine del romanzo, Palermo non viene mai nominata e questa è una scelta che ho, fortemente, voluto. Non volevo raccontare storie palermitane, volevo trasformare la quotidianità di un quartiere in un grande racconto, in una favola moderna in grado di rappresentare, in senso letterario, il senso e il modo di vivere, oggi, in un qualunque sud del mondo. Borgo Vecchio è Palermo ma potrebbe essere, perfettamente, Bogotà o Medellìn. Questo mi interessa raccontare, Palermo come teatro di una parte di mondo, ancor meglio di un certo modo di stare al mondo».

Calaciura, da quasi venti anni, vive e lavora a Roma e nelle pagine di questo suo ultimo libro sembra che questa distanza geografica, che inevitabilmente è distanza emotiva e degli affetti, sia diventata “strumento letterario” che gli permette di fotografare meglio, di cogliere sfumature e dettagli che ad uno sguardo ravvicinato e coinvolto sfuggirebbero, e di riuscire a trasformarli tutto questo materiale divino, umano e naturale in un grande racconto corale, che è tragicamente realistico e magnificamente visionario. Borgo Vecchio è un romanzo che tracima di pagine vere, drammatiche e violente, tenere e bellissime che, forse qualcuno vorrebbe evitare di conoscere ma di cui tutti abbiamo bisogno. Questa è la forza della letteratura e il talento della scrittura.

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