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Le due Italie dei treni veloci

Le due Italie dei treni veloci

Di Domenico Tempio |

Milano, i black bloc; a Pozzallo, i sindacati. A Nord la violenza, a Sud i comizi. Alle due estremità del Paese, due proteste di un Primo maggio che sembra non appartenere più agli italiani. A Milano, falsi “vendicatori sociali” sporcano quella che doveva essere la bella “vetrina” dell’Italia, cioè l’Expo, mistificando così la loro violenza per la violenza. A Pozzallo, le “forze sociali” sperano con la parola di far breccia in chi ha in mano le sorti del Sud. In entrambi i casi, sono gli interlocutori che mancano. Sia per difendere i cittadini dalla violenza, sia per accogliere le istanze di gente che soffre. Siano essi indigeni siano essi migranti. Una cosa è certa: il Paese non ha bisogno di presunti “vendicatori”, molti venuti dall’estero come se fossero in tournée. Lo diciamo noi dalla lontana Sicilia che di rabbia abbiamo gonfio il petto. E che, alla fine, preferiamo i comizi di chi da Pozzallo, ai confini estremi dell’Italia (là dove finisce il mondo, avrebbe detto papa Francesco), ha invocato il lavoro. Quello che proprio al Sud non c’è. Una priorità ribadita dallo stesso capo dello Stato. Sicuramente Sergio Mattarella, conoscendo la sua sensibilità dell’essere e del sentirsi siciliano, sa quali sono i problemi della nostra gente già al limite della sopravvivenza. La settimana scorsa il presidente, proprio a Milano, salendo sull’ultima generazione di “Frecciarossa”, avrà senz’altro notato, ad esempio, come la Sicilia nei trasporti viva ai margini del Paese. E, certamente, si sarà chiesto il perché una “Frecciarossa” si ferma a Roma e a Napoli, evidenziando quel gap che non è solo nei trasporti, ma in tutta la realtà meridionale. Qui siamo fermi al “c’era una volta un treno che si chiamava Freccia del Sud”. Portava gente senza lavoro che andava al Nord dove il lavoro c’era. Oggi, nel secolo Duemila, si continua lo stesso a emigrare e, cosa più amara, va via la migliore gioventù. Non crediamo che la risposta sia quella di sfogare la rabbia sfasciando tutto, come è accaduto a Milano. Spaccando vetrine di negozianti che neanche vendono o bruciando auto di gente che deve pagare ancora la rata. In Sicilia, forse per tapparci la bocca, con qualche decennio di ritardo è arrivato il “Minuetto”, che non è un passo di danza, ma un treno che quatA tordici volte al giorno farà la spola in quasi tre ore tra Palermo e Catania. Speriamo che duri e che la sua esistenza non sia legata a due contingenze: all’autostrada interrotta e all’Expo di Milano. Il presidente Mattarella sa bene che la Sicilia non ha nessuno cui fare riferimento. La Regione? Meglio non parlarne. Dopo le vicissitudini passate, c’è rimasto Rosario Crocetta del quale ci accorgiamo per il gran parlare che fa. Anche perché, riconosciamolo, è circondato da incapaci e inaffidabili. Gli stessi ministri che si sono succeduti nel tempo, hanno contato e contano quanto il due di briscola. E, quando hanno in mano questa misera carta, la giocano, per quel che vale, per i loro interessi privati. L’ultimo disastro, la Palermo–Catania, ci ha fatto tornare indietro nel tempo, scoprendo la vecchia statale. Ci ha guadagnato, almeno, Polizzi Generosa, dove si è costretti a transitare come alternativa all’autostrada. Il paese ha aumentato gli affari del 150 per cento. Sarà, conveniamo, la consolazione dei fessi, ma mangiare un panino all’aria fresca in un paesino di montagna è un’altra cosa. Meglio delle anonime stazioni di servizio. Nella tanta contestata Expo, si celebrano il cibo, l’ambiente, l’uomo, in una dimensione avveniristica e l’Italia si presenta a Milano imbellettata, e ciò, non essendo noi black bloc di mestiere, ci fa piacere, non si può negare, però, la realtà di un Paese squilibrato, dove il Nord è Europa, il Sud è Africa. E questo non perché quaggiù approdano i migranti, ma perché sembra esserci un parallelo con quei paesi dai quali quei poveracci fuggono. L’altro giorno Nino Caleca, assessore regionale all’agricoltura, ha detto che «il cibo è la via per unirci attorno a tematiche comuni». Ovvio, che il mangiare unisce, sfidiamo chiunque a dire il contrario. Bisogna, però, vedere se il cibo è per tutti. Quando a Pozzallo i sindacati, come abbiamo detto, hanno gridato per l’ennesima volta la parola “lavoro”, è proprio perché le famiglie sono sempre più povere. Parole che ci auguriamo non finiscano al vento. Come le tante bandiere che sventolavano a Pozzallo. Una volta avvolte chi si ricorderà più di una protesta che da tempo non è più una festa? Sicuramente a ricordarlo sarà chi ancora non ha quel “cibo che unisce”.

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