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“I mestieri di Mirko”, 10 puntate tutte in Sicilia, dallo street food alla Vucciria ai fichi d’india sull’Etna. «Me so’ tanto divertito, ho scoperto un mondo»

Sperimenta i lavori in prima persona, «a volte con risultati disastrosi, sono un fantozzi vero». «L'isola? Una terra bellissima, ma il popolo è pure meglio. Ci è venuto il mal di Sicilia»

Di Redazione |

Spontaneità e battuta pronta l’hanno trasformato in un personaggio televisivo. Barbone rossiccio, sorriso contagioso, naturalezza condita da ironia, Mirko Matteucci è andato in giro in Sicilia a scoprire mestieri, storie, personaggi, tradizioni, nella terza edizione del programma “I mestieri di Mirko” in cui si cimenta in prima persona, spesso con esiti esilaranti, nel ruolo di apprendista raccontando storia ed evoluzione di lavori antichi che hanno radici nel territorio. Dieci puntate interamente dedicate all’Isola, ai suoi meravigliosi artigiani, una produzione Rai Contenuti digitali e transmediali che rilascia una nuova puntata ogni lunedì su RaiPlay e che successivamente sarà in onda su Rai2, Rai Premium e Rai Italia. Il programma – firmato da Mariano D’Angelo, regia di Paolo Tommasini – ha appena fatto tappa alla Vucciria tra le godurie dello street food.

Matteucci, lanciato dieci anni fa da “Gazebo”, poi esploso con “Propaganda Live” di Diego Bianchi, è proprio come si definisce, «so’ onesto, verace e sincero”, e la sua schiettezza è tra le chiavi di successo del programma, «ci metto il cuore, tutti ci mettiamo tutti il cuore».

Mirko, perché proprio in Sicilia? «Perché è al top, ha un sacco di prodotti, ha artisti, è una terra ricca di tradizioni. Se vai in Sicilia hai voglia a raccontare storie! E’ stato bellissimo, abbiamo ricevuto tanto calore, ci hanno aiutato tutti». Le riprese sono state a settembre. «Adesso siamo in fase di montaggio. Alla Vucciria abbiamo girato talmente tanto che ne son venute fuori due puntate – anticipa – Ho cucinato stigghiola, polpo, panelle e crocchè, pane ca meusa e arancine… Mentre giravamo, oh, me so’ sbagliato, mè scappato: “E’ il mio primo arancino…”. Il ragazzo accanto  a me mi ha detto: “Ma che miiinchia diciii” – e imita la cadenza palermitana – Mi avevano fatto una capoccia così, e invece la lingua non ha seguito il cervello. Ho fatto anche l’arrotino, in una bottega che ha 70 anni». Alla scoperta di mestieri che stanno scomparendo. «Siamo felici di trovare le eccellenze della tradizione. Sono stato seguito da due personaggi… come dire? Daje, diciamolo alla romana, gagliardi e tosti: Masino Zummo, il blogger popolarissimo di “Mu manciu o un mu manciu?”,  e Gianfranco Lo Piccolo, un esperto di mestieri siciliani della tradizione, un sapiente, una persona bellissima che non fa pesa’ che sa più di te».

Nelle prossime puntate esplorerà anche Catania e il territorio etneo. «Siamo stati nella sala operativa dell’ingv e  sull’Etna. Sono andato dentro una stazione di rilevamento del vulcano, abbiamo aperto una botola e con i miei 90 chili sono entrato. Il vulcanologo mi ha detto: “Mo’ a Catania avranno visto un’oscillazione”. Io  l’ho presa come una battuta – ride –  ma era vero». “Terremoto” Mirko è andato poi a raccogliere fichi d’india («un’esperienza terrificante, ma molto bella») con Salvatore Rapisarda al consorzio Euroagrumi di Biancavilla,  e i pistacchi in una azienda di Bronte dove ha intervistato  la giovanissima Carla Malaponti.

«Ad Aci Sant’Antonio, invece, ho pitturato i carretti siciliani con il maestro Salvo Nicolosi – racconta Matteucci – Me so tanto divertito, sono  entrato in un mondo che ignoravo. I carretti sono vere e proprie opere d’arte». Il mestiere più particolare? «Mi hanno colpito un po’ tutti. Siamo andati dai Fratelli Napoli e anche con i pupi  scopri un mondo tra teatro, cinema,  tradizione. Una cosa fichissima. Ma forse il pistacchio è stato quello che più mi ha sorpreso». A Termini Imerese ha dipinto la frutta martorana. «Ho fatto disastri, sono un pasticcione, un fantozzi vero».

Matteucci era stato nell’Isola molti anni fa. «Ho visto cose che ho capito solo adesso. Si respira un’altra vita. E’ una terra bellissima, ma il popolo è pure meglio. Ci è venuto il mal di Sicilia».

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