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Crocetta a Catania avverte i nemici (e gli amici): “Io non ho mai perso una campagna elettorale”

Di Mario Barresi |

Catania. Le siciliane con tuma e acciughe escono, calde calde, proprio in un momento sacrale del discorso: quando sta elencando il risanamento del debito di due miliardi, la crescita del Pil al 3,6% e i 150mila occupati in più.

Ma Rosario Crocetta sa come tenere desta l’attenzione del suo uditorio distratto dalla fragranza delle fritture. E attacca sul caso Riscossione Sicilia. Rispondendo all’attacco di Nello Musumeci che si sente vittima «della mafia dell’antimafia». Il governatore gli fa sapere: «Anziché dire “mi hanno beccato, vado a pagare”, parlano di complotto… Io sono stato una delle prime vittime di Antonio Fiumefreddo, ma le tasse vanno pagate. Qui ci sono dei funzionari che hanno cancellato il debito dei deputati. E loro sono come la Raggi, destinatari dei favori così come lei è beneficiaria delle polizze. A loro insaputa».

E ride. Nessun applauso, ma in molti annuiscono.

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Anche perché qui siamo in mezzo ai suoi fedelissimi. Tutti devoti tutti, per convinzione o per convenienza, al presidente dell’Ultima Rivoluzione. Protagonista, già nel pomeriggio, quando inaugura la sede catanese del suo movimento “Riparte Sicilia”. «Musumeci – aveva detto Crocetta – prova a buttarla in polemica politica, ritenendo che in un’azione avviata dalla magistratura ci sia un disegno politico orchestrato da me. Ma cosa sono, il capo della Procura di Catania?». Accompagnato proprio dall’amministratore di Riscossione Sicilia, Antonio Fiumefreddo, col trolley, reduci da Roma per una missione col governatore. «Siamo stati alla Montepaschi a dirgliene quattro – dirà Crocetta – e gli abbiamo ricordato che su Serit non gli daremo un solo centesimo».

Ma il meglio, il presidente, lo dà all’apericena di finanziamento del suo movimento, al “Lenè” di piazza Trento. «Stasera ci sono belle facce, non ce ne sono così belle negli incontri politici in Sicilia», dice al suo popolo. Molti manager sanitari (il direttore dell’Asp Giuseppe Giammanco, il direttore sanitario Franco Luca, il direttore dell’Asp nissena e del “Giglio”, Vittorio Virgilio), un bel po’ di primari degli ospedali catanesi, «tutti protagonisti della risalita della sanità siciliana al settimo posto in Italia, ma che ora non posso confermare per un’assurda scelta all’Ars, che mi vieta le nomine e mi obbliga a commissariare anche chi ha fatto bene». Fra di loro si muove, con la dovuta circospezione, anche l’unico deputato regionale presente alla serata di gala: Dino Fiorenza (Mpa).

E poi ancora qualche docente universitario, alcuni sindaci (Nino Borzì di Nicolosi e Nuccio Barbera di San Cono) ed ex (Franco Zappalà di Ramacca), il dirigente dei rifiuti Salvo Cocina, l’imam Abdelhafid Kheit, il quasi-forse-assessore alla Famiglia Emiliano Abramo della Comunità di Sant’Egidio, l’intramontabile e vulcanica attrice Guia Jelo.

«Michelaaa, ma come staiii? Sei sempre più bella». Dice Crocetta alla sua ex segretaria Superwoman ed ex assessora, Michela Stancheris. Lei, da poco nominata all’aeroporto di Comiso nel cda di Soaco, lo saluta con cordialità: «Non potevo mancare, è la tua serata». E subito torna il feeling di sempre: «Ma lo sai, cara Michela, che certe volte penso che avrei dovuto andarmene quando te ne sei andata tu? Ma sono rimasto, sono in campo. E ci resto, senza rompere con nessuno, però pretendendo rispetto. Da tutti»

Eccoli, i Vip crocettiani. Accolti dal coordinatore politico del movimento, Peppe Caudo, che li invita a «rompere il muro di gomma degli attacchi mafiosi al presidente». Al suo fianco Luigi Bosco e Mariella Lo Bello, ma a lanciare la suggestione ideologica è Beppe Lumia, il senatore-Richelieu alfiere della mozione Emiliano al congresso del Pd. Quando parla lui non vola una mosca.

«Affrontiamo la crisi in modo non passivo ma regressivo». Il presidente? «Ha salvato una Sicilia fallita e senza sovranità, scacciando da Palazzo d’Orléans i mercanti del tempio». E adesso «che non c’è più il partito dell’io, prevale il noi». E dunque «noi siamo qui».

Poi, sorseggiando un prosecchino, in attesa di pollo al curry e risotto ai porcini, è un lunghissimo Rosario-show. Mentre il maxi-schermo proietta foto a raffica, intervallate dallo slogan “l’onestà praticata”, il presidente parla a ruota libera. Discetta dell’«atto d’amore per i disabili» (nel pomeriggio l’incontro con il fisico Fulvio Frisone e la madre-coraggio Lucia e con un altro battagliero gruppo in carrozzella); elenca statisticamente, con la consueta scioglievolezza dei numeri, i successi della politica economica e i mafiosi cacciati («seicento Pip, dei quali cento capi-mandamento di Palermo»); giustifica la scelta dell’autorità portuale a Catania («non potevo lasciare le pecorelle al lupo, ad Augusta c’era il quartierino di Gemelli»).

E alla città che lo ospita, senza mai nominare il sindaco Enzo Bianco, dedica un’ode autobiografica: «Dovevo comiziare qui, in piazza con Diliberto, quando mi dissero che la mafia voleva uccidermi. Io misi il giubbotto antiproiettile e parlai. E i giovani dissero: “Siamo tutti Crocetta”. Era il mio compleanno, uno dei più memorabili».

Poi l’attacco a «chi fa le porcherie all’Ars e diffama la Sicilia e poi dice che sono io a diffamarla, chiedendomi di non andare più da Giletti, ma io ci andrò chiedendo aiuto ad Amnesty International».

Applausi sempre più distratti dall’appetito che alle 22,40 è ormai dilagante. Ma con Saro l’anti-manciugghia c’è poco da banchettare: «Dicono: era meglio prima che mangiavano e facevano mangiare. Con me è cambiata la suonata: non mangio e non faccio mangiare». Perché lui è un presidente che «digiuna e impone la Quaresima a tutti, che poi fa bene anche al colesterolo».

Nessuna paura di perdere, alle Regionali prossime venture. «Il pericolo è il mio mestiere», scandisce. E poi, chiaro avvertimento ad alleati e avversari, «io in vita mia non ho mai perso una campagna elettorale: sarà la Madonna o Sant’Agata, o magari è la gente che mi vuole bene, che mi chiama Rosario e mi viene ad abbracciare quando sono per strada».

Siparietto finale. Il presidente incontra le docenti dell’infanzia della graduatoria Gae. Forse fra i pochi esemplari, in questa sala, non in cerca di carriere ma di diritti negati. «Faraone vi ha sedotte e abbandonate, ma io non sono come lui. Mantengo le promesse: porterò il tempo pieno in Sicilia e ci saranno i posti anche per voi».

Cin-cin. Nel meraviglioso mondo di Rosario il «nove stelle, quattro in più di quei grillini scarsi e velleitari», i sogni son desideri. Almeno per stanotte.Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA