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Il retroscena

Quei terreni del demanio erano sempre “cosa loro”

Il business. A Randazzo armi e stalle clandestine gestiste dai Sangani

Di Francesca Aglieri Rinella |

Zone agricole demaniali usate come nascondigli per armi, pascoli imposti, stalle non in regola e chiudende abusive per proteggere i campi sono terreno fertile per il proliferare del fenomeno delle agromafie anche a Randazzo, cittadina medievale lungo la sponda destra dell’Alcantara, il fiume che separa l’Etna, posta a Sud, dai Monti Nebrodi, a Nord.Ed è proprio grazie alle indagini avviate negli anni – con le operazioni “Terra Bruciata” prima e “Nebrodi 2” dopo – che gli investigatori hanno portato alla luce quel sottobosco di infiltrazioni tra Cosa Nostra, agricoltori e allevatori e quello stretto legame mafia-colletti bianchi per la caccia ai fondi europei destinati all’agricoltura.

L’Agro di Randazzo

Puntando l’attenzione proprio sull’agro di Randazzo, quella che emerge è una criminalità organizzata sempre più violenta che si avvale della forza intimidatrice sia rivolgendo minacce più o meno esplicite, sia impartendo ordini e direttive o addirittura ottenendo senza formulare richieste. A Randazzo a “comandare” sono i Sangani. Il clan, refererente dei Laudani di Catania, prende il nome del boss capostipite Salvatore (detenuto e imputato nel processo scaturito dall’inchiesta “Terra bruciata”).

Le inchieste

Agli atti delle inchieste ci sono ad esempio oltre alle tradizionali dinamiche mafiose, l’alto potenziale offensivo delle armi detenute e l’organizzazione dei summit nei campi del circondario. Estorsioni (su appalti, lavori pubblici e attività commerciali) e droga sono “cosa dei Sangani” sia su Randazzo che nei comuni circostanti. Un’egemonia del territorio mantenuta con azioni intimidatorie e garantita anche attraverso il presidio continuo di alcuni siti considerati una sorta di quartier generale come si evince dai numerosi fotogrammi frutto delle videoriprese operate dalle forze dell’ordine e dai risultati dei tracciamenti delle periferiche Gps installate sulle auto degli indagati.In più occasioni i carabinieri della Compagnia di Randazzo, con lo Squadrone Eliportato Cacciatori di Sicilia e i colleghi della Compagnia d’Intervento Operativo, hanno portato a termine mirati e imponenti rastrellamenti alla ricerca di armi e munizioni in alcuni fondi agricoli proprio per ridurre la capacità offensiva del clan. Ed è grazie alla conoscenza del territorio e del tessuto criminale che gli investigatori sono arrivati in maniera incisiva anche nelle zone più isolate e impervie. Tra i sequestri si ricordano quello di contrada Scarrata e di contrada Donnabianca. Diversi i ritrovamenti in contrada Murazzo Rotto. Qui, in un terreno – rigorosamente demaniale – la scoperta di una potente “santabarbara”: nascosto sotto pesanti pietre laviche, un bidone in plastica con 195 munizioni di vario calibro. E ancora armi e munizioni in contrada Santa Venera, a Bronte e in contrada Castrorao a Castiglione di Sicilia.A marzo di quest’anno poi, dopo quasi 30 anni – come raccontato e approfondito dal nostro quotidiano – in contrada Dagala Longa sono state finalizzate le operazioni di demolizione delle stalle abusive confiscate alla famiglia dei Sangani. Una giornata storica per la comunità e per un territorio per troppo tempo imprigionato dalla mafia.

Fenomeno diffuso

Qualche giorno dopo, i carabinieri, allargando le ricerche alle vicine contrade Donnabianca e Carrara, hanno riscontrato la presenza di una serie di chiudende, spesso oggetto di esposti anonimi, che di fatto bloccavano l’accesso alle strade vicinali di quelle località. Le chiudende, o “passi”, ben conosciute alle pendici dell’Etna, sono recinzioni rudimentali, solitamente realizzate con fil di ferro e bastoni di legno, che impediscono, senza alcun tipo di autorizzazione, il passaggio da una zona all’altra di un terreno. Dopo gli accertamenti catastali, è stato accertato che erano collocate su terreni demaniali. In un caso, la chiudenda, oltre a essere stata posta davanti l’ingresso di una proprietà privata e rinforzata alla base con grossi massi di pietra lavica, era stata costruita con una spessa rete di filo spinato e fissata al suolo mediante dei cavi d’acciaio piantati nel cemento. Un altro modo per sottolineare e imporre il potere mafioso fuori da ogni regola.

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