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Delitto Loris, ecco le carte dell’accusa

Delitto Loris, ecco le carte dell’accusa che “inchiodano” la mamma Veronica

E i familiari della donna trattavano compensi con le televisioni

Di Redazione |

RAGUSA – Duecentossanta pagine di accuse. L’avviso di conclusione indagini della Procura di Ragusa sulla morte del piccolo Loris Stival, il bimbo di 8 anni, il cui corpo è stato trovato il 29 novembre del 2014 in un canalone di Santa Croce Camerina, contengono tutto l’impianto accusatorio contro la madre Veronica Panarello, accusata del delitto e attualmente detenuta nel carcere di Agrigento. Ci sono immagini, intercettazioni, testimonianze, ricostruzioni logiche e ricostruzioni filmate grazie alle 21 telecamere che hanno ripreso il percorso di quel giorno e della settimana precedente della donna. L’inchiesta è coordinata dal procuratore Carmelo Petralia e dal sostituto Marco Rota.     C’è per esempio proprietario di un bar che “esclude categoricamente di averla vista” passare davanti l’esercizio o “addirittura salutare”, una commerciante che conferma di “avere visto raramente Veronica Panarello entrare l’auto all’interno del garage” e le perplessità di genitori di compagni di scuola di Loris Stival che non ricordano di avere visto la donna né il bambino “né entrare né transitare in zona”.     Ma c’è anche lo scontro che si è più volte verificato tra Davide Stival e la moglie Veronica Panarello sulla morte di loro figlio Loris. «Tu non dici la verità», «No, io non mento, l’ho accompagnato a scuola». Diverse volte intercettati in carcere i due restano sempre su posizioni distanti, antitetiche. Lui le contesta gli spostamenti in auto, la verità che emergerebbe dalla riprese, che svelerebbero le bugie della donna. Lei non cede, quasi mai, e insinua il dubbio: «È quello che ti fanno vedere loro… ».     Una volta, il 4 aprile 2015, ha un cedimento e dice al marito: «Mi sa che ho preso un’altra strada… ». E a Davide che le contesta: «Allora sei proprio bugiarda», lei replica: «Non sono bugiarda… in quel momento non riuscivo a ricordare tutto». E quando il marito la invita a dirgli «un po’ di cose», la donna si blocca: «No Davide, non posso… ».     L’ipotesi che possa sapere qualcosa la donna la fa trapelare con una familiare: «Devo cercare di capire certe cose – le rivela – appena le avrò capite farò un nome». Il “punto debole” di Veronica Panarello è il figlio più piccolo e ai suoi familiari confessa una sua paura: «Tutto mi aspetto… – afferma loro – tutto… ». «Se dovessero dirmi di confessare qualunque cosa pur di vedere il bambino – dice al padre e alla zia in carcere – non prendetelo come un tradimento… ma io lo farò! ».     Tra le ipotesi avanzate da Veronica Panarello, in colloqui con familiari, anche quella che «delitti del genere possono essere compiuti soltanto da persone senza scrupoli, trafficanti di armi e droga». E lei ricorda, si legge nel documento, che il marito «era amico proprio di due soggetti finiti in carcere per tali motivi». E comunque lei «è disposta a farsi il carcere senza clamori e quando esco – annuncia – me lo vado a cercare io chi è stato! ». Una promessa che, il 7 agosto 2015, uscita in permesso dal carcere, rinnova sulla tomba del figlio: «Tornerò a trovarti libera e gliela faccio pagare a chi è stato… a mamma! ».     L’informativa ricostruisce anche rapporti tra media e familiari della donna. Secondo gli investigatori, infatti, alcune partecipazioni a trasmissioni televisive «avrebbero un fine economico», tanto che alcuni compensi per le loro apparizioni sarebbero stati oggetto di trattativa, ma anche quello di «convincere l’opinione pubblica dell’innocenza di Veronica», oltre a «un presenzialismo marcato» di qualcuno degli invitati. «Gli stessi – si legge tra l’altro nell’informativa – appaiono più interessati a conquistare il giudizio popolare attraverso i media che, piuttosto, proporre al giudice competente le tanto asserite prove tramite le quali Veronica potrebbe essere scagionata».

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