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Fare, dare, affare e malaffare: imprese e questione morale

L’ultimo editoriale a firma del direttore Antonello Piraneo sulla questione morale in politica stimola una riflessione che, sulla stessa linea d’onda, si estende all’economia e al mondo imprenditoriale

Di Rosario Faraci |

L’ultimo editoriale a firma del direttore Antonello Piraneo sulla questione morale in politica stimola una riflessione che, sulla stessa linea d’onda, si estende all’economia e al mondo imprenditoriale.C’è un modo diverso di leggere il variegato mondo delle imprese capace di andare oltre i criteri interpretativi tradizionali (settore, dimensione, governance, posizionamento geografico, etc.)? Una modalità che aiuti a valutare in senso etico quando, ad esempio, innovazione, responsabilità e sostenibilità, temi di grande attualità, siano perseguiti per necessità, convenienza, di facciata oppure per reale convinzione dei loro imprenditori e manager?

Il confronto in aula con gli studenti, i dibattiti pubblici nel nostro territorio, le conversazioni con imprenditori, startupper e manager, nonché l’osservazione critica dei fatti economico-aziendali del Paese, ci inducono a considerare quattro diverse forme del “doing business”: le imprese del dare, del fare, dell’affare e del malaffare. E, si badi bene, non è un gioco di parole. Ognuna di queste sottende differenti comportamenti imprenditoriali.Cominciamo dal malaffare.

Basterebbe leggere con attenzione le Relazioni semestrali al Parlamento della Direzione Investigativa Antimafia per capire quanto sia in crescita il fenomeno, perché le organizzazioni criminali calabrese, siciliana, campana, pugliese e lucana si proiettano ormai su tutto il territorio nazionale. Ma non ci sono soltanto le imprese mafiose.

Corruzione, riciclaggio di denaro, frodi fiscali e altre violazioni di legge sono “attività parallele” che, alterando la natura finanziaria delle operazioni aziendali, altre imprese del malaffare portano avanti con grande disinvoltura, anche quando le attività reali economico-produttive sono svolte in modo apparentemente ineccepibile. Se il perseguimento di tali reati, ancor prima di essere accertati e condannati, è concepito intenzionalmente come strumento per svolgere l’attività aziendale, l’impatto di tali imprese è devastante: sottraggono ricchezza all’economia, limitano la concorrenza, creano surrettiziamente occupazione e indotto che, una svolta scoperto il vaso di Pandora, crollano giù come fossero castelli di sabbia.

Le imprese dell’affare sono quelle che – a differenza del malaffare – operano nel solco della legalità, nel pieno rispetto di norme e anche buone prassi aziendali, ma il motore principale delle loro attività è il denaro, cioè l’opportunità di un guadagno immediato a discapito di una sostenibilità a lungo termine. Anche qui la dimensione finanziaria è prevalente su quella reale; possono conseguirne, pertanto, comportamenti organizzativi che, pur leciti, non sono sempre eticamente corretti.In tali imprese, le figure apicali, avvezze a gestire potere e progetti, solitamente evitano il rischio aziendale nella sua accezione primaria e preferiscono operare scelte dirette a minimizzarlo, ad attutire l’incertezza, ad evitare repentini cambiamenti di mercato. Non sono indifferenti al tema della responsabilità sociale, ma lo attuano in modo distorto.

Ci sono poi le imprese del fare.Di solito si associano alla piccola dimensione e al mondo artigianale, ma questa caratterizzazione non è prerogativa soltanto delle imprese minori produttive. Paladine di modelli di imprenditorialità familiare in cui il titolare rischia il proprio capitale e le risorse personali per il successo dell’attività aziendale, queste imprese tendono ad essere più sostenibili nel lungo termine. I loro titolari sono orientati alla soluzione dei problemi, profondi conoscitori del settore in cui operano ed innovatori in senso ampio, anche se non sempre l’innovazione coincide con quella tecnologica e digitale. Spesso senza saperlo, sono imprese socialmente responsabili.

Ci sono infine le imprese del dare.Come quelle del fare, sono orientate alla concretezza delle attività economiche reali, senza lasciarsi sopraffare dalla dimensione finanziaria delle operazioni. Hanno una marcia in più, tuttavia.Sono più capaci di impattare positivamente sull’ambiente, la società e la comunità, anzi la ricerca d’impatto è intenzionale in tutte le scelte che compiono. Pensiamo a startup innovative, società benefit, cooperative sociali e di comunità, ad esempio. Imprese pure molto attente alle risorse umane, dove ciò che conta non è solo il fare, ma perché farlo, cioè le motivazioni.Ed è proprio guardando alle motivazioni che si capisce perché c’è sempre più di una “buona ragione” per essere una “buona impresa”.

* insegna Principi di Management all’Università degli Studi di Catania. È giornalista pubblicistaCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA