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UniCt, il nuovo rettore Priolo «Includere tutti, anche gli studenti»

Di Gianluca Reale |

Il primo giorno da rettore eletto per Francesco Priolo è stato zeppo di cose da fare. Ma, soprattutto, zeppo di messaggi e telefonate di congratulazioni. «Spero di farcela a rispondere anche a tanti colleghi che mi hanno scritto da tutte le parti d’Italia e anche dall’estero», dice il nuovo “magnifico”. Lunedì sera ha festeggiato l’elezione e adesso dovrà aspettare il decreto di nomina per prendere “pieni poteri”.

Il ritiro di tre colleghi dopo il primo turno ha fatto storcere il naso a qualcuno…

«Non c’è mai stato alcun accordo, né tacito né esplicito. Il divario alla prima votazione era talmente evidente che il senso dell’istituzione dei miei colleghi li ha spinti a prendere questa decisione per dare all’Ateneo una guida nel più breve tempo possibile. Non posso che ringraziarli».

C’è chi dice che entro 30 giorni dovrà decidere su eventuali provvedimenti disciplinari per i colleghi indagati.

«Bisogna attendere il percorso della magistratura, capire se verranno condannati. È chiaro che dobbiamo essere trasparenti, non dobbiamo nascondere nulla, ma non dobbiamo neanche essere giustizialisti né sostituirci al lavoro dei magistrati. Dobbiamo attendere con serenità».

I sindacati chiesero, nell’incontro con i candidati, se l’Università si sarebbe costituita parte civile in un eventuale processo. Lo farete?

«Dissi già in quell’occasione che dobbiamo aspettare la conclusione delle indagini. Quando arriverà il momento insieme prenderemo una decisione per l’esclusivo bene dell’Ateneo».

In cosa consiste “l’operazione trasparenza” che vuole intraprendere anche per il bene della città?

«Significa avere chiaro che le procedure che si utilizzeranno a Catania dovranno essere tra le best practices a livello nazionale. Catania non dovrà avere nulla da invidiare alle migliori Università italiane, anche sul reclutamento. Non solo avremo un delegato alla trasparenza, ma terremo i “cassetti aperti”, nulla da nascondere. E creeremo un board di personalità esterne all’Ateneo, riconosciute anche per l’alto livello etico, che possano osservare le nostre procedure, consigliarci su cosa cambiare o certificare che quello che facciamo è in linea con quello che si fa nel resto del paese e le normative. Se poi ci saranno meccanismi non corretti sulla singola procedura – e staremo attenti e vigileremo – andranno esaminati e puniti come è giusto che sia».

Ha parlato di Ateneo delle competenze più che delle appartenenze.

«L’elezione è conclusa e tutti dobbiamo essere uniti per costruire il futuro di questa Università indipendentemente dalle appartenenze. Quello che conta è quello che ognuno di noi sa fare».

Ritiene chiusa la stagione dei conflitti interni?

«Non credo che lo sia, uno dei miei compiti principali è chiuderla. Questo Ateneo non può sopportare ulteriori conflitti».

Espressione di questi conflitti è anche il ricorso sulle elezioni pendente al Tar.

«L’Ateneo difenderà la sua posizione. Ritengo che queste elezioni siano state giuste e legittime e mi auguro che la magistratura possa certificarlo».

A chi chiedeva discontinuità rispetto al passato cosa risponde?

«Non credo si debba parlare di discontinuità o continuità. Il punto è guardare al futuro. C’è da costruire. L’ho dimostrato in passato, il mio modo di costruire è inclusivo e la parte centrale del mio programma è quello dell’Ateneo partecipativo, in cui tutti coloro che possono avere un ruolo l’avranno. In particolare gli studenti, con la loro fantasia e le loro idee».

Non ce l’hanno avuto sino ad ora?

«Non dico questo, ma l’entusiasmo che s’è visto in aula magna per l’elezione, con tutti quegli studenti festanti, in altre occasioni non c’è stato. Un bel segno».

Però gli studenti diminuiscono a Catania. Come si inverte questa tendenza?

«Ci sono tanti motivi, ma dobbiamo puntare principalmente a costruire corsi di laurea più appetibili insieme alle realtà produttive, accrescendo la nostra proposta in lingua inglese. Poi c’è da lavorare sul placement che è legato sia al nostro territorio svantaggiato, un fatto oggettivo con cui dobbiamo fare i conti, sia alla possibilità di mettere in contatto i nostri studenti e laureandi con opportunità e aziende anche di altri territori. Magari facendo delle Job fair. Una volta creato il network, non ci sarà bisogno di andare a studiare fuori».

Non ci si è mai riusciti?

«Il Cof fa già tantissimo sul placement, ma questo deve diventare una priorità per l’Ateneo. Su questo, come su molto altro, sarà fondamentale costruire delle strategie per il breve, medio e lungo. Un lavoro duro da fare nel primo anno, coinvolgendo tutte le professionalità dell’Ateneo, molte delle quali inespresse».

Come vuole farle partecipare?

«Faccio degli esempi. La ricerca è una delle priorità. Oggi abbiamo un delegato alla ricerca, ma io propongo di avere una vera e propria commissione ricerca d’Ateneo presieduta dal delegato e formata da docenti e ricercatori di tutti i dipartimenti: un vero e proprio board che costruisca la strategia della ricerca di questa Università e la trasferisca ai dipartimenti. Lo stesso per la didattica: il delegato sarà presidente di una commissione d’Ateneo, di cui faranno parte anche gli studenti, che pensi una strategia. Dobbiamo creare dei “pensatoi”: dove ci sono, nascono sempre cose buone».

Nel suo programma parla di potenziamento degli uffici al servizio della ricerca.

«Fondamentale. Oggi ci si affida al singolo docente/ricercatore. Invece un lavoro di squadra è necessario soprattutto per vincere bandi in Europa. Metterò a disposizione tutta la mia esperienza nello European Research Council».

Sulla didattica stiamo in fondo alle classifiche Censis: è necessaria una revisione dell’esistente?

«Il livello della nostra formazione è buono, molto meglio di quanto si pensi. Sulle classifiche, bisognerà chiedere di correggere alcuni parametri che oggettivamente ci penalizzano, ma che non dipendono da noi. Poi è ovvio che un ripensamento di alcuni corsi di laurea andrà fatto per renderli più attuali e attrattivi. Sarà il compito del “pensatoio” di Ateneo».

È favorevole all’idea del campus al Vittorio Emanuele, su cui ha molto insistito il candidato Purrello?

«Vorrei capire dove prendiamo le risorse e chi finanzia. L’idea è bella, magari ne discuterò con Purrello».

Come attiriamo studenti da fuori e a quali stranieri ci rivolgiamo?

«Dobbiamo guardare senz’altro al bacino mediterraneo e anche all’India e alla Cina. Ma dobbiamo essere ambiziosi, l’Europa e gli Stati Uniti sono fondamentali. Possiamo arrivarci accrescendo con forza le convenzioni con altri Atenei per portare studenti di quei paesi a studiare qui per alcuni periodi. Vedo una Catania del futuro che possa avere delle opportune convenzioni con Cambridge, con Stanford, con Harvard. Sono fiducioso».

Quanto tempo ci vorrà?

«Sei anni pieni senz’altro, bisogna fare una cosa alla volta, nessuno ha la bacchetta magica».

Prima cosa da fare?

«Riallacciare il rapporto di fiducia col territorio».

E come si fa dopo quanto è successo?

«Facendo vedere che l’Ateneo non vuole nascondere nulla, è pronto a ripartire e vuole collaborare con tutto il territorio, di cui è uno degli asset importanti».

Un territorio in sofferenza.

«Parliamoci chiaro, il problema è di tutti. Catania, con una Università debole, è una città “morta”, una città che se continua a perdere studenti non ci sarà più, in cui fra vent’anni il substrato socio culturale sarà un altro. Il punto è costruire insieme, capire che dentro l’Ateneo ci sono tante professionalità che lavorano con dedizione e sono apprezzate in Italia e all’estero. Fare conoscere questa parte sana, le tante cose buone e importanti che facciamo – come la ricerca sul carburo di silicio che ha permesso a St di lanciare nuove batterie sul mercato – è assolutamente fondamentale».

Sulla sua “squadra” ha già dei nomi?

«Datemi un po’ di tempo».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA