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«In Sicilia scongiurati almeno altri 5.000 casi», il dossier che promuove la linea dura della Regione

Di Mario Barresi |

CATANIA – Nello Musumeci doveva firmarla ieri notte, per farla entrare in vigore già oggi, la nuova ordinanza “pasquale”: ulteriore estensione di divieti (niente “finestra” nemmeno per le consegne di cibo nei giorni festivi) e controlli, prima apertura all’obbligo delle mascherine (ma soltanto in supermercati, uffici aperti al pubblico e mezzi di trasporto), oltre al pacchetto di misure sanitarie concordato con Ruggero Razza, fra cui l’introduzione di tamponi rapidi e test al sangue, ma anche l’estensione dell’app “spia-furbetti” e del monitoraggio territoriale sui cittadini in quarantena.

Un’ulteriore stretta, ancora rinviata ma dovrebbe arrivare e breve – spiegano da Palazzo d’Orléans – perché «alcune misure vanno concordate con sindaci e altri operatori». Ma, nella sostanza, il governo regionale non fa neanche un passo indietro rispetto alla linea dura. Anche perché sul tavolo del governatore e dell’assessore alla Salute è arrivato un dossier dalle molteplici sfumature. Quella della paura, per fortuna retroattiva, descrive un quadro apocalittico, «in assenza di interventi», e cioè senza le restrizioni e le misure di contenimento introdotte dai governi nazionale e regionale. «L’attuale scenario epidemico in Sicilia – si legge nel report – risulta significativamente modificato da due ordini di misure: a) distanziamento sociale e b) isolamento precoce di soggetti potenzialmente fonte di esposizione in quanto provenienti da aree a maggior rischio».

Questa è la conclusione dell’Osservatorio epidemiologico regionale. Al 6 aprile in Sicilia ci sarebbero stati fino a 5mila contagiati in più (la forbice di «casi evitati» è fra 2.454 e 4.954, con una media di casi giornalieri scongiurati compresa fra 70 e 90. Senza la linea dura, inoltre, fra il 6 e il 22 aprile ci sarebbe stato un aumento di 120-140 contagi in più al giorno, portando il totale dei positivi (che ieri era di 2.097, al lordo dei 125 decessi e dei 113 guariti) fino a un picco di 4.500-7.000. Facendo scoppiare il sistema sanitario regionale, che adesso s’è comunque attrezzato, soprattutto per l’altissimo numero di ricoveri in terapia intensiva: sarebbero stati fra 260 e 310 nel periodo 16-25 aprile (ieri erano appena 73) e «nella più sfavorevole delle ipotesi» la carenza in rianimazione sarebbe stata di 160 posti letto, con la Sicilia «al di sopra della disponibilità regionale» almeno fino al 20 maggio.

Non è andata così, le sliding doors della lotta al Covid-19 in Sicilia ci raccontano un’altra storia. Il picco s’è registrato il 22 marzo, «dopodiché le nuove diagnosi iniziano a decrescere». Ancor più importante, però, «per valutare al meglio l’effettiva data di incidenza», è l’andamento della curva «per data di inizio dei sintomi»: nell’Isola «il culmine appare concentrarsi esattamente una settimana prima del 15 marzo». E allora, «calcolando il periodo di incubazione medio di 5 giorni», l’inizio della riduzione dei contagi «potrebbe collocarsi intorno alla data del 10 marzo, cioè in corrispondenza dell’avvio delle misure adottate, come l’ordinanza dell’8 marzo di Musumeci su chi stava rientrando in Sicilia.

Perché, si legge nello studio del Dasoe, «di fatto l’intervento normativo ha modificato l’andamento della curva epidemiologica, appiattendola, e raggiungendo un plateau che comincia a prendere forma dal 28 marzo», con la tendenza verso l’azzeramento dei casi stimata nella seconda metà di aprile. Una previsione epidemiologica che coincide con quella, più prettamente matematica, del Dipartimento di scienze economiche, aziendali e statistiche dell’Università di Palermo, che – nell’aggiornamento di ieri – prevede un numero medio di 20 casi giornalieri fra entro il 15 aprile e di appena 10 nuovi contagiati al giorno entro il 21 aprile. Con la curva che si approssimerà allo zero alla fine del mese.

Ma nel report della Regione non si parla soltanto di chi è scampato al contagio. Si descrive, purtroppo, anche l’identikit delle vittime. Nell’Isola, comunque, c’è un tasso di mortalità da coronavirus fra i più bassi d’Italia: 2,50 ogni 100mila abitanti (soltanto in Basilicata va meglio, con il 2,42), a fronte di una media nazionale di 28,15 con il record della Lombardia a 97,73. E anche il tasso di letalità (numero di vittime per ogni mille positivi accertati) è piuttosto basso: 56,61, meno della metà della media nazionale di 126,32.

L’età media dei morti di coronavirus accertati in Sicilia è di 77,5 anni. Le donne decedute hanno un’età più alta degli uomini: 80,8 contro 74,5. Ma in uno dei grafici allegati al dossier si annota anche una vittima fra 40 e 49 anni, oltre che 8 fra 50 e 59 anni. Ma in che percentuale i decessi sono legati a malattie pregresse? Nel 66% «Risulta evidente l’effetto delle patologie croniche preesistenti nei soggetti deceduti, a differenza delle donne dove l’effetto delle cronicità risulta meno evidente», si legge nello studio. E ancora: «Tra coloro che sono deceduti e che presentavano almeno una comorbidità, il numero medio di patologie croniche negli uomini era pari a 2,4 mentre nelle donne di 2,7».

E quali sono le patologie pregresse di chi in Sicilia è morto di Covid-19? «I soggetti deceduti, e con comorbidità pregressa all’infezione, presentavano una prevalenza maggiore di 3 patologie croniche e senza alcuna differenza tra uomini e donne». Le malattie cardiovascolari (29% del totale) sono la principale concausa, a seguire il diabete (18%) e le malattie respiratorie croniche (15%), con un significativo 9% di quelle renali e un 8% delle patologie neurologiche croniche.

Il dossier epidemiologico si occupa ovviamente anche dell’incidenza del rientro di tanti siciliani in fuga soprattutto dal Nord: 13.440 quelli registrati fra il 4 e il 14 marzo; 16.979 dopo il 14 marzo, per un totale di 30.419 registrati alla piattaforma regionale. Dove sono tornati? Sopratutto a Palermo (7.093), Catania (5.292) e Messina (3.985). Ma, per fortuna, «l’autodenuncia e la quarantena per i soggetti provenienti dapprima dalla Lombardia e altre aree vaste del nord (8 marzo 2020) e successivamente dal resto del Paese (14 marzo 2020) sono intervenute tempestivamente in una fase precoce della progressione della curva epidemica in cui è stato possibile un effetto potenziato delle misure».

Questo elemento, secondo gli epidemiologi, è stato decisivo per scongiurare il boom di contagi. E non solo. «Le disposizioni nazionali di distanziamento sociale – si legge nello studio – ulteriormente rafforzate dalle ordinanze regionali e da quelle integrative delle ordinanze regionali che hanno sostanzialmente anticipato la chiusura delle scuole , l’autodenuncia e la quarantena per i soggetti provenienti dapprima dalla Lombardia e altre aree vaste del nord (8 marzo 2020) e successivamente dal resto del Paese (14 marzo 2020) sono intervenute tempestivamente in una fase precoce della progressione della curva epidemica in cui è stato possibile un effetto potenziato delle misure». Poteva andare peggio, molto peggio. Ma non è una ragione per mollare proprio adesso.

Twitter: @MarioBarresi

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