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La forma del Covid: come cambiano gli ospedali siciliani per far posto ai contagiati

Di Redazione |

CATANIA –  La soluzione più estrema arriva dall’Asp di Caltanissetta: da oggi, negli ospedali della provincia, saranno ricoverati soltanto i «casi non procrastinabili». Nel resto dell’Isola si prova a resistere. Con l’ormai celebre “fisarmonica” che, pur tentando di mantenere un’armonia tanto ambiziosa quanto ardua, è costretta a suonare sempre più le note, tetre, della paura.

È la forma del Covid. Come quella dell’acqua di camilleriana memoria. La sanità siciliana, assediata dall’emergenza, ridefinisce la propria foggia. Cambia pelle. E anche anima. Corrosa dal bisogno impellente di nuove risorse – spazi, soprattutto, ma anche persone – per rispondere al secondo assalto della pandemia. Reparti che chiudono, “doppioni” che si dimezzano, ospedali che si scambiano unità operative e personale; ma anche servizi assistenziali sospesi, visite di pazienti rimandate, sale operatorie riservate agli interventi «non differibili».

La Sicilia è fra le (non molte) regioni in cui la nuova rete anti-coronavirus, sulla carta, è fondata sul modello «a ospedale aperto». Il necessario incremento di terapie intensive e degenze Covid è cioè previsto «in assenza del blocco dei ricoveri ordinari e delle normali attività di day hospital/day surgery e ambulatoriali», come esplicita Ruggero Razza nella lettera d’accompagnamento alla “Pianificazione dei posti letto per pazienti Covid”, trasmessa lo scorso 4 novembre alla commissione Salute dell’Ars, dopo il via libera ottenuto la notte prima dal Comitato tecnico-scientifico regionale. Un modello che «solo apparentemente potrebbe sembrare dedicato esclusivamente ai pazienti Covid», si legge nella relazione apprezzata dal Cts, ma che «è finalizzato, al contrario, a permettere» alle strutture impegnate sul fronte della pandemia di «erogare una adeguata e necessaria offerta sanitaria che, a meno del precipitare della condizione epidemiologica, dovrebbe essere, anche durante tutta la fase epidemica, sempre garantita».

Ma i buoni propositi si scontrano con la realtà. E, nonostante la Sicilia – secondo i dati forniti al commissario nazionale Domenico Arcuri – sia la quinta regione d’Italia per incremento di posti aggiuntivi in terapia intensiva (+139 rispetto al pre-Covid), già da diverse settimane gli ospedali sono in affanno. Anche perché qui il virus, benché meno diffuso, sembra più “cattivo”: col 6,6% l’Isola è al quinto posto nazionale per tasso d’ospedalizzazione dei positivi; svettando addirittura in testa alla classifica dei contagiati ricoverati in terapia intensiva: 0,82 ogni 100, contro lo 0,32 della Campania e lo 0,27 della Campania.

Il sistema sanitario siciliano, ogni giorno di più, ha bisogno di letti e di camici bianchi per i reparti Covid. E così Mario La Rocca, dirigente generale del dipartimento Pianificazione strategica dell’assessorato alla Salute, appena tre giorni dopo l’approvazione della rete anti-Covid regionale che assicurava la continuità di tutte le attività ordinarie, ha messo nero su bianco la nuova prospettiva: «Alla luce della attuale situazione epidemica che vede la curva dei contagi crescere in maniera esponenziale, appare necessario – chiarisce subito in una nota a tutti i manager sanitari siciliani – riorganizzare l’attività ospedaliera delle strutture in atto prioritariamente dedicate all’assistenza dei pazienti covid, anche al fine di ottimizzare le risorse di personale».

Fra gli «inviti» agli ospedali c’è quello di «riorganizzare le attività assistenziali», laddove «alcune discipline sono presenti nella stessa azienda in forma duplicata», mantenendo «una sola unità operativa» e «impiegando il restante personale per le esigenze» dell’emergenza Covid. Se queste misure «non risultassero sufficienti», l’input dell’assessorato alla Salute è di «riprogrammare le attività di ricovero ordinario e di DH/DS da considerare clinicamente differibili».

Ebbene, l’Asp di Caltanissetta ha preso l’invito alla lettera. Ieri, infatti, il direttore generale Alessandro Caltagirone ha scritto una nota a tutti i vertici ospedalieri. Dall’oggetto inequivocabile: «Sospensione attività assistenziali procrastinabili». Da oggi, nelle strutture nissene, si faranno soltanto ricoveri «in regime d’urgenza», «elettivi oncologici» e «elettivi non oncologici con classe di priorità A», cioè i «casi clinici che potenzialmente possono aggravarsi rapidamente al punto da diventare emergenti, o comunque da recare grave pregiudizio alla prognosi». Garantite anche «le prestazioni in Day Service per patologie croniche non oncologiche» dei protocolli terapeutici «aventi carattere di continuità», come ad esempio le terapie infusive per patologie reumatologiche o neurologiche degenerative. Per tutto il resto la sanità nissena, in attesa di «successivo aggiornamento in relazione alla progressione pandemica», resta “chiusa per Covid”, al culmine di un complicato processo di adattamento al nuovo scenario. Al Vittorio Emanuele di Gela il reparto di Medicina era stato già riconvertito in degenze Covid, con pazienti trasferiti alla clinica Santa Barbara e all’ospedale Suor Cecilia Basarocco di Niscemi, in cui i ricoverati della Lungodegenza sono andati a loro volta in Medicina.

All’estremità opposta c’è la strategia dell’Asp di Siracusa: tutto, o quasi, resta come prima. «La nostra scelta – spiega il manager Salvatore Lucio Ficarra – è basata sulla consapevolezza che il Covid non è una malattia “esclusiva”, ma porta all’ospedalizzazione soprattutto quando ci sono anche altre patologie». E così nei quattro poli ospedalieri (Siracusa, Avola-Noto, Augusta e Lentini) Ficarra assicura che «accanto a un reparto Covid aperto ovunque, tutte le attività proseguono regolarmente». Con alcune eccezioni: ad Augusta la Chirurgia è stata chiusa e la Medicina riconvertita in Covid; nel capoluogo, all’Umberto I, rinviata l’apertura del nuovo pronto soccorso, perché adesso di fatto accorpato alla rianimazione con 19 posti.

Fra i modelli, molto diversi, di Caltanissetta e Siracusa, c’è tutto il resto. A partire dalle due città più colpite dal coronavirus. A Palermo la riconversione – alias chiusura – è già partita da qualche giorno, sia al Civico (in Medicina interna e Pneumologia, per oltre 100 posti letto, ma anche al pronto soccorso pediatrico), sia al Cervello (prima Ginecologia e Chirurgia generale, ora Ostetricia e Gastroenterologia).

A Catania i sacrifici più pesanti sono nelle strutture di provincia. Ad Acireale, di fatto Covid Hospital, si fa prima a dire ciò che rimane aperto: Neuropsichiatria infantile, Gastroenterologia e Odontoiatria speciale riabilitativa. A Biancavilla niente più Pediatria e Medicina, ma in compenso ora c’è una Terapia intensiva interna. In città, al San Marco (hub nella rete Covid della Regione) già riconvertiti Chirurgia Toracica e Ortopedia urologia. Al Garibaldi assicurano che ci sono stati solo «solo trasferimenti, senza chiusure»; stessa situazione al Cannizzaro dove Oncologia, per fare spazio ai posti Covid, trasloca nei locali di Medicina fisica e riabilitativa, in precedenza sistemata nel padiglione dell’Unità spinale.

Anche a Enna il manager Francesco Iudica ammette di aver dovuto fare «scelte di buon senso, riducendo al minimo la sospensione di reparti nell’ottica di percorsi differenziati». E così, per fare spazio ai pazienti contagiati, Medicina è “emigrata” a Piazza Armerina, da dove – con percorso inverso – Pediatria, Ortopedia e Chirurgia sono andati nell’ospedale del capoluogo, «compreso il personale che sarà di rinforzo anche all’emergenza». Nell’Ennese tutti i ricoveri in Terapia intensiva non legati al Covid sono dirottati a Nicosia. Molta attesa, adesso, c’è per la riconversione dell’ex Ciss di Pergusa: un enorme padiglione, di proprietà dell’Asp, in cui si punta a «creare fino a 500 posti Covid, con assistenza medica e apparecchiature».

E pure Ragusa, seppur in parte, si riconverte. Il nuovo Giovanni Paolo II si specializza nella risposta alla pandemia: Pediatria e due reparti di Medicina lasciano spazio al potenziamento di Terapia intensiva e Malattie infettive, mentre il vecchio ospedale di Ibla accoglie un’unica Medicina e un reparto Covid a basso rischio; qualche sacrificio, in prospettiva, è probabile anche in alcuni reparti di Modica e Vittoria.

Ad Agrigento si punta sulle convenzioni con le strutture private, ma l’Asp non esclude una riconversione di Medicina generale e di altri reparti specialistici per recuperare spazi e risorse umane. A Messina c’è polemica per i ritardi con cui il Policlinico avrebbe predisposto i 12 posti Covid di Terapia intensiva, con la necessità dunque di riconvertire quelli ordinari.

A Trapani il piano è delocalizzato tutto in provincia. Nel Paolo Borsellino di Marsala, riconvertito a Covid Hospital, rimangono garantite soltanto Ostetricia, Ginecologia, Pediatria, oltre che i servizi di dialisi, chirurgia d’urgenza e pronto soccorso cardiologico. A Marsala resta ancora aperta Ematologia, assieme a poche altre specialità, mentre i servizi ambulatoriali sono garantiti nel presidio di piazza Inam.

L’altra direttiva della Regione ai manager riguarda il personale. «Qualora si rilevassero carenze d’organico» nei reparti Covid, scrive il dirigente La Rocca, si dovrà «integrare la dotazione organica impiegando dirigenti medici strutturati individuati in prima istanza tra discipline equipollenti o affini», e «successivamente, ove necessario, anche in altre unità operative». E in molti ospedali lo stanno già facendo. Il Policlinico di Catania, ad esempio, ha già richiamato in trincea più figure: oltre a un chirurgo vascolare, tre chirurghi generali, un reumatologo, un neurologo e un angiologo, c’è pure un audiologo. Musica, per le orecchie della banda anti-Covid.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA