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Parco dei Nebrodi, l’agguato ad Antoci resta senza colpevoli

Di Redazione |

Messina – Analisi del Dna sui mozziconi di sigaretta, confidenti, intercettazioni telefoniche non sono servite, almeno finora, a far luce sull’agguato all’ex presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, la notte del 17 maggio 2016 nel bosco della Miraglia tra Cesarò e San Fratello. Il gip di Messina, Eugenio Fiorentino, dopo la richiesta della procura messinese nel maggio scorso, ha archiviato l’inchiesta. Nell’inchiesta, all’inizio, erano indagate 14 persone: tutte in qualche modo legate alla mafia nebroidea. «A più di due anni dal vile attentato che ha colpito me e la mia scorta, oggi, dall’inchiesta chiusa dalla magistratura, la sola cosa certa venuta fuori dalle indagini è che quel commando in tuta mimetica, che assaltò la Thesis sulla quale viaggiavamo quella sera, aveva il chiaro obbiettivo di uccidere colpendo prima la ruota posteriore sinistra dell’auto blindata e successivamente, dandole fuoco con le molotov ritrovate, costringerci a scendere per essere giustiziati», ha affermato Antoci che ora è responsabile Legalità del Pd.

I criminali bloccarono l’auto blindata di Antoci mettendo pietroni sulla strada e spararono alcuni colpi di arma da fuoco colpendo la vettura. Dietro l’auto dell’obiettivo vi era un’altra vettura con a bordo il dirigente del commissariato di Sant’Agata di Militello Daniele Manganaro che sparò alcuni colpi di pistola mettendo in fuga i banditi. Antoci introdusse nel parco un protocollo di legalità per l’assegnazione degli affitti dei terreni. Una formula semplice ma dirompente in quel territorio dove comandava la mafia dei pascoli.

Dalla perizia balistica allegata al fascicolo d’indagine emerge che a sparare tre colpi di fucile calibro 12 caricato a palla unica sarebbe stata una sola persona dal terrapieno vicino al ciglio della strada. Le ‘fucilatè, è ipotizzato, non dovevano uccidere, ma servivano a fare fermare l’auto, per poi poter lanciare due bottiglie Molotov che sono state ritrovate intatte, incendiare la vettura e indurre così Antoci e gli uomini della sua scorta ad uscire dall’auto blindata e potergli sparare addosso. «Speriamo vivamente in un collaboratore di giustizia che possa fare luce e aiutare la magistratura a riaprire l’indagine come è spesso accaduto nella storia degli attentati in Sicilia – ha aggiunto Antoci – Ho il desiderio di vedere alla sbarra chi quella notte ci aspettava per ucciderci ma anche chi ha tentato di depistare e infangare. Per questi ultimi nei prossimi giorni arriveranno certamente i primi rinvii a giudizio. Vorrei solo poter ritornare ad una vita normale ma perché tutto questo possa accadere ho bisogno di vedere arrestati e condannati gli autori del mio attentato. La verità è che se ognuno avesse fatto il proprio dovere, se si fosse vigilato sulle erogazioni dei Fondi Europei, evitando così che andassero nelle mani delle mafie italiane, tutto ciò poteva essere senz’altro evitato».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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