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Ong, Fondatrice Moas a Catania: «I pm andassero a cercare prove in Libia»

Di redazione |

CATANIA – Era originario della Sierra Leone, aveva 21 anni e viaggiava insieme a un fratello più grande il giovane ucciso da trafficanti libici e la cui salma è arrivata questa mattina a Catania con nave Phoenix dell’ong Moas, assieme a 394 migranti. Il corpo presenta almeno un colpo di arma da fuoco, verosimilmente una pistola, forse sparato alle spalle. Non è stato ancora chiarito il movente della tragedia, se legato al rifiuto della vittima di consegnare il proprio cappellino da baseball a un trafficante, che lo ha ucciso per il diniego, secondo quanto riferito da migranti ai soccorritori di Moas.

Ricostruita invece la dinamica: la sparatoria sarebbe avvenuta su un gommone e il corpo è rimasto sul fondo del natante guardato dal fratello. Poi è stato recuperato dai soccorritori. La squadra mobile della polizia di Stato che indaga su delega della Procura distrettuale di Catania sta sentendo il fratello della vittima, oltre agli altri testimoni. La magistratura, che ha aperto un fascicolo, ha disposto l’autopsia. 

Dalla Phoenix è scesa anche Regina Catrambone, fondatrice dell’ong Moas che ha risposto ad alcune domande dei giornalisti sulle ombre avanzate dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro sul ruolo di alcune ong. «Io non sono la persona che sta sul ponte, mi occupo di soccorsi, sono i tecnici, il capitano e l’ammiraglio, che hanno i contatti con la guardia costiera». Sui conti dell’Organizzazione non governativa si dice «pronta a consegnarli alla Procura se ce lo chiede, purché poi – precisa – restino riservati». «Noi – osserva – abbiamo anche un’etica nel raccogliere fondi e abbiamo accettato contributi soltanto da chi aveva dei requisiti da noi fissati con rigore. E finora tutti li hanno avuti». «Smentisce» con determinazione di avere «contatti con l’intelligence Usa» che definisce «gravissime illazioni senza fondamento», forse legate al fatto che «mio marito è un cittadino statunitense». E su apparati “segreti” a bordo replica: «non mi occupo di queste cose, ma abbiamo dei visori notturni e la notte spegniamo tutte le luci per osservare meglio in mare alla ricerca di persone da soccorrere». «La nostra organizzazione – ricorda – nasce da un’idea del cuore che poi ha toccato la mente, l’anima e il portafoglio. Scaturisce dalla necessità di fare qualcosa dopo avere visto, tra Lampedusa e la Tunisia, una giacca in mare, mentre Papa Francesco diceva di abbatter il muro e di essere solidali con i nostri fratelli che soffrono e rischiano la vita. Abbiamo messo il nostro talento e il denaro per fare qualcosa per loro». «Siamo in azione nel Mediterraneo dal 2014 – aggiunge Regina Catrambone – e abbiamo piano piano ricevuto poi contributi economici e di idee. Poi sono arrivati anche gli altri. Il nostro è stato un sasso lanciato in mare che ha creato delle buone onde…». 

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«C’è un telefono satellitare che viaggia con un piccione viaggiatore? Questa non la capisco…», ha detto ancora la Catrambone, a proposito del telefono satellitare Thuraya che, secondo un’ipotesi investigativa, sarebbe stato utilizzato più volte per mettere in contatto migranti e Ong. «Non capisco perché – aggiunge – queste domande non sono poste nelle sedi adeguate alle persone che possono essere oggetto di indagini? Se c’è questo telefonino perché non chiamano le persone che lo hanno? Vadano in Libia. Abbiamo un’ambasciata italiana lì. Non è difficile arrivare in Libia, che è a un tiro di schioppo dalla Sicilia. I procuratori che si occupano di queste indagini – chiosa Regina Catrambone – andassero sul campo a ricercare queste prove». 

«Noi abbiamo iniziato la nostra attività nel 2014 per colmare un vuoto che c’era in mare e non capisco perché questa accuse arrivano proprio ora, vogliamo capire e vogliamo rispetto per le famiglie di tutti i nostri operatori», sottolineando che «Frontex non ha mai parlato di “taxi del mare” per i soccorsi di migranti nel Mediterraneo, che è stata una fake news fomentata da qualcun altro per scopi ai quali non voglio neppure pensare». Moas, annuncia Regina Catrambone, «sta cercando di aprire una sede in Italia, a Roma». E sull’ipotesi di un “accreditamento” per le ong che possano operare in mare a soccorrere migranti commenta: «non se sappiamo alcunché, certo noi siamo stati i primi non saremo gli ultimi…». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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