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Graviano rompe il silenzio: «Incontrai tre volte Berlusconi a Milano»

Di Redazione |

Giuseppe Graviano, il boss del rione Brancaccio di Palermo già condannato per le stragi del ’92-’93 e per l’omicidio di don Pino Puglisi, ha rotto il silenzio durato 26 anni ed oggi ha fatto il nome di Silvio Berlusconi come quello di un suo interlocutore.

«Ho incontrato tre volte a Milano Silvio Berlusconi mentre ero latitante» ha detto deponendo in videoconferenza con l’aula bunker di Reggio Calabria dove si celebra il processo «ndrangheta stragista» in cui è imputato insieme a Rocco Santo Filippone, uomo di fiducia dei Piromalli di Gioia Tauro, di essere mandante dell’agguato in cui furono uccisi gli appuntati dei carabinieri Giuseppe Fava e Antonino Garofalo, assassinati nel gennaio del 1994 nell’ambito, secondo l’accusa, del progetto stragista portato avanti da Totò Riina.

Affermazioni subito bollate come «totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonché palesemente diffamatorie» dall’avvocato del leader di Forza Italia Niccolò Ghedini che ha già annunciato «tutte le azioni del caso avanti l’autorità giudiziaria» sostenendo che quelle parole sono «finalizzate ad ottenere benefici processuali o carcerari inventando incontri, cifre ed episodi inverosimili ed inveritieri».

Nel corso della sua deposizione – partita dalle intercettazioni in carcere in cui parlava dell’ex premier e a cui sono interessate varie procure italiane – Graviano ha sostenuto che Berlusconi, prima di iniziare la sua attività politica, gli avrebbe chiesto di essere aiutato in Sicilia. A detta del boss, però, molte delle attese che Cosa nostra aveva riposto in Berlusconi vennero meno, come il mantenimento del regime carcerario del 41bis e la mancata abolizione dell’ergastolo. «Per questo – ha detto – ho definito Berlusconi traditore».

Rispondendo alle domande del pm, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, il boss di Brancaccio ha anche detto di essere stato latitante dal 1984 e che la cosa non gli impedì di presenziare in quell’anno ad un incontro con Berlusconi, «che sapeva della mia condizione», in presenza di altre persone. «Mio nonno», un facoltoso commerciante di frutta e verdura, ha riferito Graviano «era in contatto con Berlusconi» e fu incaricato da Cosa nostra di agganciare l’ex presidente della Fininvest per investire al nord. Cosa che, a detta del boss, avvenne per le pressioni del padre di Michele Greco, Giuseppe, “che consigliò di investire nel settore immobiliare una cifra di circa venti miliardi di lire».

L’incontro, secondo quanto sostenuto dallo stesso Graviano «avvenne nel 1983 all’hotel Quark», presenti il nonno e il cugino Salvatore.  I soldi dei Graviano sarebbero finiti anche nella realizzazione di «Milano 3» e «la nostra idea – ha detto – era di legalizzare la situazione per far emergere i finanziatori nella società immobiliare di Berlusconi in cui c’era mio nonno, perché i loro nomi apparivano solo su una scrittura privata che ha in mano mio cugino Salvo».

Graviano, è poi tornato al suo atteggiamento negazionista quando le domande del pm hanno iniziato ad affrontare i rapporti tra Cosa nostra e ‘ndrangheta ed il coinvolgimento di quest’ultima nella stagione delle stragi. Argomenti trattati da più collaboratori di giustizia. Il boss si è dichiarato totalmente estraneo ed ha escluso di avere avuto mandato da Leoluca Bagarella di contattare i calabresi nell’attuazione del progetto stragista degli anni ’90 voluto da Totò Riina. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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