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Matteo Renzi: «Adesso decido io»

Renzi: «Adesso decido io» La svolta del premier sulle cose di Sicilia

E cambiano anche gli scenario nel Pd

Di Mario Barresi |

Il senso di Renzi per la Sicilia. Nel cosiddetto #sabatoitaliano in cui il premier mette cappello sulla gran – deur del Ponte sullo Stretto – non più un’idea, ma una «fase operativa» – pur essendo in Calabria lancia una serie di segnali politici all’Isola.

«Per la vostra regione abbiamo un programma di grandi eventi», dice Renzi ai giornalisti siciliani, a margine della cerimonia di inaugurazione dell’elettrodotto Sorgente-Rizziconi, a Scilla. Riferendosi al G7 a Taormina, ma anche alla festa nazionale del Pd, in programma fra fine agosto e inizio settembre. A Palermo? «No, questo lo va dicendo Faraone!», risponde fra il serio e il faceto.

«Noi stiamo pensando anche a un’altra sede. Nel Ragusano, nei luoghi cinematografici di Montalbano. Ma dove c’è anche un forte valore simbolico sul tema dei migranti, con Pozzallo in prima linea. Vi terremo aggiornati». Dalla segreteria nazionale trapela soltanto che al Pd siciliano è stata chiesta una rosa di possibili sedi. E che sul tavolo ci sarebbero le ipotesi Palermo, Catania e Ragusa, con due agguerrite outsiderdel sud-est come Pachino e, appunto. Pozzallo. Il senso di Renzi per la Sicilia. La battuta del premier sulla festa nazionale e il toto-sedi sono soltanto un espediente letterario per introdurre un tema politico.

È cambiato, sostengono quelli che l’hanno sentito ultimamente parlare di cose di casa nostra, l’ap – proccio renziano alle cose di Sicilia. L’idiosincrasia per l’Isola, un “veleni – ficio” vischioso e rischioso dal quale tenersi alla giusta distanza, è diventato meno pregnante. «Io non parlo di questioni politiche né di candidati , sono spessissimo in Sicilia e continuerò a venire per cose concrete», ci dice a margine dell’evento Terna. Il Ponte? «Prima le altre cose, strade e ferrovie, poi partiamo sul serio», va ripetendo.

«Purché non finisca come quella canzone “Il ponte, il ponte…” di Checco Zalone», ridacchia. E le scelte politiche? Fin qui, a proposito di colonne sonore, risuonava “la lontananza, sai, è come il vento”. Ma adesso il premier-segretario ha deciso, forse perché costretto dagli eventi, di essere più vicino alla Sicilia. Partendo da scelte istituzionali: il G7, il via libera sui rifiuti e lo sblocco sui 500 milioni alla Regione sono tre scelte forti nel giro di una settimana. Sullo sfondo i Patti: Palermo e Catania, ma anche quello per la Sicilia. Risultati che Rosario Crocetta non è riuscito a far fruttare – dal punto di vista politico e mediatico – come invece sarebbe stato utile. E fors’anche legittimo. Il governo regionale non è ancora riuscito a liberarsi dalla sindrome del brutto anatroccolo.

Eppure il rapporto con Palazzo Chigi è migliorato molto rispetto all’epoca in cui, a luglio 2015, in un’intervista a La Stampa, lo stesso Crocetta ammise: «Sono l’unico governatore con cui (Renzi, ndr) non ha mai, mai parlato. Se lo chiamo mi passano i suoi attendenti». Oggi, pur non essendo nel pantheon renzia – no degli statisti, Rosario qualche sms riesce a scambiarlo con chi di dovere. Anche perché – e qui veniamo al tema del Pd isolano – il fatto che a Renzi faccia un po’ meno schifo la Sicilia è dovuto a due elementi. Il primo magari è più romantico: frequentandola un po’più spesso, seppure con blitz di poche ore, ha capito che è una terra dalle grandi potenzialità. Il secondo è strategico.

Perché nella pax chiesta al partito da qui al referendum è costretto a tenere far stare dentro lo stesso pollaio tutti gli esemplari del gallismo politico siculo. Anzi: provando pure ad aprire gli steccati, in nome del sostegno referendario, anche a chi – come ad esempio Leoluca Orlando, recentemente destinatario di attenzioni importanti – non è del Pd. Anche se, bisbigliano a Palermo, Renzi dovrebbe guardarsi di più le spalle dai cuperliani siciliani, piuttosto refrattari all’ipotesi di sbracciarsi per il sostegno referendario. «Matteo, dopo ottobre, deciderà personalmente anche sulla Sicilia», dicono a Palermo. Ma anche a Scilla.

E ciò spiega altre due circostanze. Innanzitutto il secco stop alle “false partenze” degli aspiranti governatori. «Non è in agenda, sceglieranno i Sicilia», ha ripetuto Renzi fra Catania e Palermo. Certo, Davide Faraone resta, non soltanto per anzianità di militanza, l’uomo di fiducia del premier in Sicilia. E il candidato più accreditato. Nonostante la gelida reazione del ministro Maria Elena Boschi al coming out(«Ha le carte in regola per fare il governatore») messole in bocca nell’ultima visita a Palermo.

«Ho il mandato preciso di non mischiarmi, da dove viene fuori questa investitura?», avrebbe chiesto la ministra ai vertici siciliani del Pd, di buon mattino, leggendo la rassegna stampa. E Faraone, qualche ora dopo, smussa: «Non è tempo di discutere di candidature». Il senso di Renzi per la Sicilia non è una presa di distanza dal suo storico viceré siciliano. Faraone, paradossalmente, incrementa i consensi (a Catania, in caso di primarie, è convinto di «doppiare Bianco grazie ai voti di Sammartino», dicono i suoi) proprio quando aumentano i nemici interni. Soprattutto fra i renziani e i diversamente renziani. Ma l’ostilità del partito non sarebbe un problema se il leader nazionale decidesse di puntare su di Faraone. Il problema è di story telling. La narrazione della “Sicilia catastrofe” a Renzi non conviene più. E non solo per non contaminare la campagna referendaria.

Se dovesse vincere il sì, il premier chiuderebbe la legsilatura a scadenza naturale a inizio 2018. Piccolo particolare: le Regionali sono nell’autunno 2017. Ed è per questo che – con o senza il suo amico Davide – Renzi vuole vincerle. E ci metterà la faccia. Per convincere Crocetta a fare un passo indietro, per chiudere l’accordo con Udc-Ncd, per scegliere «un candidato di sintesi». Il nome? Al Nazareno non è la priorità. Purché si vinca. Anche nell’Isola dei veleni. Il senso di Renzi per la Sicilia.

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