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Da Musumeci all’osso del prosciutto: ecco come cambia (e chi guida) la Lega sicula

Di Mario Barresi |

Palermo. Due foto. Anzi: tre. Per capire cos’è successo (e perché) nella svolta della Lega sicula, basterebbero le didascalie di alcune immagini.

La prima è dello scorso 27 ottobre. Perugia, nella lunga notte dello spoglio elettorale delle Regionali in Umbria. In una trattoria, qualche ora prima del trionfo di Donatella Tesei, il “Capitano” mangia strangozzi al tartufo. E fra i commensali, oltre al fedelissimo Stefano Candiani (senatore padano e potente viceré del Carroccio nell’Isola) c’è un’allegra comitiva di leghisti giunti dalla Sicilia, fra i quali gli etnei Fabio Cantarella e Anastasio Carrà immortalati col sorriso delle grandi occasioni. Ed è proprio quella sera che Matteo Salvini, ancora in pieno picco adrenalinico da campagna elettorale, dice per la prima volta di sì al gruppo della Lega all’Ars. «Ma dobbiamo farlo come dico io», l’ordine. «Senza riciclati, né inquisiti, né vecchi arnesi», un drappello di «due o al massimo tre deputati». Per vedere l’effetto che fa. E «far ballare un po’ di samba a Musumeci».

Erano i tempi della «distanza abissale» fra Salvini e l’inquilino di Palazzo d’Orléans. Tant’è che, proprio quella notte, Matteo si lascia andare anche a qualche ipotesi sul successore di Nello Musumeci. «Non è detto che dobbiamo indicarlo noi», confessa. Ammettendo che «lì giù non è che abbiamo ancora dei fenomeni con noi». E così, fra un bicchier di vino e un caffè, spunta il nome di Salvo Pogliese, allora da poco passato con Giorgia Meloni dopo il burrascoso addio a Forza Italia. Pur conscio della nebulosa pendenza giudiziaria del sindaco di Catania (a processo a Palermo sulle spese pazze dell’Ars, sentenza prevista nei primi mesi del 2020), Salvini definisce Pogliese «uno di cui ci si può fidare», poiché «ha già dimostrato la sua lealtà nei nostri confronti, dandoci l’assessore promesso nonostante a Catania avessimo preso lo zero virgola». Un endorsement a un uomo di Meloni, prima che i rapporti con la «nana malefica» (cit.) s’incrinassero un bel po’.

E così, con un balzo temporale di appena poco più di due mesi, si arriva alla seconda foto. Quella diffusa ieri dalla Lega, con i quattro deputati nuovi di zecca, benché tolti alle altre forze della coalizione (Orazio Ragusa da Fi, Giovanni Bulla dall’Udc, l’autonomista mista Marianna Caronia e Antonio Catalfamo, capogruppo di Fdi), in posa nel giardino dell’hotel Magaggiari, a due passi da Punta Raisi. All’estremità destra c’è sempre l’immancabile Candiani; a sinistra una new entry: il deputato ex forzista Nino Minardo. Ed è proprio quest’ultimo la differenza decisiva fra prima e seconda foto. Che sia magari lui il «fenomeno» mancante? Il politico modicano (41 anni, rampollo di una potente famiglia di imprenditori, con il padre Saro, ex bidello, ora noto come “u petrolieri”), dopo Silvio Berlusconi e Angelino Alfano, ha conquistato anche l’ultimo imperatore del centrodestra. Ed è proprio a Minardo, sotto le amorevoli cure del commissario regionale, che Salvini ha affidato la «nuova fase» della Lega. A partire dalle delicate trattative per formare il gruppo a Sala d’Ercole.

Quella di ieri è soltanto una tappa. Perché ora, come ammette lo stesso Candiani a La Sicilia durante un tour a Salemi, «vogliamo dare una svolta all’azione del governo regionale che fino a qualche tempo fa ci è apparso senza spinta propulsiva, non allineata allo “stile Lega” che vorremmo imprimere». Ma allora finalmente si avvera l’auto-profezia di Musumeci sul palco romano di piazza San Giovanni («In Sicilia governo assieme alla Lega», proclamò), contestata come «bugia» dal commissario salviniano? «Non governiamo ancora assieme a Musumeci», precisa Candiani. Ma confessa che quello all’Ars «non è un esperimento, ma una precisa traiettoria». Con un «confronto sui temi, dall’agricoltura all’economia e alle infrastrutture», il Carroccio comincia a mettere le mani in pasta. Assessori? «Non se ne parla». Eppure, rifiutato quello ai Beni culturali già offerto dal governatore, la Lega potrebbe dire sì – nel rimpasto di giugno – a un posto all’Agricoltura.

In mezzo un’altra foto: quella dell’ultimo «cordiale» incontro Musumeci-Candiani, simbolo iconografico di come la porta alla federazione con DiventeràBellissima non sia più sbarrata. E di come la Lega, adesso, abbia meno puzza al naso sulle cose di casa nostra. Compreso l’ingresso di Catalfamo, uscito da Fratelli d’Italia e accolto con il tappeto rosso srotolato proprio da Minardo. «L’avremmo cacciato, perché Giorgia, soprattutto dopo l’arresto dell’assessore in Piemonte, ci ha chiesto di fare pulizia. E Catalfamo era l’amico della massoneria…», sibilano i meloniani. Ma Candiani non fa una grinza: «Dicono che lo scarto attorno all’osso sia la parte più buona del prosciutto…». Buon appetito. La tavolata della nuova Lega siciliana è stata appena imbandita.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA