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Palazzolo Acreide tra “guerra” dei santi e bambini avvolti in rotoli di banconote

Di Salvo Guglielmino |

PALAZZOLO ACREIDE – Due alla volta, senza soluzione di continuità, i bambini nudi, dalla pelle bianchissima, avvolti in un rotolo di banconote, vengono sollevati da braccia muscolose e nervose sulla cima del fercolo dorato fino a sfiorare la statua dei Santi. Per grazia ricevuta, forse, ma anche come buon auspicio per il futuro. Poi un urlo liberatorio (“U Santu della vita è patrono”) li riporta docilmente tra le braccia dei genitori. È un rito antichissimo questo di Palazzolo Acreide (Siracusa), legato alla tradizione e alla cultura contadina, alle antiche superstizioni, alla devozione verso i Santi.

Arriveranno a migliaia da tutta la Sicilia anche quest’anno domani 10 agosto in questa città eletta “Patrimonio dell’Unesco” per assistere alle tredici in punto alla “Sciuta ” di San Sebastiano, in quella piazza scolpita dalla luce che è diventata il set privilegiato di tanti storici registi, da Luigi Zampa a Franco Zeffirelli, fino a Giuseppe Tornatore.

È un grande spettacolo collettivo che ti sommerge. La “Vara” del Santo, portata a spalla nuda, vacilla sotto una valanga di ’nzareddi’ (rotoli di carta) che piovono dall’alto in un tripudio di colori, la gente si segna al passaggio facendosi la croce. I bambini fino al secondo anno di età sono offerti al Martire, candido e trafitto dalle frecce, in segno di riconoscenza. Più tardi i vestitini saranno acquistati dai genitori con una lauta offerta in denaro. Tutto si svolge secondo un copione prestabilito, con il gioco multicolore e la letizia di una recita teatrale. Migliaia di persone osservano ammutolite, eccitate, stordite dal caldo e dall’incessante bombardamento dei mortaretti. Il sindaco e la Giunta in tenuta da gala seguono, con la dovuta compostezza, il corteo tra gli stendardi e le bandiere colorate.

Le donne a pieni nudi cominciano il loro “viaggio scauso” alle spalle dei fercoli. Qui, tra palazzi barocchi maestosi, balconi decorati da scalpellini geniali, chiese di pietra bianca segnate dal tempo, da almeno tre secoli si rinnova nell’estate siciliana una kermesse a metà tra il sacro e il profano. Una sfida di arte, cultura e tradizioni popolari tra i due quartieri più importanti di Palazzolo Acreide che coinvolge tutto il paese, senza distinzioni di età, di sesso e di classe sociale.

Sembra che tutto sia nato da un “blitz”, la proclamazione dell’Apostolo Paolo a patrono di Palazzolo Acreide nel 1689. Contro quell’elezione i Sansebastianesi ricorsero in tutte le corti e tribunali possibili, scatenando una lunga e dispendiosa guerra legale. Poi il caso fu formalmente chiuso all’italiana, anzi alla siciliana: i Sansebastianesi scrissero sul fercolo del loro martire “protectori” e continuano così a festeggiarlo il 10 agosto, mentre i Sanpaolesi si fregiarono, di diritto, sulla loro “vara” del titolo di “patronus principalis” (la festa, anche questa bellissima, è il 29 giugno).

I Santi avevano diviso, salomonicamente, il paese in due anime, aggregate intorno alle due chiese. E così, in basso, nel cuore della vallata, andarono a vivere le famiglie nobili, i proprietari terrieri, i contadini, i dazieri, un gruppo molto unito che dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri ha quasi sempre espresso il sindaco e governato la città. In alto, nei pressi della chiesa di San Sebastiano, sorsero invece il Municipio, i negozi, le pasticcerie, aprirono le botteghe degli artigiani, i commercianti, i professionisti, il circolo di cultura, le banche. In mezzo rimasero i “Vardioli” del quartiere di Piazza Pretura, gente pratica, generosa, che ha sempre guardato la “guerra” dei Santi con apparente distacco, ma in realtà si batte per custodire gelosamente la memoria storica, l’identità greca e le Tradizioni popolari di Palazzolo.

«Ogni volta che torno è come se qui il tempo si fosse fermato», racconta Armando Leone, palazzolese purosangue che a Roma è stato il “genius loci” per tanti anni dell’associazione “Filmstudio”. «Si incontrano la mattina al bar gli amici della propria infanzia. E si fanno grandi tavolate, conversando amabilmente e mangiando i vecchi cibi genuini dei nonni. Ma tutto avviene senza nostalgia, con spirito quasi aristocratico, nella consapevolezza delle grandi potenzialità culturali, artistiche ed economiche della nostra terra, facendo tesoro della saggezza del mondo contadino».

Questo è in fondo l’humus da cui traggono linfa vitale le feste patronali dell’estate siciliana, dove si cerca di dimenticare tra luci, bancarelle e spettacoli pirotecnici i problemi economici, la frustrazione della disoccupazione ed il lento spopolamento di questi paesi straordinari. Rimane il racconto delle rivalità sociali, la lotta orgogliosa per emergere, la profonda devozione alla propria terra, il desiderio furioso di vivere.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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