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“Strabuttanissima Sicilia”, «Sprechi e conflitti d’interesse: in Sicilia il teatro è una palude»

Di Mario Barresi |

Peppino Sottile, mettere in scena “Strabuttanissima Sicilia” dopo il tramonto del crocettismo non è anacronistico?

«E perché mai?».

Dopo l’uscita del libro ci sono state – giusto per citare le prime cose che ci vengono in mente – la vittoria di Musumeci alle Regionali e l’onda grillina alle Politiche… Quello di Buttafuoco, ancorché croccante e premonitore, è ormai un libro di storia. Che parla di preistoria…

«Macché preistoria! Il tipo di teatro che faccio io con quel grande guitto di Piparo, è, se proprio vogliamo definirlo, un “teatro di cronaca e di attualità”. Man mano che andiamo girando, alcune parti vengono attualizzate come un pezzo di giornalismo teatrale che racconta la realtà. E gli dà anche una chiave di interpretazione. Vogliamo permettere allo spettatore – che magari ha visto duemila repliche di Pirandello, di Beckett, di Emma Dante e di tutti questi che vanno per la maggiore – di gettare uno sguardo complice, sereno, mai volgare ma molto critico, sulla realtà che lo circonda. E gli offriamo la chiave dell’ironia, dell’iperbole, dello sberleffo, della metafora».

I siciliani, forse, ne hanno bisogno…

«Il pezzo centrale del nostro spettacolo – quello che io chiamo l’apologia del cornuto – ha avuto sette interruzioni per applausi a Palermo. Perché la gente si diverte. E perché questo è un teatro che vuole scarnificare le cose, togliere la muffa della sociologia, del messaggio che tu devi inviare… Il nostro unico messaggio è: ridiamoci su, riflettiamoci, divertiamoci insieme. Ci siamo divertiti come pazzi a vedere la gente che si divertiva con noi!».

La parte culturale dell’intervista al regista finisce qui. Parliamo di politica. Qual è, oggi, il tasso di buttanesimo della Sicilia?

«Ve lo riassumo facendo finta di essere un giornalista, oltre che regista, musicista e anche un poco farmacista… La politica è un grande palcoscenico. Da molti anni è un palcoscenico vuoto, un palcoscenico di macerie che è stato occupato da altri poteri. Fino all’altro giorno c’era l’antimafia. Non c’era un potere politico legittimo e autorevole e in compenso c’era questa antimafia chiodata, quella dei professionisti. E ora? Lumia dov’è? Boh? Crocetta dov’? Boh? E Ingroia? Boh?».

E ora chi c’è sul palcoscenico?

«Vengo e mi spiego. A un certo punto il trionfo grillino ha spazzato via pure questi professionisti dell’antimafia. Al loro posto sono entrati in scena altri protagonisti obliqui del potere»,

Ordunque, chi sono – domandare è lecito, rispondere è cortesia – questi nuovi protagonisti obliqui?

«La magistratura gialla! Che non è quella che manda avvisi di garanzia. Ma è la Corte dei Conti, il Tar, il Consiglio di giustizia amministrativa… Un assessore, anche il più intelligente come Ruggero Razza, fa un provvedimento, ma il Tar lo sospende. Poi ci sarà il giudizio di merito, poi il ricorso al Cga, nel frattempo interviene la Corte dei conti, che ti fa un procedimento».

Una iattura…

«Di fatti questo governicchio – e mi spiace per Musumeci e per Razza, nei confronti dei quali va la mia stima – non riesce a fare nulla, perché prima deve trovare la sintonia. E non con la maggioranza, presente e futura. Ma con la Corte dei conti…».

Una Sicilia strabuttanissimamente più triste, dopo siffatta descrizione.

«Il palcoscenico è vuoto, il potere politico non c’è, il vecchio potere obliquo dell’antimafia è stato cancellato dai grillini che non vogliono impacci».

E cosa vogliono, i grillini?

«I grillini non vogliono cultura, non vogliono intellettuali, non vogliono professionisti di alcun genere e quindi nemmeno dell’antimafia. Loro vogliono che siamo tutti cittadini».

Uno vale uno…

«E se c’è un po’ di ignoranza è meglio ancora».

E Musumeci?

«Musumeci mi sembra in difficoltà. Io ho fatto una descrizione da teatrante, ma un po’ mi dispiace per lui».

Ma non è più stimolante, da teatrante, un personaggio come Miccichè?

«Infatti Miccichè è uno dei protagonisti. Come lo è Patrizia Monterosso, la quale è stata in prima fila al Biondo: si è divertita, mentre Piparo giocava col suo nome e la sua storia. Lei, da persona intelligentissima, ha sorriso, ha applaudito. Perché è una donna che sa com’è il potere e come si amministra il potere. Mentre gli altri squagliacquazzina, che servono solo per sciogliere con i piedi la rugiada, si sarebbero irrigiditi, offesi».

È il teatro della politica, bellezza…

«Il teatro è la verità mentre la realtà è finzione. Questo spettacolo l’abbiamo provato a casa mia, perché ho sperimentato cos’è questo teatro siciliano: una cosa da rabbrividire…».

E qui siamo alla politica del teatro…

«È un mondo opaco, impenetrabile, ammuffito, verminoso, un insieme di pozzi neri dove si impaludano spreco e conflitto d’interessi. Mi riferisco ai teatri di mezza tacca, quelli che vivono all’ombra della provincia più nascosta: Enna, Caltanissetta, Marsala, Messina. Non ne senti mai parlare, ma sono la più grande palude della Sicilia perché messi insieme bruciano 20 milioni di denaro pubblico. Sono pozzi neri affidati ad allegrissimi consigli di amministrazione, che spartiscono biglietti gratuiti a sindaci e parenti, ma soprattutto foraggiano improbabili direttori cosiddetti artistici».

Fuori i nomi…

«Per capire quale fondo tocca la cultura in Sicilia tratteggio due ritratti di altrettanti direttori artistici che paradossalmente vanno per la maggiore, concedendomi un po’ di omertà perché mi fa troppo senso fare i nomi».

Allora fuori i ritratti omertosi…

«Il primo è un ebreo errante, che da tempo ha finito di errare e ha trovato posto in due teatri come direttore artistico. Per meglio accasarsi ne voleva un terzo: lo Stabile di Catania. Ma non lo fa per una malintesa mistica del lavoro, lo fa per ottenere quanti più ingaggi per lui e per la potente società di produzioni che poi se lo porta in giro per l’Italia. Posso dire il nome della potente società?».

Così si rompe il patto dell’omertà…

«Vero è. Allora dico che, piaccia o no, la regola in Sicilia è questa: il direttore artistico compra spettacoli per il suo teatro con denaro pubblico e poi – se attore, regista o sedicente musicista – si fa le sue serate e le sue recita. La potente società che gli sta dietro penserà alle retribuzioni private… Tutto legale, per carità. Legalissimo. Ma c’è un conflitto di interessi grande come una casa».

Procediamo col secondo ritratto di cui sopra…

«Il secondo è il bullo, un picciotto con la riga, direbbe quell’istrione di Piparo, che un giorno fa il regista e il giorno dopo il musicista, un giorno l’attore e il giorno dopo il piazzista delle sue insopportabili tarantelle. Come un gagà un po’ slabbrato e un po’ magliaro fa credere alle ragazze del villaggio che vende milioni di dischi e che senza la sua musica Biagio Antonacci non esisterebbe nemmeno. Al tempo dell’avanspettacolo lo avrebbero inquadrato come generico utilité, una comparsa adatta a interpretare oggi il principe e domani il maggiordomo. E infatti lo puoi trovare in coda al Teatro greco di Siracusa, dove cerca disperatamente una fettina di visibilità, magari accanto a Camilleri del quale ha appena tracciato un salivoso elogio su Facebook».

Anche questo ritratto è talmente omertoso che l’hanno riconosciuto tutti… Ma che c’entra il Sottile – giornalista e scrittore, regista oltre che musicista, ma anche un po’ farmacista – con costoro?

«Con uno di questi avevamo avuto un abboccamento. Ma quando ho capito che questo giovanotto – sembrava un palindromo, non sapevo se guardare da destra a sinistra o viceversa – tentava di coglionarmi, ho dato forfait. L’onesto Musumeci e l’onestissimo assessore Pappalardo dovrebbero avere il coraggio di smantellare la rete dei saltimbanchi e dei conflitti di interesse. Rete che opprime e deturpa il teatro siciliano».

Intanto il regista Sottile, con fare inquisitore, si dà all’autodafé…

«No, io vado oltre. Avere portato da solo al Biondo di Palermo questo spettacolo, avere totalizzato duemila paganti in due sere, col tutto esaurito, equivale per me ad avere dato duemila schiaffi al piritollame del cosiddetto teatro siciliano».

Vabbe’, ma a Palermo si giocava in casa. Com’è che fa quella réclame? “Ti piace vincere facile”…

«Ho avuto un trionfo, al pubblico palermitano è piaciuto. Nonostante il silenzio censorio del giornalismo palermitano».

Cos’è, un’altra denuncia omertosa?

«Al bando l’omertà. Loro non riescono a sopportare che Sottile – il quale ha attraversato il giornalismo palermitano da L’Ora, al Giornale di Sicilia, a LiveSicilia – potesse fare un’altra cosa e divertire la gente. Una banalissima, malmostosa invidia».

Tutto qui?

«No. C’è un’altra cosa. E la dico con tristezza, dopo cinquant’anni di mestiere. Nonostante il silenzio dei giornali palermitani lo spettacolo ha fatto “sold out” nel mercoledì delle Ceneri e nel giovedì dei Sepolcri. E ciò rivela che un certo giornalismo, come lo fanno a Palermo, non serve più a niente. E non parlo solo di carta e di web. Pensate al Tg Rai di Sicilia, quello che il mio maestro Piero Fagone chiamava “Il Gazzosino di Sicilia”: non si è accorto che c’era questo fenomeno in città. Mentre la gente riempiva il Biondo per “Strabuttanissima”, loro preferivano mandare in onda la solita intervista al piritollo di turno. Uno che, nel suo piritollame, s’intestava la missione culturale di veicolare il dialetto siciliano nel mondo…».

S’impone una difesa d’ufficio del giornalismo siciliano. Ma come si permette, Sottile?

«Mi permetto eccome. Perché ho in serbo il colpo di scena finale. Anticipo che uscirà un mio giornale online che si chiamerà “Buttanissima Sicilia”. Sarà a metà tra “Striscia la Notizia” e “Dagospia”: irriverente ma mai volgare, un sito per scrostare la muffa che imbratta questo genere di giornalismo palermitano. Che è come le vecchie cabine telefoniche».

E cioè?

«Inutile».

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