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Una fisica siciliana calcola l’algoritmo di talento e successo

Di Maria Ausilia Boemi |

Una giovane fisica siciliana in giro per il mondo a caccia della formula del successo, che non sempre va di pari passo col talento. Roberta Sinatra, 35enne di Grammichele, oggi docente universitaria a Budapest, da febbraio si trasferirà alla It University di Copenaghen e vanta ricerche importanti, pubblicate su riviste prestigiose come Science.

Dopo il liceo a Caltagirone, Roberta Sinatra, mamma di una bimba di 7 mesi, si è laureata in Fisica, specializzazione Fisica teorica, all’università di Catania, diplomandosi contemporaneamente nella fucina dell’eccellenza della Scuola superiore di Catania. Sempre all’ombra dell’Etna ha conseguito il dottorato. «Già durante il dottorato – racconta – ho effettuato visite di ricerca negli atenei di Saragozza, Vienna e Londra. Per il post doc mi sono invece spostata per 5 anni all’università di Boston e ora da tre anni insegno alla Central European University di Budapest scienze dei dati e delle reti. Da febbraio prossimo, col mio compagno austriaco – che è un collega di lavoro – ci trasferiremo alla It University di Copenaghen».

Intrigante l’ambito di ricerca della docente universitaria siciliana: «Scienze dei dati e scienze delle reti sono ambiti di ricerca interdisciplinari recenti, nati circa 15 anni fa. Io in particolare ho intrapreso la strada delle applicazioni nelle scienze sociali e mi occupo di scienza del successo, cioè di spiegare come le dinamiche e i fenomeni sociali fanno emergere il successo». Successo che non va necessariamente a braccetto con il talento, tutt’altro: «A scuola ci insegnano che, se facciamo le cose con impegno e in maniera precisa, automaticamente avremo popolarità, visibilità, successo. Invece spesso non è così e, soprattutto, a parità di talento e impegno, notiamo tante differenze di successo. Perché? Perché il successo non dipende da me, ma da quello che la società pensa di me e del mio lavoro. Quindi, per capire come arriva il successo devo capire le dinamiche sociali. E ciò si può fare in maniera quantitativa con modelli fisici e matematici: io cerco di fare e capire modelli matematici su come la società reagisce a quello che fa l’individuo».

Recentemente Roberta Sinatra ha applicato questi “algoritmi” agli artisti: «Anche di fronte a un quadro bello, neanche gli esperti riescono infatti a capire se sarà di successo o meno. Ci sono dinamiche sociali più sofisticate che portano all’emergere del Picasso, del Van Gogh e degli artisti famosi: l’idea è capire, già da oggi, chi è il Van Gogh che spunterà tra 50 anni, scovare i Picasso nascosti di oggi. E poi, tra tutti i contemporanei di Picasso e Van Gogh, quanti ce ne siamo persi? Ne abbiamo avuto uno per caso, per via di dinamiche di successo, oppure ce ne era veramente soltanto uno? È a questo genere di domande che cerco di rispondere».

Una ricerca che si può applicare a tutti gli ambiti, tanto che due anni fa è stata realizzata sugli scienziati: «L’idea è sempre la stessa: noi oggi conosciamo Einstein, ma quanti contemporanei di Einstein hanno fatto scoperte che sono andate perdute o sono state ignorate dalla comunità? Quanti Einstein ci siamo persi?».

Ricerca intrigante che vuole risolvere ciò che appare quasi come un “giallo” storico: ma qual è la soluzione dell’enigma? «La risposta è parziale, nel senso che sappiamo che c’è una grande componente di fortuna nel successo, e questa cosa è visibile soprattutto nella scienza: abbiamo delle risposte ma queste, prima di diventare la risposta in assoluto, devono essere validate da altri ricercatori». La suspense, quindi, continua. Quello che però si può già dire è che «non è vero che se hai talento hai automaticamente successo: dipende dalle occasioni e da tanti fenomeni anche casuali. Non tutti quelli che hanno talento hanno sempre successo e non necessariamente tutti quelli che hanno successo hanno talento». Alla base di queste ricerche, enormi moli di dati: «Per esempio, per gli artisti abbiamo analizzato 500mila carriere di artisti, per gli scienziati utilizziamo un database di 50 milioni di pubblicazioni».

Applicazioni nuove e inusitate della Fisica, dunque, fiorite su un substrato di curiosità connaturato alla giovane accademica siciliana. Che è stato la molla che l’ha portata all’estero. Nessuna fuga di cervello, quindi, ma la convinzione che «è importante vedere come gli altri fanno le cose, interrogarsi su maniere alternative di farle. Per questo, già durante il dottorato avevo fatto visite di ricerca in altri gruppi e avevo constatato che la preparazione ricevuta a Catania era ottima. C’erano però anche tante cose che si facevano in maniera diversa e io volevo imparare come. Quindi è stata essenzialmente una voglia di allargare i miei orizzonti: per questo, quando mi dicono che sono un cervello in fuga, rispondo che io non scappo da nessuno e da nulla. È stata invece una scelta, una voglia di vedere come si fanno le cose in altri posti. Anche perché uno dei miei motti – citazione della computer scientist Grace Hopper – è: “La frase più pericolosa del linguaggio è abbiamo sempre fatto così”. Abbiamo sempre fatto così non è infatti sempre il modo giusto. Infine, stando all’estero, opportunità generano opportunità e alla fine non sono rientrata in Italia, anche perché gli studi che faccio sono molto interdisciplinari e non ci sono tanti posti dove è possibile portarli avanti».

Un cervello quindi non in fuga, ma “regalato” all’estero dopo averlo preparato ottimamente: «La facoltà di Fisica a Catania prepara veramente bene e mi dato tutti gli strumenti per potere riuscire bene ovunque». Facoltà alla quale si è poi affiancata la Scuola superiore di Catania: «Fondamentale, perché mi ha offerto la possibilità di iniziare a fare ricerca precocemente e di instradarmi in Scienza delle reti, disciplina pur nata appena tre anni prima. Probabilmente, se non fosse stato per la Scuola superiore non avrei iniziato a fare ricerca così presto, non avrei intrapreso questa carriera e forse non sarei dove sono». Scuola superiore con la quale la docente siciliana continua a mantenere stretti contatti: «Ho diretto l’edizione 2015 del TED’x e tuttora lavoro per l’associazione ex allievi della Scuola. Cerco così di restituire al territorio un po’ di quello che mi è stato dato».

Certo, a fronte di un’ottima preparazione, le note dolenti arrivano al momento di fare ricerca: «In Italia ci sono indubbiamente meno fondi». Eppure, Roberta Sinatra nota che, «visto che siamo abituati ad avere meno finanziamenti, riusciamo a fare ricerca e a essere più creativi con meno risorse». Tanto è vero che la scienziata siciliana sarebbe anche disponibile a tornare in Italia «se ci fossero opportunità allettanti, non però soltanto per me ma anche per il mio compagno. Un problema oggettivo è che l’Italia non è molto aperta nei confronti dei ricercatori stranieri. Per attrarre cervelli esteri dovremmo anzitutto essere molto più aperti a parlare una lingua che non sia l’italiano, a partire da dentro l’università. Se abbiamo un ricercatore straniero che vuole venire in Italia e non parla italiano, deve potere insegnare un corso all’università in inglese. Io andrò in Danimarca, non parlo danese, farò i miei corsi in inglese e nessuno batte ciglio. Per quanto riguarda i cervelli italiani, invece, resta il fatto che è sicuramente più facile all’estero ottenere fondi per finanziare la propria ricerca e formare un gruppo di ricerca».

Della Sicilia, all’accademica di Grammichele manca «tantissimo il cibo e il modo di interagire siciliano che è unico nel mondo, così come è unico il modo di interagire di qualunque popolo. Però, essendo siciliana, sono abituata a quella maniera». Non le manca invece per nulla «il traffico: a Boston mi muovevo in bici, a Budapest uso i mezzi di trasporto pubblici, l’unico posto dove ho dovuto avere una macchina, e ci ho speso un sacco di tempo dentro, è Catania. Sicuramente poi non mi manca la corruzione, la criminalità spicciola, il parcheggiatore abusivo. Anche se il posto idilliaco non esiste in alcuna parte del mondo: l’importante è trovare il proprio equilibrio». Perché adattarsi ai vari Paesi non è facile, e le difficoltà variano da Paese a Paese: «In Ungheria un grosso ostacolo è stata la lingua: nella mia università si parla inglese, ma nella realtà di tutti i giorni no. In ogni posto, poi, c’è una cultura peculiare e quindi le cose si fanno diversamente, le norme sociali sono differenti: l’importante è capire che non siamo noi il problema, ma che semplicemente le cose si fanno in maniera diversa e ci vuole un po’ di tempo per adattarsi. Di solito, occorrono sei mesi». Di contro, non mancano le soddisfazioni: «Dal punto di vista lavorativo, l’avere portato avanti lavori scientifici importanti pubblicati su riviste di prestigio come Science. Dal punto di vista personale, l’essere riuscita ad allargare i miei orizzonti, l’avere abbracciato altre culture, altri modi di fare le cose in maniera organica e serena». E se rimpianti non ne ha, Roberta Sinatra confessa di avere però un cruccio: «Io sono un po’ un’eccezione, però spesso per le donne fare scienza e ricerca è più difficile che per gli uomini. Sia perché esiste – ed è stato provato – un pregiudizio, anche inconscio e ubiquitario nel mondo (sia pure in gradi diversi), nei confronti delle donne, sia perché se le donne sperimentano più pregiudizi e più discriminazione, automaticamente si auto-censurano. È un cruccio perché io sono convinta – e voglio dimostrarlo con le mie ricerche in maniera oggettiva – che il talento è distribuito in maniera uniforme tra sessi ed etnie diverse. Cosa diversa è invece il successo».

Infine, un consiglio ai giovani, soprattutto siciliani: «Suggerisco loro di intraprendere un percorso, cercare di farlo nel migliore dei modi, ma a un certo punto, finito il percorso, domandarsi: come posso fare le cose meglio di come ho imparato a farle? In una frase, consiglio di allargare i propri orizzonti, costruendo sui nostri orizzonti. Prima, quindi, costruire qualcosa da noi, allargarlo e poi magari rientrare per migliorare la Sicilia».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA