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Siracusa, il pm e le sentenze “aggiustate”: ma il regista occulto era l’avvocato Amara

Di Redazione |

SIRACUSA – Gestiva la giustizia e le indagini come fossero cosa sua, anzi, cosa loro. Perciò i pm di Messina, coordinati da Maurizio de Lucia, contestano al collega Giancarlo Longo, da mesi trasferito dalla procura di Siracusa al tribunale di Napoli, l’associazione a delinquere, oltre al falso e alla corruzione in concorso con gli avvocati siracusani Piero Amara e Giuseppe Calafiore.

Longo, autoassegnandosi fascicoli per spiare le indagini altrui sui clienti più rilevanti dei due difensori o attraverso consulenze pilotate per scagionarli, praticamente vendeva la sua funzione in cambio di soldi e favori.

Ma secondo quanto emerge dalle indagini il “regista occulto” delle sentenze pilotate era l’avvocato Amara, arrestato anche lui oggi per corruzione, falso e associazione a delinquere.

Piero Amara, 48 anni, è un avvocato siracusano che ha svolto attività legale anche per l’Eni. Ritenuto molto vicino all’ex procuratore Ugo Rossi e all’ex pm Maurizio Musco, entrambi condannati per abuso d’ufficio, nel 2009 è stato condannato (pena sospesa) per accesso illecito al sistema informativo della Procura di Catania.

Due anni fa finì sotto inchiesta a Cassino in una indagine su presunti aggiustamenti in cambio di soldi di una perizia ambientale sulla raffineria di Gela. L’indagine è stata archiviata.

Fu indagato a Siracusa, insieme al suo collaboratore Alessandro Ferraro, oggi arrestato, in uno stralcio dell’inchiesta su Musco e Rossi. E nell’aprile 2017 dalla Procura di Roma per l’ipotesi di associazione a delinquere finalizzata a false fatture. Dagli accertamenti venne fuori che Amara era socio di un ex magistrato del Consiglio di Stato in una società maltese che si occupava di start-up.

Dall’inchiesta che oggi ha portato al suo arresto è emerso che Amara, insieme al socio Giuseppe Calafiore e al pm Giancarlo Longo, e grazie alla complicità di una serie di consulenti tecnici, avrebbe condizionato l’esito dei procedimenti penali aperti dalla Procura di Siracusa su alcuni suoi clienti. In particolare il pubblico ministero Longo, su input di Amara, avrebbe messo su un’indagine, priva di qualunque fondamento, su un presunto e rivelatosi falso piano di destabilizzazione dell’Eni e del suo ad Claudio Descalzi. In realtà, per gli inquirenti, lo scopo sarebbe stato intralciare l’inchiesta milanese sulle presunte tangenti nigeriane in cui Descalzi era coinvolto.

Tutto ha inizio nel 2016 quando Alessandro Ferraro, anche lui tra gli arrestati e collaboratore di Amara, denuncia alla procura di Siracusa di essere stato vittima di un tentativo di sequestro. Longo si assegna il fascicolo. E comincia a svolgere indagini con acquisizioni documentali a proposito del presunto complotto contro l’Eni e Descalzi di cui parla un personaggio citato da Ferraro, il tecnico petrolifero Massimo Gaboardi. Si tratta di indagini di dubbia utilità, dicono gli inquirenti, e a luglio 2016 Longo è costretto a mandare tutto alla procura di Milano che sull’Eni indaga per corruzione internazionale. Nonostante questo, continua a compiere atti istruttori.

I pm milanesi, che sul depistaggio indagano da mesi, oggi hanno perquisito Massimo Mantovani, l’ex responsabile dell’ufficio legale Eni fino all’ottobre 2016 e attuale “Chief Gas & Lng Marketing and Power Officer” del “Cane a sei zampe”, indagato per associazione per delinquere finalizzata ad una serie di reati. Secondo la procura milanese lui ed Amara sarebbero gli organizzatori delle presunte manovre di depistaggio al fine di condizionare le inchieste milanesi Eni-Nigeria ed Eni-Algeria. La società, dal canto suo, «confida nella correttezza dell’operato del proprio management – si legge in una nota – e avvierà come in ogni altra circostanza analoga le opportune verifiche interne. Eni, non indagata, auspica che si faccia quanto prima chiarezza sui fatti oggetto di indagine».

I magistrati parlano esplicitamente di «regia occulta di Amara che, avvalendosi dell’asservimento di Longo, orchestrava una complessa operazione giudiziaria il cui fine ultimo era di ostacolare l’attività di indagine svolta dalla procura di Milano nei confronti dei vertici dell’Eni». 

Il pm per i suoi “servigi” sarebbe stato pagato sia in contanti che “in natura”, ovvero con viaggi e vacanze. Un viaggio a Dubai con moglie e figli, un capodanno al Grand Hotel Vanvitelli a Caserta e 80mila euro in contanti sarebbero il prezzo della corruzione del pm Giancarlo Longo. Longo avrebbe «svenduto la funzione giudiziaria» in cambio di soldi e favori per avvantaggiare i clienti di due avvocati siracusani Piero Amara e Giuseppe Calafiore. Il viaggio a Dubai sarebbe stato pagato da un altro avvocato Fabrizio Centofanti, anche lui coinvolto nell’indagine. Ma le somme, dicono gli inquirenti, sarebbe state solo anticipate da Centofanti e in realtà la fonte ultima del denaro sarebbe stata Amara.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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