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Alla sala Verga

Lavia-Dostoevskij manda il cuore in apnea

"Il sogno di un uomo ridicolo" fino a domenica al Teatro Stabile di Catania

Di Carmelita Celi |

La leggenda del Grande “Sognattore”. E dire che è lo spettacolo di una vita non sarà mai abbastanza.Gabriele Lavia naviga da sempre in ogni sorta d’oceano mare approdando su lande distanti e dissestate, ora conosciute, ora misconosciute, ora irriconoscibili, del pianeta Teatro. Nossignore, i pianeti sono due: Teatro e Pensiero. Perciò è complicato e controverso concedere l’esclusiva ad una sola delle sue imprese più mirabolanti – “Il sogno di un uomo ridicolo” di Dostoevskij (di Lavia, mattatore e regista, sono anche traduzione e adattamento) fino al 2 aprile al Teatro Verga per la stagione dello Stabile di Catania. Sia detto subito e senza infingimenti, è una roba da cogliere al volo: morso e morsa di 80 minuti filati, languida apnea che, non si sa come, alimenta il respiro della mente e del cuore.

Il testo di una vita?

Il testo di una vita? E’ verosimile. Sicuramente è manifesto della vita, il “Sogno”, Gabriele lo divorò appena diciottenne e, più avanti, lo rassegnò, in battesimo ufficiale e blasonato, all’indimenticabile “Duca” Giancarlo Menotti e al “suo” Festival dei Due Mondi di Spoleto. Che non ci abbia messo molto a diventare viatico di Lavia, pensatore e consumatore di Teatro ad un tempo, è possibile intenderlo se, come noi, si ha avuto la (felicissima) ventura di assistere ad almeno due “nascite” dello stesso spettacolo. Lo stesso? Neanche per sogno. Giacché se, per esempio, s’è cominciato a “sognare” al Teatro antico di Taormina, dove “l’uomo ridicolo” fu in scena poco meno di tre anni fa – suoi unici partner la “pietra” ed una seggiola – ebbene se da allora si continua adesso, sul palco del Verga cosparso di terra bruna, quasi il dissotterrato arredamento dei “morti”, allora s’intende come “Il sogno” di Lavia-Dostoevskij diventi un percorso incessante, cangiante, eterno, d’umanità ed umanesimo. Lacerante e rigenerante.

Sogna di volare su un’isola greca

Qui ed ora, la poltrona “à la Voltaire” c’è davvero, a sinistra, in fondo – in un “passato” lontano quanto basta dal saputo, dissennato “presente” del proscenio – con tanto di tavolo-studio e cassetto con pistola pronta a sparare. E così avverrà (nel sobbalzo della platea) come avveniva nel terz’atto dei drammi dell’Ottocento se al I atto c’era già un fucile in bella mostra. C’è la bambina (piccolo manichino a un passo dalla prima quinta di destra) proprio lei che, trafiggendolo con lamentose, martellanti, inquietanti richieste d’aiuto, distoglierà “l’uomo ridicolo” dall’insano proposito: “Con tutte quelle questioni, io differii il mio colpo di rivoltella”. E non manca la sua proiezione, non ancora “morto-vivo”, Lorenzo Terenzi, vestito e incappellato come un giovane Onegin, pronto a (ri)vivere quanto egli stesso racconta. Non cade ucciso, però, solo addormentato, “l’uomo ridicolo” e, nel sonno, sogna di volare su un’isola greca in cui vivono dei “puri” che credono ancora nell’unica rivoluzione dell’Uomo: ama il prossimo tuo. Per tutta risposta, lui li perverte ma, nel trionfo di disumanità di cui è colpevole, si sveglia “contenendo” in sé l’unica verità: ama il prossimo tuo.

Con una vera camicia di forza

Capelli ritti in testa come di chi ha ben altro che il ballo di San Vito, il volto cosparso di biacca come di morte recente (o apparente), una vera camicia di forze a mortificarne ogni pulsione di vita: è assai più Popriscin del “Pazzo” di Gogol che non “Idiota” Myskin.Non cammina ma sembra rotolare nell’etere, Lavia, balza a terra e da terra, percorso e percosso da mimesi sorprendente che neanche Giovanni Grasso nel celebre morso alla gola. Si consegna al pubblico senza remore e senza remore il pubblico gli concede una sconcertata, commossa empatia. La sua voce è mantice e strumento insieme, toni impastati, mandibola stretta, emette suoni perfetti e perfettamente convulsi da qualsiasi posizione, carponi, sdraiato, accosciato.E se da “uomo ridicolo”, in sogno, infetta la terra di maligno, la sua bulimia emozionale di Grande “Sognattore” contagia noi. Completamente e beneficamente.E quando, alla fine, si “sfascia” a vista dalla camicia, sorridente, la platea risponde con un “sogno” che, se fosse possibile, è più grande dello spettacolo. In piedi, a scorticarsi mani e voce, ecco tante, magnifiche falangi, giovani specialmente. Forse non tutto è perduto.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA