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Brexit, la disfatta della May: mormorii poco “british” a Westminster…

Di Redazione |

LONDRA – Un D-Day senza gloria per Theresa May. Finisce con una bocciatura pesantissima, attesa ma storica nei numeri, il voto di ratifica alla Camera dei Comuni britannica sull’accordo di addio all’Ue raggiunto dalla premier Tory con Bruxelles a novembre. E la Brexit torna alla casella di partenza o quasi: fra ipotesi di rinvio oltre la scadenza del 29 marzo, ombre di crisi di governo e d’elezioni anticipate, timori di un divorzio no deal, sogni di rivincita referendaria. La partita si riapre a questo punto oggi su una mozione di sfiducia al governo, invocata dalla stessa premier come ultima carta per non dimettersi, e presentata formalmente subito dopo dal leader dell’opposizione, il laburista Jeremy Corbyn. 

A poco è servito l’ultimo, accorato appello della signora di Downing Street all’aula, dopo i moniti martellanti di questi giorni contro lo spauracchio di una separazione caotica dai 27 o quello di un «tradimento» del volere popolare espresso nel referendum del 2016. Il testo – un «buon accordo», secondo il suo refrain, in grado di garantire il rispetto della volontà del popolo tutelando al contempo «i posti di lavoro e la sicurezza” del Regno – è stato affossato con 432 no contro appena 202 sì. Una batosta senza precedenti dal 1924, segnata dal muro innalzato dalle opposizioni ma anche dalla rivolta di massa di decine di deputati d’una maggioranza alla deriva: alimentata dall’alleanza di fatto fra i conservatori brexiteers ultrà e i loro compagni di partito schierati sulla barricata dei pro-Remain irriducibili favorevoli a un nuovo “Peoplès Vote”; oltre che dagli alleati unionisti nordirlandesi del Dup, furiosi contro l’inserimento nell’intesa del vincolo teorico del backstop imposto dall’Ue a tutela del confine aperto fra Dublino e Belfast e a garanzia dello storico accordo di pace del Venerdì Santo. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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