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Ricercatrice libica condannata a Palermo per terrorismo, ottiene lo status di rifugiato

Di Lara Sirignano |

Merita un permesso di soggiorno per motivi umanitari perché se tornasse in Libia rischierebbe la vita. Con questa motivazione la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, ha accolto la richiesta di Khadiga Shabbi, ricercatrice libica che doveva essere espulsa dall’Italia e rimpatriata dopo una condanna a un anno e otto mesi per istigazione a commettere reati in materia di terrorismo. «Pericolosa e simpatizzante del fenomeno jihadistico”: l’aveva definita il gup che l’ha giudicata e condannata, pur sospendendole la pena e ordinandone la scarcerazione. Dopo il verdetto la donna venne espulsa dal Prefetto di Palermo e portata al Cie di Ponte Galeria. Il suo legale, l’avvocato Michele Andreano, chiese però la protezione internazionale per la ricercatrice, visto che nel suo Paese è in corso una guerra civile. E visto che Shabbi simpatizzava apertamente per una delle fazioni in guerra. La decisione di concedere alla libica il permesso di soggiorno è stata duramente criticata dal ministro dell’Interno Marco Minniti che ha chiesto l’immediata revoca del provvedimento. Per la ricercatrice, infatti, secondo il Viminale “trova applicazione solo il principio di ‘non refoulement’ verso la Libia, cioè il divieto di espulsione nel paese di origine». E non il soggiorno in Italia. La donna che, annuncia il suo legale, sta tornando a Palermo, è a questo punto irregolare nel nostro Paese. Shabbi è stata accusata di legami con esponenti di organizzazioni terroristiche islamiche e foreign fighters e di una fitta attività di propaganda in favore di Al Qaeda svolta attraverso social come Facebook. Contro di lei gli investigatori hanno prodotto intercettazioni telefoniche e i dati dei suoi pc. «Appare evidente – aveva scritto il gup nelle motivazioni della sentenza – la pericolosità concreta delle condotte istigatrici e propagandistiche poste in essere dalla Shabbi, alla luce del contesto in cui le stesse si svolgevano, ossia quello della galassia di simpatizzanti del fenomeno jihadistico internazionale, in cui erano presenti, oltre a ex combattenti e uomini avvezzi alla violenza, anche soggetti come i lupi solitari che, come dimostrano le cronache più recenti, possono essere indotti a rapide scelte di radicalizzazione proprio sulla scorta di rappresentazioni apologetiche analoghe a quella che la Shabbi diffondeva». Condotte gravi, per il magistrato che, però, non hanno inciso sul giudizio della commissione. «Il timore esposto per il rientro in Libia relativamente alla possibilità di essere fatta oggetto di vendette di natura politica da parte di gruppi armati presenti a Bengasi appare fondato, atteso che le opinioni manifestate dalla richiedente su internet potrebbero porla in una condizione tale da divenire possibile obiettivo del gruppo per cui ha mostrato avversione», spiega la Commissione che, però, proprio a causa della condanna riportata dalla ricercatrice ha optato per il permesso di soggiorno e non per la protezione internazionale. «Un’eventuale revoca del provvedimento – ha commentato il legale della donna, in Italia grazie a una borsa di studio dell’ambasciata – costituirà un abuso di potere».

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