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Agrigento, il procuratore Di Leo: “Non dimenticare le vittime innocenti della mafia”

"Senza la memoria non vi è cura dalla malattia mafiosa, non si generano gli anticorpi necessari, non si insegna a riconoscere il problema, a vedere il pericolo per le istituzioni democratiche"

Di Redazione |

“In provincia di Agrigento vi sono stati tra il 1986 e il 1992 circa 300 morti per le guerre di mafia. Non vi sono più neanche le statistiche. I parenti degli uccisi sono a loro volta vittime. Nella nota strage di Porto Empedocle del 1986 rimasero vittima dei killer di Palma di Montechiaro alcuni innocenti avventori del bar dove furono trucidati i componenti della famiglia Grassonelli: Antonio Morreale, seduto al tavolo del bar con la moglie, e Filippo Gebbia. Le loro famiglie sono tutte vittime innocenti al pari degli uccisi. Il loro dolore non è stato curato da una sentenza di condanna, ma almeno hanno avuto la possibilità di vedere gli assassini condannati. Una sentenza non è la soluzione, né la cura del problema. Ma senza la consapevolezza di quanto accaduto, senza la memoria non vi è cura dalla malattia mafiosa, non si generano gli anticorpi necessari, non si insegna a riconoscere il problema, a vedere il pericolo per le istituzioni democratiche”.

Lo ha detto il procuratore di Agrigento, Giovanni Di Leo, nella “Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie”. Una giornata in cui diversi studenti dell’Agrigentino hanno partecipato alla manifestazione di Libera a Palermo, ma nella città dei Templi non è stato organizzato nessun evento di commemorazione.

“Sessantaquattro anni fa l’omicidio, al viale Della Vittoria di Agrigento, di Ninni Diamanti: lo studente liceale che venne ucciso per errore dall’assassino del commissario capo Cataldo Tandoy, ex dirigente della squadra mobile di Agrigento. Non basta, forse, la figura di Ninni Diamanti a suscitare un ricordo, in una giornata a questo dedicata e che, per gli istituti scolastici, non costituisce facoltà – ha richiamato il procuratore – . Il verbo promuovono, all’indicativo presente, scritto nella legge che ha istituito la giornata nazionale della memoria, non indica una possibilità. Esprime quantomeno un dovere morale delle istituzioni scolastiche, ma anche delle altre istituzioni di questa città e provincia che l’anno prossimo si prepara a mostrarsi alla ribalta nazionale come Capitale italiana della cultura. Nella cultura di questa terra non si dovrebbe sempre e comunque tenere conto della memoria di quanto accaduto? Se dimentichiamo un giovane innocente assassinato come possiamo, come dice la legge, conservare, rinnovare e costruire una memoria storica condivisa in difesa delle istituzioni democratiche”.

“Ninni Diamanti non è stata la sola vittima innocente della mafia o di altre forme di criminalità organizzata. Di questa memoria occorrerebbe fare partecipi gli studenti, le generazioni odierne che non sanno perché nessuno insegna loro cosa è stata la vita di questa provincia nella seconda metà del secolo scorso. Perché viviamo in un’epoca nella quale la memoria collettiva non oltrepassa la resistenza di un post o di una storia su un social media, ma anche perché le nostre istituzioni vengono meno ai loro compiti di promuovere su questo tema la memoria delle giovani generazioni», ha aggiunto Di Leo. «In questa provincia, in Sicilia, o per arrivare agli ultimi fatti di cronaca del ragazzo di Napoli ucciso da un diciassettenne, si piange ogni giorno qualcuno morto per caso, o per essere parte di un mondo a sua volta morente. Speriamo che la memoria fermi – ha sottolineato – l’opera di sostanziale smantellamento di ciò che, per il sangue che è stato versato, è stato nel tempo costruito, sotto il profilo normativo e giurisprudenziale, in circa trent’anni. Con la inevitabile imperfezione della natura umana, ma con una finalità precisa e costituzionalmente ancora indispensabile: tutelare la libertà di tutti, della quale la mentalità mafiosa costituisce la prima negazione”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA