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Coronavirus, pasticcerie chiuse, zootecnica agrigentina in ginocchio

Di Gaetano Ravanà |

Normalmente la ricotta fa la differenza dei cannoli siciliani e della cassata. Sotto Pasqua, un tempo era introvabile. Tutto finito perché le pasticcierie devono restare chiuse. Al danno la beffa. Massimo Todaro, presidente del Consorzio di tutela della Vasteddra del Belice DOP, lancia un grido di allarme. E non è il solo.

“Chi ha le spalle larghe, probabilmente ce la farà, ma gli altri? E a chi venderemo le pecore nel momento in cui non avremo più le forze economiche per continuare, se non al macellaio per 20 euro ciascuna?”

Questo infatti è il prezzo di mercato delle pecore di razza Valle del Belice, grandi produttrici di latte e sinonimo della ripresa zootecnica degli anni ‘90 della valle del Belice, a cavallo fra le province di Agrigento, Palermo e Trapani nella Sicilia occidentale.

E’  la ricotta, che oggi subisce il più grande affronto, quella di non essere considerata!

Nessuno la compra, si produce il minimo indispensabile, giusto per non buttare il siero dopo aver fatto il formaggio da destinare alla stagionatura, ma poi, spesso, si butta la ricotta!

È proprio la mancata vendita della ricotta che penalizza le aziende zootecniche e casearie, perché è con la ricotta che si guadagna in caseificio, è proprio con la ricotta che si monetizza velocemente e che permette di affrontare il quotidiano.

Ma quando le pasticcerie, i bar, i ristoranti sono stati chiusi, chi se la compra più?

“La vendita del formaggio fresco è diminuita, il surplus del latte diventa formaggio da stagionare nella speranza di un domani migliore”. 

Sarebbe un attentato alla salute pubblica riaprire le pasticcerie?

“Al pari dei panifici, delle salumerie, con le stesse regole di sanità pubblica e le accortezze prese per consentire ai fornai ed ai salumieri di lavorare” .

Già! Ma oggi chi aiuta queste aziende a non chiudere?

Non certo i fondi stanziati per la cassa integrazione.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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