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Delitto Loris, tutte le bugie di Veronica

Delitto Loris, tutte le bugie di Veronica tra “frenesie” e “silenzi inspiegabili”

Fra le righe della carte del Riesame LE PISTE ALTERNATIVE

Di Mario Barresi |

CATANIA – Chi è davvero, Veronica Panarello? È la mamma premurosa che la notte prima del delitto aveva ospitato Loris e il fratellino nel lettone coniugale, «perché quando mio marito è fuori per lavoro facciamo sempre così»? È la femmina sicula che ieri mattina, nel colloquio con l’avvocato nel carcere di Agrigento, si presenta con un pile fucsia a pois bianchi, e chiede scusa «perché non vesto di nero a lutto, ma con questo sto più calda». Né l’una, né l’altra. Non per i giudici del Riesame di Catania che l’hanno lasciata in cella: secondo loro è la Medea che ha ucciso Loris. Con un’«odiosissima crudeltà e assenza di pietà» nel delitto, seguita da una «sconcertante glacialità nell’ordire la simulazione di un rapimento a scopo sessuale», da un’«impressionante determinazione nel liberarsi del cadavere del figlio, scaraventandolo nel canalone» per «lucidamente occultare le prove del crimine».  

«Ecco la lucidissima assassina! », ha detto ieri accogliendo con un’ironica citazione il suo legale. Aggiungendo: «Io non sono niente di quelle cose brutte che dicono di me, e lo dimostrerò». Le ha lette tutte d’un fiato, Veronica, le 109 pagine di ordinanza del Riesame. Parole pesantissime. Macigni giudiziari. Usati per dimostrare il «giudizio di elevatissima capacità criminale», fondato su «capacità elaborativa di una pronta strategia manipolatoria» e «insospettabile tenuta psicologica».  

Le motivazioni dei giudici catanesi arrivano ad alcuni punti fermi. Che smontano parte della strategia della difesa. Il primo è l’attendibilità delle telecamere, contestata dalla difesa. «Gli orari indicati nell’hardware di ciascun sistema di videosorveglianza pubblico e privato acquisiti sono stati allineati con l’orario effettivo rilevato all’atto dell’acquisizione dei singoli supporti informatici». Il secondo punto di forza è la relazione preliminare del medico legale Giuseppe Iuvara definita dalla difesa «di nessun valore scientifico in quanto priva di qualsiasi tecnicismo medico-legale», viene invece confermata dal Riesame. «La conclusione che la morte è sopravvenuta per asfissia meccanica da strangolamento è fondata «su dati che da un punto di vista epidemiologico sono tipici di questa morte violenta». Anche sull’orario della morte il tribunale dà ragione all’accusa annotando però che «l’osservazione diretta del medico legale, anche in difetto di rilievo della temperatura rettale (fortemente contestato dalla difesa, ndr), con la constatazione di rigidità cadaverica e marcata ipotermia corrobora la validità dell’accertamento dell’epoca dalla morte del consulente del Pm». Quindi, «non vi sono ragioni per scartare de plano, come vorrebbe la difesa, la consulenza Iuvara in punto di verifica della morte per il fatto che tale orario è indicato fra le ore 9 e le ore 10 con una precisione censurata come sospetta e definita sorprendente, interferendone sbrigativamente l’inattendibilità».  

L’altro elemento a favore della Procura è il giudizio sui due testi-chiave tirati in ballo dalla difesa: Giuseppa Schembari e Lorenza Emmolo. Dalla prima, la vigilessa più volte sentita che aveva riconosciuto Veronica quella mattina nei pressi della scuola, «non si ricava l’indicazione che abbia visto Loris la mattina del 29 novembre». Un «ricordo vago e confuso sin dalla prima dichiarazione», con un «incremento progressivo di un’inattendibilità intrinseca». Della seconda testimonianza, quella della donna che avrebbe visto Loris alle 8,40 da solo all’angolo fra la via Marsala e la via Aspromonte, nei pressi della scuola, il collegio sottolinea l’«inattendibilità intrinseca» e «l’incompatibilità sia con la sequenza oraria delle telecamere sia e soprattutto con la versione della stessa Panarello». L’ultima testimonianza è quella di una vicina di casa, Maria Burrafato, che abita al secondo piano dello stabile di fronte al condominio degli Stival. Fra le 8,45 e le 9 la donna sente dall’appartamento della Panarello il rumore dell’aspirapolvere e vede l’indagata stendere i panni, «indumenti per bambini, in particolare pantaloni e maglioncini». Per la difesa era un alibi, ma il Riesame conferma «piuttosto e soltanto che l’indaffaratissima Panarello, in quella frenesia di cose da fare, deve persino lavare a mano e con urgenza pochi indumenti dei bambini, selezionandoli da quelli che aveva messo in lavatrice».  

Ma ciò che incastra Veronica è il fatto che «l’indagata descrive percorsi illogici» e «mente spudoratamente per accreditare una normale quotidianità sconfessata dalle sue artificiose ricostruzioni». E, si legge nelle motivazioni, «tutte le versioni della Panarello sono dense, così come rettamente dedotto dall’accusa, di incongruenze, menzogne e ricordi postumi». Anche sulle fascette consegnate alla maestre due giorni dopo il delitto, che sarebbero compatibili con quelle utilizzate per strangolare Loris: i giudici scrivono che «l’iniziativa è da ritenersi dolosamente preordinata a liberarsi del macigno accusatorio della disponibilità del reperto».  

Un «frenetico dimanismo» (la vistosa giustificazione del ritardo al corso di cucina; il dettagliato racconto della mattinata alle maestre della ludodeca “Divertilandia”), che stride con un altro elemento. Il «protratto silenzio nei confronti del coniuge, appresa la notizia che Loris non era scuola». Una circostanza «incomprensibile», la definisce il Riesame. Rilevando che «Veronica chiama i suoceri, chiama il padre Francesco, chiama l’amica e vicina di casa Giavatto, contatta l’azienda dove il coniuge, ma mai Davide». Questo, dunque, è «un silenzio denso di equivocità e di diabolica consapevolezza dell’orribile misfatto».  

Ma ci sono anche dei nodi aperti. Sulla «nebulosità delle immagini relative al transito dell’autovettura della Panarello lungo la Sp 35» (quella che conduce al Mulino vecchio) sostenuto dalla difesa, il Riesame non dà un giudizio di qualità sulle riprese. Il passaggio è «riferito dalla stessa indagata» ma sono soprattutto i suoi «movimenti» e il «dinamismo proiettato verso il luogo del delitto», per i giudici, ad assumere «univoca valenza accusatoria».  

Analogo scontro sulla ripresa di Vanity House che alle 8,30 inquadra Loris mentre rientra in casa. «Neutra per la sua opacità», secondo l’avvocato difensore. Giudizio sconfessato dal Riesame. Ma nemmeno in questo caso con criteri specifici sulla nitidezza, perché la «compatibilità dell’immagine» è attestata «da una fonte qualificatissima qual è il padre del bambino».  

Un altro punto sul quale ci sarà battaglia è «il rischio imponente» che Veronica si accolla decidendo di scendere in garage con il corpicino di Loris sulle spalle (nel palazzo non c’è ascensore) in un’ora in cui «nella palazzina ci sarebbe movimento». Per il Riesame è «un rischio che l’indagata è costretta ad affrontare e lo pianifica ancora una volta con lucidissima freddezza». Alle 9,15 una coppia di vicini, gli Emmolo, escono dal garage. E «la Panarello entra nel garage quando è già certa della chiusura della saracinesca». Ma può bastare questa giustificazione per una così alta possibilità di essere scoperta?  

L’ultimo elemento che la difesa potrebbe utilizzare è la contraddizione, almeno nelle carte del Riesame, fra il «dolo d’impeto» – quello «stato passionale momentaneo di rabbia incontenibile per il fallimento del piano mattutino che evidentemente quel giorno non prevedeva l’ingombrante presenza del suo primogenito» – con il successivo comportamento di Veronica. A un raptus omicida segue, di solito, un omicidio. E non un sopralluogo sul futuro luogo del delitto, per poi tornare a casa per la scena madre, quella in cui «in preda a un’incontenibile impulsiva furia aggressiva, abbia soppresso il bambino». Ma anche la spiegazione di ciò potrebbe essere nello status di «lucidissima assassina». Che la stessa Veronica, dalla cella, rifiuta.

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