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Il virus e l’arte, intervista a Pistoletto: «Ecco l’opera che adesso dobbiamo fare tutti insieme»

Di Giusy Sciacca |

Eclettico, prolifico, rivoluzionario. Da oltre mezzo secolo, dai “Quadri Specchianti” degli anni Sessanta alla “Venere di Stracci”, che lo consacra a protagonista indiscusso dell’Arte Povera, da “La mela reintegrata” al “Terzo Paradiso”, Michelangelo Olivero Pistoletto firma la storia dell’arte italiana nel mondo. Provocatrice, liberatoria, inclusiva, innovatrice e responsabile: sono queste le caratteristiche che l’estro positivo e fattivo di Pistoletto, tra i più grandi artisti viventi, ha mantenuto nel suo pur continuo mutare.

Lei è il Maestro del cambiamento artistico. Dopo un anno di profondi cambiamenti, qual è il ruolo dell’arte oggi e nell’imminente futuro?

«L’arte è per me depositaria dello sviluppo della creazione, intesa come bene comune anche nella vita sociale. È il pensiero che nutro fin dal principio della mia carriera e che continuo a promuovere per il futuro, a maggior ragione vista l’esperienza pandemica che ha investito il pianeta. Urge un rinnovamento continuo, oggi più che mai. La pandemia ci ha bloccati nel momento in cui avevamo toccato l’apice di una antitesi inconciliabile: da una parte il benessere artificiale e dall’altra il degrado dell’intero pianeta. La filosofia del Terzo Paradiso, concetto e opera del 2003, è proprio questa: fondere la Natura e l’Artificio attraverso un equilibrio possibile solo attraverso la nostra consapevolezza artistico-scientifica per rigenerare la società, trovando nuove fonti di energia sostenibile, perfezionando il riciclo in senso morale e pratico, intraprendendo così una terza fase dell’umanità. Il virus ci ha dimostrato come il mondo sia una matassa composta da un filo unico che lega l’intera società umana. Siamo giunti a una considerazione drammatica della nostra esistenza. Non è più possibile tornare come prima, perché il prima era tanto bello quanto disastroso. L’unica via possibile è una terza fase: il rinnovamento, la rinascita. Non si torna più allo stato primordiale della Natura, non si torna all’era dell’Artificio spinto alla massima potenza, ma si entra in quella di un Artificio che riesce a trovare un’armonia con la Natura. Questa è l’opera d’arte che dobbiamo fare tutti insieme. È così che è nato, per esempio, il progetto Cittadellarte a Biella, un centro di attivazione e divulgazione per una nuova interazione artistica e sociale con l’obiettivo di connettere tutte le arti e tutti i settori della società civile al fine di rigenerare la società stessa. Cittadellarte è intesa nella sua estensione come civiltà dell’arte. L’arte diviene motore di ogni dinamica sociale. Il motto è “arte per una trasformazione sociale responsabile».

L’arte come azione collettiva. È questa la demopraxia che va oltre la democrazia?

«La politica che viviamo è basata sull’ideologia, ma questa rimane astratta. Non è affatto pratica. Da un proverbio famoso: “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” tra le ideologie politiche e la realtà pratica c’è una distanza ormai incolmabile. Il concetto e la struttura politica dovrebbero nascere dalle pratiche, non dalle ideologie e mantenersi ben lontano dalla carriera del potere. Questo è un ragionamento che prescinde dagli orientamenti politici, conferma? Esatto. A questo punto assistiamo a un potere sovrastante e non più cooperante. Cioè poter intervenire praticamente, da parte di tutti, tanto nelle attività correnti e quotidiane quanto nella concertazione politica. A questo scopo, abbiamo intrapreso “l’Arte della Demopraxia”».

Quindi il ruolo dell’arte contemporanea è sempre e comunque rivoluzionario?

«L’arte può continuare a essere un fenomeno individuale. Ma sappiamo ormai che il puro individualismo artistico ha fatto il suo tempo. L’artista veramente libero si esprime e opera per il rinnovamento allargato alla vita comune cioè alla società. La libertà di ogni artista si deve estendere nella libertà e responsabilità della comunità intera».

Eppure, l’arte quest’anno, più che in passato, sembra essere condannata alla mortificazione dalla chiusura perpetrata dei musei e dei teatri come luoghi dell’arte. Si dibatte su molte riaperture, ma quella di musei e teatri non desta lo stesso interesse. Perché?

«La questione delle chiusure non è stata affrontata in maniera sensibilizzata. Il disagio è generalizzato, dal turismo allo sport, all’arte come alla ristorazione. Non credo sia l’arte in se a essere discriminata in questo momento, ma i lavoratori del settore artistico. L’unico aspetto positivo è che mai come in occasione della pandemia ho sentito parlare dell’importanza di frequentare musei e teatri. Ci si è finalmente accorti dell’importanza di questi luoghi che ci portano a conoscere la storia, ci fanno vivere la bellezza e i fondamenti culturali della società. Perché più una società ha conoscenza dei propri fondamenti culturali e più è facile che sappia agire in senso creativo e responsabile».

A proposito di invito ai musei, il coinvolgimento di Chiara Ferragni per persuadere i giovani follower a visitare le Gallerie degli Uffizi di Firenze questa estate aveva suscitato un coro di indignazione. È anche questo un giusto cambiamento dei nostri tempi?

«Se gli influencer coinvolti sono rappresentanti di un comportamento costruttivo e benefico, perché no? Lo trovo molto utile. È un adeguamento dei tempi al pari dell’espansione del digitale. Si sviluppa conoscenza attraverso metodi avanzati. Anche in questo senso l’arte allarga il pubblico dei suoi fruitori superando sia il lockdown che le distanze perché si può accedere ai musei anche direttamente dal divano di casa. Ovviamente, questo discorso non tiene conto però dell’economia indotta che l’arte direttamente fruibile sul posto può generare, e questo è un aspetto che sarebbe imperdonabile trascurare».

Se potesse lanciare un messaggio a favore dell’arte rivolgendosi ai governanti cosa gli direbbe?

«Ritengo che il Ministro Franceschini stia facendo un buon lavoro, anche se il sistema dell’arte esistente necessita comunque di un potenziamento. Non smetterò mai di ripetere che l’arte è agente del cambiamento nella società. Si tratta di una fenomenologia: l’arte compie un intervento diretto nel sociale attraverso la creazione comune. Gli artisti sono in prima linea nel processo di creazione per lo sviluppo della società».

E se le dico “Sicilia”, Maestro, cosa le viene in mente?

«Che non sono nato in Sicilia, ma sono un po’ siciliano anche io [ride] perché con mio immenso piacere ho ricevuto la cittadinanza onoraria della città di Palermo. La Sicilia è un punto strategico nel Mediterraneo, un incrocio di essenze multiformi. La mia opera “Love Difference-Movimento Artistico per una Politica InterMediterranea” del 2002 rappresenta questo: un grande tavolo specchiante a forma di bacino del Mediterraneo, circondato da sedie provenienti dai diversi Paesi che si affacciano su questo mare. Direi che sia proprio la terra di Sicilia il perfetto sito per ospitare e attivare il tavolo del Parlamento Culturale del Mediterraneo».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA