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In Sicilia nel 2014 un’ecatombe di imprese

In Sicilia nel 2014 un’ecatombe di imprese 894 aziende hanno chiuso per fallimento

Colpiti ancora soprattutto il commercio, l’edilizia e l’industria

Di Andrea Lodato |

CATANIA – Nel 2014 ogni ora in Italia due aziende si sono presentate in Tribunale per depositare i libri e sancire il loro fallimento. Sessantadue imprese ogni giorno, dunque, hanno chiuso i battenti, un ritmo impressionante, specchio dei tempi, di una fase di crisi che continua ad essere, evidentemente, inarrestabile, anche se, dall’altra parte, nuove imprese aprono i battenti, altri coraggiosi, e spesso un po’ incoscienti, provano a tirar su attività, esercizi commerciali, imprese, aziende. La puntuale analisi fatta da CRIBIS D&B, la società del Gruppo CRIF specializzata nella business information, è come sempre precisa ed impietosa, e ci restituisce il quadro di un’Italia dove la parola d’ordine è ancora e sempre resistenza.  

Le cose vanno male dovunque, la Sicilia in questa classifica nera non è sul podio, ma c’è comunque poco da stare allegri. Non lo è perché, naturalmente, le aree più colpite da questa moria sono quelle dove più massiccia è la presenza di imprese. Comanda la Lombardia, seguono Lazio, Campania, Veneto, Toscana, Piemonte ed Emilia Romagna. All’ottavo posto per imprese fallite nel 2014 la Sicilia, appunto, con 894 aziende che hanno presentato i libri in tribunale. L’incidenza percentuale nel prospetto nazionale è del 5,9%.  

Più che allarmante il calcolo dei fallimenti dal 2009 ad oggi, che raggiunge la cifra di 4.185 imprese che hanno chiuso i battenti. Un’ecatombe. Ma questa crisi su quali settori si sta continuando ad abbattere? Cambia poco rispetto agli anni passati, come spiega CRIBIS D&B. I macrosettori più colpiti dai fallimenti nel 2014 sono il commercio e l’edilizia, entrambi con oltre 4 mila casi. In questi due soli settori si concentra oltre metà del totale dei fallimenti registrati in Italia nel corso dell’anno appena trascorso. Entrando nel dettaglio dei microsettori, è la “costruzione di edifici” a far registrare il numero più alto di imprese con i libri in Tribunale (1.899), seguito dagli “installatori” (1.309). Vengono poi il commercio all’ingrosso dei beni durevoli (1.197), i servizi commerciali (957) e il commercio all’ingrosso dei beni non durevoli (868 casi).  

Non è esente dal fenomeno però l’Industria, in particolare quella dei manufatti in metallo (660 fallimenti), dei macchinari industriali e computer (330), del tessile – abbigliamento (241), del mobile – arredo (233). E nemmeno i Trasporti e servizi merci su gomma con 637 imprese fallite nel corso del 2014. Insomma non si salva quasi nessuno e il trend, in questo caso, rimette in linea tutte le aree del Paese, perché si soffre nell’edilizia allo stesso modo nel Triveneto e nell’area del Nord Ovest, così come nelle regioni del Sud, Sicilia compresa. Del resto rileggendo il dato del 2014 emerge che si sono registrati in totale 15.605 fallimenti, un numero in crescita del 9% rispetto al 2013 e del 66% rispetto al 2009, l’anno in cui la crisi economica aveva appena iniziato a condizionare la vita del tessuto industriale italiano. In sei anni si contano complessivamente 75.175 imprese chiuse, in un trend di costante aumento mostrato dalle rilevazioni trimestrali.  

A balzare subito all’occhio è il trend di crescita costante, che mostra l’aumento senza tregua dei fallimenti negli ultimi sei anni, fino a superare i 15 mila casi nel 2014. E il quarto trimestre dell’ultimo anno si è chiuso con un nuovo record di 4.502 fallimenti: nelle rilevazioni trimestrali dal 2009 ad oggi non si era mai registrato un numero così alto. «L’analisi dei fallimenti mostra uno scenario ancora molto preoccupante per la situazione economica del Paese – spiega Marco Preti, Amministratore Delegato di CRIBIS D&B -. Il quarto trimestre 2014, dopo anni caratterizzati da un trend di costante peggioramento, registra un nuovo picco, evidenziando tutte le difficoltà che le nostre imprese stanno ancora affrontando. In particolare, emerge la situazione molto critica del commercio e dell’edilizia: entrambi i settori hanno infatti superato la quota di 4.000 imprese ad aver portato i libri in tribunale nel corso del 2014».  

L’analisi di Cribis, però, non si ferma a registrare questi elementi sostanzialmente disastrosi, che sembrerebbero non lasciare alcun margine di speranza e di ripresa. Segnali positivi se ne registrano e sta crescendo anche l’attenzione e la sensibilità che le aziende stesse mettono nelle loro attività e nella cura delle relazioni e dei rapporti con partner e altre aziende con cui intrattengono rapporti commerciali. Questo anche per avere un quadro sempre aggiornato e preciso delle situazioni economiche delle imprese con cui ci si relaziona, per evitare di fare investimenti sbagliati, per non entrare in un altro vortice spesso segnalato da Cribis, cioè quello del mancato rispetto dei tempi di pagamento delle commesse, dei lavori e delle merci.  

«Ci sono però effettivamente anche segnali positivi – dice ancora Preti -. Negli ultimi anni infatti le imprese italiane hanno investito molto in procedure e strumenti come quelli messi a disposizione da CRIBIS D&B che consentono di intercettare tempestivamente i segnali di deterioramento dell’affidabilità dei partner, di mantenere sotto controllo la capacità del proprio portafoglio clienti di generare ricavi, di intervenire tempestivamente con azioni di prevenzione e limitazione del rischio e, soprattutto, di fare previsioni sui propri flussi di cassa».  

Insomma evitare di avvolgersi su se stessi e dentro questa crisi, provare a fare investimenti mirati, a scegliere con attenzione partner e, soprattutto, provare anche ad innovare. Perché, come dicevamo all’inizio, a fronte delle notizie e dei numeri che parlano di queste aziende che chiudono inesorabilmente, molte altre nascono, spesso sulle ceneri di quelle che chiudono, qualche volta aperte da chi trova la formula giusta, appunto innovativa, per cercare di provocare la reazione del mercato.  

Purtroppo ci sono settori nevralgici e tradizionalmente anticiclici, come l’edilizia, che per ripartire avrebbero bisogno di un supporto finanziario e di risorse che venga dalle risorse pubbliche, dallo sblocco di fondi che continuano a restare bloccati o rallentati e che non stanno consentendo la ripartenza di migliaia di imprese di questo comparto che darebbe ossigeno a tutto il tessuto economico.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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