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L' architettura dell'Archeologia del moderno in mostra ai Crociferi

L’ architettura dell’Archeologia del moderno in mostra ai Crociferi

Il lavoro di illustrazione dell'arte etnea curato dalla Soprintendenza di Catania

Di Sergio Sciacca |

Catania – Può sembrare bizzarro, ma a Catania bisognerebbe lanciare  l’archeologia del Moderno, cioè lo studio delle “antichità” che furono  create un secolo e mezzo addietro e che oggi non sono più riconoscibili  o addirittura sono state distrutte e si possono solo ricostruire sui documenti  di archivio.Edifici a destinazione sacra, fastosi palazzi della nobiltà  locale, edifici pubblici la cui imponenza ha caratterizzato il panorama  urbano, ma di cui negli ordinari corsi scolastici di storia dell’arte si trascura il merito che solo viene illustrato da sintetiche tabelle nei pressi degli edifici, sulle quali ovviamente è difficile soffermarsi più di qualche minuto. Un lavoro di recupero e di illustrazione dell’arte etnea è stato realizzato dalla Soprintendenza ai Beni culturali di Catania che nel quadro di un più vasto recupero del patrimonio monumentale ha organizzato una mostra ospitata nei vasti spazi della chiesa di S. Francesco Borgia ai Crociferi, dove resterà fino al prossimo 6 marzo. In collaborazione con l’Accademia degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale che conserva l’archivio degli architetti Carmelo Sciuto Patti (1829-1898) e del figlio Salvatore (1877-1926), è possibile seguire le direttive di un’opera costruttiva consapevole che riuscì a concentrare alle falde dell’Etna i filoni culturali risalenti alle antichità classiche, al rinnovamento medievale, alla fioritura rinascimentale, non come ripescaggio museale, ma come componenti vitali della vita moderna. Una vita nella quale le tensioni ideali del passato tutte si ritrovano magnificate.

 Facciamo un esempio: sul campanile della cattedrale di Catania sono collocate quattro cariatidi. Un ricordo della classicità che sottolinea la continuità tra cultura classica e civiltà cristiana, come venne sentita da S. Girolamo (il più nobil traduttore della Bibbia!) e persino da Dante che chiamò il Salvatore Apollo. Ma guardare dal basso le cariatidi è difficile, mentre si può benissimo osservare il prospetto della chiesa del Crocefisso della buona morte che fu disegnata dall’architetto Sciuto-Patti senior, parzialmente realizzata a metà Ottocento. Se ne conserva il disegno che arieggia quello di un tempio dorico classico con tanto di metope e triglifi istoriate e in posizione centrale il Crocefisso del titolo (ai margini la soldataglia romana sorda al richiamo divino). Questo edificio non aveva solo un significato religioso. Era anche il sepolcreto dei condannati a morte: una decina di anni prima della realizzazione del progetto vi furono inumati i Martiri della Libertà (i patrioti che si erano sollevati contro il governo borbonico) che, dopo un processo politico, furono condannati (il tribunale si riunì nel vicino Convitto Cutelli) e fucilati il giorno dopo la sentenza nella Piazza dei Martiri.

Nelle metope e nei fregi conservati dal disegno si vedono chiaramene gli episodi della Via Crucis e i dettagli dell’Ultima Cena. Il tradimento, la miseria umana, in contrasto con la eternalettura Giustizia. Tutto questo nell’edificio attuale si può solo immaginare. E ancora meno si riesce a a comprendere l’intendimento dell’architetto. Il quale, nel 1874 disegnò la chiesa della Madonna della Salette, che fu realizzata con qualche parsimonia nel 1874 e che, gravemente danneggiata dai bombardamenti del 1943, è stata assai più modestamente ripristinata. Il modello qui seguito è quello gotico medievale, puntigliosamente recuperato sui capolavori francesi. Un richiamo al Nord che aveva un senso se si ricorda che la chiesa fu generosamente sostenuta dal cardinale Dusmet (di prosapia belga) che resse con santo zelo la Chiesa catanese dal 1867 al 1895 e favorì la ripresa della musicalità organistica sui modelli del Nord vallone.

 L’architetto junior nel 1897 disegnò una chiesa (mai realizzata) in cui si riconosce il modello rinascimentale del tempio malatestiano e di cui il lettore accorto saprà osservare la sacra eleganza e la severità. E neanche fu costruito il Villino disegnato nel 1900 dove si condensano i caratteri del rinascimento italiano. Ma il lessico di questo villino si riconosce facilmente nella serie dipalazzi d’autore che negli anni della Belle Epoque adornarono il viale che costeggia la villa e si spinge verso il mare. Quel che vi rimane dell’arte catanese mostra il desiderio di recuperare quelle forme, quelle strutture, quel gusto della vita che caratterizzarono le stagioni più feconde dell’arte italiana che fece scuola nell’intera Europa. Per ora si possono vedere queste immagini nella mostra, organizzata con lodevole lungimiranza dall’architetto Fulvia Caffo, soprintendente ai Beni culturali secondo la quale «l’archivio degli Sciuto-Patti costituisce una fonte indispensabile per la memoria della storia professionale, degli studi e delle opere di ciascuno di essi, ma anche per approfondire la conoscenza della pionieristica attività di tutela del patrimonio storico-artistico-archeologico di Catania che essi condussero nella qualità di Regi ispettori dei monumenti e delle antichità».     

Sergio Sciacca                                               COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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